L’agricoltura, il cibo, l’alimentazione sono tornati
al centro dell’attenzione, e non è certo un caso che Expo 2015 sia
stata dedicata interamente all’alimentazione. Attorno
all’agricoltura, alla produzione e consumo del cibo, è in atto un
acceso dibattito, che rimanda a forti conflitti di interessi,
differenti scale di priorità, diverse concezioni della vita e della
società. Un grande tema per una nuova civiltà e un nuovo rapporto
tra la specie e il pianeta, le comunità e i luoghi in cui vivono. E’
necessario che le posizioni in campo emergano, si manifestino e si
confrontino apertamente. Il “manifesto di Brescia”, a cui vi
proponiamo di aderire, è nato come contributo collaterale al
Convegno Le tre
agricolture: contadina, industriale, ecologica. Nutrire il pianeta e
salvare la Terra svoltosi
il
20-22 aprile 2015 a Rodengo Saiano (Brescia), organizzato dalla
Fondazione Luigi Micheletti di Brescia. www.fondazionemicheletti.it.
Per tempi lunghissimi l’agricoltura contadina è stata
in grado di soddisfare i bisogni umani di cibo e di materiali
attraverso un legame organico con la natura, con l’energia solare,
con i gas dell’atmosfera, con l’acqua, con la terra, con gli
animali, e come tale sopravvive in molti paesi dell’America Latina,
dell’Asia e dell’Africa.
Negli ultimi due secoli si è verificata una rottura dei
vincoli naturali con l’avvento di una modernizzazione che ha
promesso di soddisfare i bisogni fondamentali di popolazioni in
rapida crescita attraverso l’industrializzazione dell’agricoltura,
dell’allevamento e pesca, nonché della trasformazione e
distribuzione degli alimenti.
Tale industrializzazione, facendo perno sulla
meccanizzazione, sull’impiego di sostanze chimiche come concimi e
pesticidi e su una selezione genetica orientata alle varietà a resa
elevata, si è imposta nei paesi di più antico e consolidato
sviluppo, come quelli europei e americani, con una forza capace di
travolgere tutte le resistenze. L’agricoltura, nella visione
corrente, è così diventata un reparto dell’industria, adottandone
la logica di standardizzazione, uniformazione, economie di scala,
espulsione e precarizzazione della manodopera.
L’agricoltura industriale si è imposta nei paesi
capitalisti e nelle loro colonie, così come nei paesi socialisti o
ex comunisti; il progresso dell’agricoltura industriale è stato
presentato e visto come l’unica via percorribile per debellare la
fame e la povertà, alimentare una popolazione mondiale in continua
espansione demografica, consentire a tutti di poter godere del
benessere che la produzione industriale nel suo complesso era in
grado di mettere a disposizione.
L’agricoltura odierna non è più soltanto industriale
ma tecnico-scientifica, non è più solo questione di meccanica,
chimica e genetica tradizionale ma di biotecnologie, con intrecci
inestricabili tra centri di ricerca e aziende chimiche e
farmaceutiche, Stati, organismi sovranazionali, capitali di rischio,
speculazioni sulle derrate, privatizzazione e commercializzazione di
ogni risorsa naturale (e umana).
L’industrializzazione ha influenzato anche la
distribuzione alimentare attraverso l’affermarsi dilagante delle
catene di “supermercati” e la creazione di complesse filiere
logistiche e di trasformazione lungo tutto il sistema
agro-alimentare, oggi in gran parte globalizzato e finanziarizzato.
Questa
macchina sostenuta da una formidabile azione pubblicitaria, talvolta
mascherata da informazione scientifica, presenta delle crepe e
vibrazioni pericolose, sembra procedere alla cieca orientata solo
dalla logica del profitto, creando guasti eccessivi sul suolo su cui
poggia, nella sua avanzata arreca danni alle forme viventi e alle
stesse persone che trascina nella sua marcia apparentemente
inarrestabile.
Il sistema agro-industriale nella sua versione più
avanzata è insostenibile per l’ambiente, a causa dello sperpero di
risorse non rinnovabili e della sempre maggiore dipendenza da esse,
per i pesanti attacchi che porta alla diversità e vitalità degli
ecosistemi terrestri e marini e ai relativi paesaggi storicamente
costruiti; perché non rispetta la genetica e l’etologia degli
animali e produce alimenti di bassa qualità, minando alle radici la
varietà e ricchezza delle tradizioni alimentari locali e regionali;
fomenta conflitti politici e vere e proprie guerre; toglie posti di
lavoro e moltiplica i lavori precari e semi-schiavili; diffonde la
cultura dell’usa e getta e del consumo senza qualità e
consapevolezza; influenza negativamente la salute dei consumatori;
concorre a riprodurre la disuguaglianza, creando una divisione
inaccettabile tra chi ha troppo e spreca alimenti e risorse e chi
manca del cibo o deve accontentarsi di alimenti scadenti e
insufficienti. E’ una macchina formidabile e in continua espansione
che promette di nutrire il pianeta mentre nella realtà riproduce una
struttura di spreco e di ingiustizia.
L’agricoltura
industrializzata è incompatibile con l’ecosfera e la vita degli
ecosistemi come appare dalle crescenti manifestazioni di cambiamenti
climatici, di erosione del suolo, di perdita di fertilità e di
biodiversità, di inquinamento delle acque ad opera dei residui di
concimi e pesticidi e dei residui della zootecnia.
L’agricoltura
“biologica”, nata come reazione all’agricoltura industriale,
sta conseguendo successi, in certi casi, superiori alle produzioni ad
alta intensità di additivi chimici e geneticamente modificate. La
sua crescita è accompagnata dalla maturazione del comparto
produttivo, dalla crescente consapevolezza dei consumatori circa le
valenze ambientali e salutistiche degli alimenti biologici, ma anche
da forti campagne mediatiche sostenute da portatori di interessi
particolarmente robusti, da un sempre maggiore attenzione al
biologico da parte della grande distribuzione, dell’industria
alimentare e, in ultimo, della finanza che stanno investendo nel
settore anche attraverso lo sviluppo di catene di supermercati
specializzati.
Si pone
quindi il problema di una possibile convergenza tra agricoltura
biologica e sistema agro-industriale. L’aumento delle importazioni
in competizione con le produzioni locali e regionali, le continue
deroghe come quella sulle sementi e sulle metodologie agricole e
zootecniche, lo sviluppo delle aziende “miste” biologiche e
convenzionali, i continui casi di frode, lo scontro istituzionale
testimoniano una situazione, quella attuale, di grande
conflittualità.
La speranza è quella della creazione, a partire da una
tradizione agronomica scientifica quale quella dell’agricoltura
biologica italiana, di un sistema agro-alimentare ecologico,
alternativo rispetto a quello industriale e finanziario, dove
agricoltori, trasformatori, distributori, consumatori non agiscono in
competizione gli uni contro gli altri per interessi esclusivamente
economico-monetari, ma in cooperazione per finalità fondamentalmente
economico-ecologiche.
Il successo
di diversi modelli agro-alimentari alternativi, in Italia come in
altri paesi, testimonia che la speranza è ben riposta. Una
trasformazione ecologica dei sistemi agro-alimentari è non solo
esperibile ma anche fattibile e tangibile.
Una economia
agricola rinnovata, ecologica, può assicurare un reddito dignitoso,
un lavoro soddisfacente, la sperimentazione di nuove forme di
convivenza sociale e un rapporto consapevole con l’ambiente di
vita. Una trasformazione legata ai prodotti e ai produttori del
territorio e dimensionata ad essi , una distribuzione veramente a
servizio degli agricoltori e dei cittadini e volta a limitare gli
sprechi materiali ed energetici.
L’agricoltura
ecologica, rispondente ai bisogni e alle necessità dell’oggi, può
e deve raccogliere e superare l’eredità sia dell’agricoltura
contadina sia di quella industriale. E’ una transizione in cui è
fondamentale il ruolo delle giovani generazioni e delle donne, come
lo era stato all’origine delle agricolture contadine.
La sua affermazione, passando da situazioni di nicchia a
fenomeno socialmente rilevante, le consentirà di svolgere un ruolo
prezioso di rigenerazione sul piano culturale, ecologico ed economico
rimettendo al centro dell’operare umano il valore del saper fare e
della manualità, il valore del lavoro e del suo senso, il valore
delle cose e delle relazioni, il valore del tempo, dei tempi
dell’attesa, del silenzio e dell’otium
come opportunità di conoscenza, come capacità di godere della vita
senza consumarla.
Per adesioni: micheletti@fondazionemicheletti.it.
I promotori: Giorgio Nebbia, Alberto Berton, Pier Paolo Poggio.
Non solo ne condivido i principi ma è uno dei temi portanti della nostra azione bioregionale... e ne parleremo anche durante la prossima Festa dei Precursori: http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2015/03/treia-intenti-e-programma-per-la-festa.html
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