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mercoledì 4 luglio 2012

Libero arbitrio e destino… nell'ottica della spiritualità laica

Paolo D'Arpini,  mentre scrive nella vecchia casarsa di Calcata


Appena me ne uscii, in una lettera sul tema del destino e del come esso si manifesta, affermando che “l’anima nel momento dell’assunzione del corpo sceglie il proprio destino” immediatamente un’amica sempre attenta a queste cose mi scrisse: “…Vedo che per la prima volta parli di scelta, quindi l’anima (almeno lei beata) può scegliere il destino del corpo per soddisfare le esigenze della sua posizione evolutiva..”

Per un po’ ho dovuto tacere sull’argomento, anche per evitare di dover controbattere su un tema che è assolutamente dubbio… se affrontato con motivazioni religiose od empiriche. Ma che può essere analizzato in termini di spiritualità laica, soprattutto facendo riferimento all’esperienza personale.

Il testo che segue è perciò limitato alla mia esperienza diretta e non viene discusso sulla base di ciò che è stato scritto su libri più o meno sacri (che in fondo sono solo un “sentito dire”).

Oggi sento il bisogno di fare ulteriore chiarezza, per quanto possibile, sul discorso della scelta del destino, della vita e morte del corpo, del significato dell’anima individuale e della libertà assoluta dello Spirito.

Alla base di tutto pongo la mia esperienza, impiantata nella memoria, del momento in cui la coscienza stava illuminando la formazione di un corpo nel grembo di mia madre, essendo questa coscienza individuale denominata “anima”, in cui percepii chiaramente il decorso karmico che quella forma psicofisica (quel me stesso) era destinata a compiere. Vidi le sue propensioni, le sue radici geniche, le tendenze innate, le vicende destinate, le difficoltà, la gloria, il sacrificio, insomma tutto quel che doveva essere compiuto attraverso quello specifico individuo umano.

Ebbene nel percepire tutto ciò chiaramente sentivo una certa riluttanza ad affrontare le prove, meglio dire a testimoniarle, o renderle possibili attraverso la presenza cosciente che io sono. Eppure, il delinearsi del destino incipiente nello specchio della mente, che lo registrava e quindi lo immagazzinava come una pellicola che poi sarebbe stata proiettata nel corso della vita, comportava una parvenza di libero arbitrio nell’accettare il fato o nel rifiutarlo.

Certo questa sensazione di accettazione o rifiuto era totalmente soggettiva e non poteva in alcun modo modificare il corso degli eventi preordinati, ma avrebbe potuto lasciare una traccia sotto forma di insoddisfazione e rifiuto, con le conseguenze che potete immaginare nel dispiegamento della vita che stava per manifestarsi.

Il senso di ribellione che avrebbe comportato tale rifiuto avrebbe perniciosamente ritardato il compimento dello scopo prefisso dell’anima stessa…. Ma, un momento, occorre chiarire un concetto.

Cos’è l’anima?

In sanscrito essa viene chiamata “Jivatman” che significa anima individuale, mentre l’Assoluto viene chiamato “Paramatman”. Avrete notato che il suffisso “Atman” permane in entrambi i termini, mentre cambia solo il prefisso. Da ciò si intuisce l’identità fra le due espressioni.

L’anima individuale quindi è la “coscienza personale” che illumina la particolare forma, non essendo però diversa nella sua natura dalla Coscienza Universale, che viene definita anche Ishwara o Dio. Allo stesso tempo questa suddivisione in Dio, Anima e Mondo è solo funzionale alla manifestazione, che si svolge nell’ambito dello spazio-tempo, in realtà esiste solo una pura ed assoluta consapevolezza non duale e priva di ogni empiricità, essendo Unica e quindi non osservabile né conoscibile. Questa consapevolezza è lo Spirito.

Allorché questa pura Consapevolezza si riflette in se stessa, come moto spontaneo della sua natura, sorge l’“Io”. Da questa prima illuminazione nasce poi la sembianza “Io sono” (Dio è definito nella Bibbia “I Am That I am”) e dall’”Io sono” deriva l’identificazione “Io sono questo” (ovvero lo specifico nome e forma).

Da questo processo ne consegue un’osservazione e riflessione a tutto campo delle variegate espressioni vitali (viene posta in atto la creazione e la molteplicità degli esseri).

Avrete però intuito che l’identità indivisa dell’Essere unico, lo Spirito, non perde le sue caratteristiche pur rivestendosi di un’ipotetica illusione separativa, utile ai fini della manifestazione.

Insomma il puro ed assoluto “Io” non duale è sempre presente, in forma immanente e trascendente, in ogni cosa ed in ogni aspetto della coscienza manifesta. Nella materia bruta è latente (”in fieri”) e nella coscienza universale ed individuale è l’aspetto illuminante della consapevolezza.

Il compimento del destino globale, inscindibile nell’insieme, è presente nella summa di tutti i fotogrammi possibili (ed impossibili) delle infinite forme e nomi (che nascono e muoiono in continuazione) e che sono le varianti del decuplo aspetto dell’illusione (la Creazione stessa).  Essendo questi i dieci aspetti: coscienza ed energia; le tre qualità: armonia, moto, inerzia; i cinque elementi sottili e materiali (Etere, Aria, Fuoco, Acqua, Terra).

Occorre però capire che tutto questa descrizione in corso appartiene comunque al modo manifestativo, per cui rientra in una conoscenza relativa e dualistica. Non può essere perciò considerata “Conoscenza” spirituale, che è aldilà di ogni descrizione possibile essendo pura esperienza diretta del Sé, ma serve ad accontentare l’anima, o mente speculativa, che sente il bisogno di ragionamenti sottili per poter alfine decidere di sottomettersi al Potere Superiore del Sé.

Non che la sua sottomissione sia necesaria alla realtà già in atto, nel senso che diviene operativa attraverso una specifica “scelta”…. meglio infatti sarebbe dire che tale sottomissione corrisponde al riconoscimento della propria identità originaria ed alla rinunzia dell’illusione separativa.

Nel percorso apparente che l’anima compie verso il ritorno a casa (dalla quale non si è mai allontanata se non nella considerazione speculare dualistica) essa attraversa il mondo infernale dell’identità con le forze egoiche e materiali più dense, il mondo umano delle emozioni e dei sentimenti ed il mondo paradisiaco del compimento del bene e dell’amore. Queste chiaramente sono tappe intermedie, trappole della coscienza duale per mantenere l’anima avvinghiata all’illusione separativa, parte del gioco che “imprigiona” ciò che mai può essere imprigionato.

Per cui l’anima sembra dover scegliere attraverso le esperienze di vita e di coscienza che l’attendono come portare a compimento questo percorso.

Ed a questo punto debbo riferire anche dell’esperienza diretta del Sé, che ognuno di noi può avere nel momento opportuno, in cui si ha la piena consapevolezza della propria natura originaria, dell’identità nello Spirito eternamente libero, e tale esperienza è uno degli aspetti che aiutano infine l’anima a rinunciare alla sua illusoria identità separata. Corrisponde al momento in cui la maturazione dell’anima è vicina al superamento dei vincoli infernali, mondani e religiosi e si manifesta sotto forma di “Grazia” del maestro interiore, dello Spirito che è la sola ed unica verità.

Ed a questo punto ogni discorso tace.

Paolo D’Arpini

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Commento di Nazzarena Marchegiani: "Complimenti Paolo! bell'articolo, belle riflessioni, ma, soprattutto bella conquista... la 'Grazia'... un istante di consapevolezza del 'senso' di...Tutto. Ma mantenere lo 'stato di Grazia' è possibile?"

Risposta: ‎"La divina energia (Shakti) una volta risvegliata lavora incessantemente e permanentemente nel discepolo. Questa è l'Energia che sempre cresce, che sempre più manifesta la sua gloria. Energia divina è solo un altro nome per Volontà divina. Così meravigliosa è questa Energia che è perfetta in ogni sua parte come nella sua interezza. Una volta che la Coscienza è stata risvegliata gli effetti della Grazia si manifestano sino al compimento finale della totale liberazione." (Swami Muktananda in risposta alla domanda: “L'effetto di Shaktipat è temporaneo o permanente?”)


Destino e libero arbitrio – Scrive Sara Laurencig: “Buongiorno Paolo ho letto il tuo articolo su destino e libero arbitrio. Vorrei fare una precisazione: Dio dice "io sono quel che sono" che è molto diverso da "io sono questo...." Il messaggio Suo è un indizio per l'anima che necessita di conoscerlo, non un identificazione in qualcosa... che non sarebbe possibile”

Mia rispostina: “Cara Sara, la traduzione italiana da te riportata non e corretta, il testo dice "I Am That I Am" che significa tradotto letteralmente "Io sono quell'Io sono" - Il che indica molto chiaramente la natura del Sé”

Scrive Ale Russo: “Grazie Paolo, hai risposto anche a me. A volte mi capita di risvegliarmi in quel centro in cui non si ha bisogno più di nulla, nemmeno dei Maestri. Si è e basta. Ricordo di non avere nome, di non avere corpo, di essere l'universo e più in là, di non essere nemmeno questo, ma solo pensiero e gioia. In comunione con Dio, ricordo la mia natura divina. Ma poi, ritorno nell'apparente dualità. Un ruscello di conoscenza continua a scorrere in me, notte e giorno. Spoglio maya dai suoi veli come sfogliassi un libro, lasciandomi trasportare dalla corrente dei miei liberi pensieri. Se solo l'uomo riuscisse ad essere meno complicato e più tollerante, la felicità si diffonderebbe a macchia d'olio, in breve tempo, su tutto il pianeta”

Scrive Caterina: “Fose non si sposta l'asse dal pre-giudizio all'esperienza perchè l'esperienza non sempre gratifica come il pregiudizio...”

Mia Rispostina: “Quando dici "io" è evidente che ti riferisci alla coscienza. Quindi perché ritenere che una aggregazione di pensieri, tendenze e memorie possa essere sede di identità.. per se stessi e per gli altri? Quando si innesca il meccanismo pregiudiziale, noi riteniamo di "conoscere" per mezzo della memoria e dell'esperienza passata. Ma questa conclusione è fallace.. è soltanto una illazione. Se noi non possiamo essere una aggregazione di pensieri parole, tendenze e meccanismi come possiamo ritenere che lo siano gli altri? Perciò il pre-giudizio è una proiezione mentale.. mentre l'osservazione distaccata, testimoniale, consente di percepire le risposte da ognuno date come consequenziali ad un insieme di fatti, in cui l'agente e le azioni stesse sono da considerare un tutt'uno. E le corrispondenze che si creano appartengono al dominio delle risposte contingenziali richieste dalla situazione vissuta. Ma questo non ha nulla a che vedere con "l'identità" della persona. Perciò giudicare la persona sulla base delle azioni compiute, responsabilizzandola o rendendole merito, è un meccanismo appropriativo della mente. Per questo nell'articolo facevo riferimento al Libro dei Mutamenti in cui vengono esaminate le diverse possibili manifestazioni, legate agli aspetti caratteriali e ambientali in cui la persona si trova... Insomma la lucidità nell'auto-osservazione consente di non giudicare gli altri secondo i metri mentali del buono cattivo ed allo stesso tempo non impedisce, anzi agevola, la giusta risposta alle condizioni in cui ci si trova.. Non più costretti da metri di giudizio comportamentale...”

Obiezione di Caterina: “Sono d'accordo, a parole, finchè le tendenze mentali mi opprimono e mi accompagneranno farò avanti e indrè, come quando uno prende la rincorsa per spiccare il volo a volte si cade e si deve ricominciare da capo ma con maggiore consapevolezza della propria energia e dopo aver visto cosa c'è al di lò del muro. Intanto dico: questo é buono, questo é cattivo, io sono brava, io sono asina..."

Mia replica: “La capacità di discernimento non deve trasformarsi in identificazione. Ovvero i pensieri non rappresentano l'identità. La coscienza/dio, l'Io, quindi non risiede nel contenuto, che è il riflesso mentale, ma nella pura Consapevolezza priva di attributi che consente ogni manifestazione”

sabato 21 aprile 2012

Anasuya Devi di Jillelamudi, Sai Baba di Shirdi ed il messaggio spirituale laico della Bhagavadgita

Nel 1918   Shirdi Sai Baba, il santo che univa tutte le fedi e compiva mille prodigi, lasciava il corpo mortale, cinque anni dopo nel 1923 nasceva Amma Anasuya Devi. Padre (baba) e madre (amma).

La peculiarità di questi due grandi esseri fu che sin dalla nascita manifestarono la perfezione. Sai Baba era un Nitya Siddha (eternamente perfetto) ed Amma l’incarnazione della Madre Universale.

Il primo non lo incontrai mai fisicamente (per ovvi motivi) mentre la seconda ebbi la grande fortuna non solo di incontrarla ma di trascorrere assieme a lei vari anni, diluiti nel tempo, di beata ed amorosa convivenza.

Paolo D'Arpini e Anasuya Devi a Jillellamudi


Accadde durante quelle permanenze a Jillellamudi che, avvolto nello spirito della Madre, potei comprendere appieno il significato del messaggio del Baba di Shirdi e di altri santi e maestri non-dualisti realmente e fisicamente visti, come ad esempio Nisargadatta Maharaj o Uppaluri Gopala Krishnamurti.

Le lunghe giornate trascorse nella vicinanza ispiratrice di Amma mi permisero di far conoscenza, indirettamente, alcuni grandi santi del passato, come Ramakrishna Paramahansa (quante lacrime versai sul Gospel of Sri Ramakrishna by M.), e come il santo di Shirdi, di cui bevvi gli insegnamenti nel libro Sai Satcharita (in esso si raccontano aneddoti e dialoghi tenuti durante la sua vita).

Purtroppo sia il Gospel di Ramakrishna sia il Satcharita di Sai Baba non sono stati tradotti integralmente (e nemmeno parzialmente). Del primo esiste una rassegna accorpata per argomenti della Ubaldini Editore (che ha perso molto dello spirito narrativo dell’originale) e del secondo abbiamo solo fuggevoli referenze su un breve testo biografico scritto da Arthur Osborne (tradotto anche in italiano da Il Punto d’Incontro). Peccato! Ma almeno posso dire che la lettura di quei volumi fu per me illuminante e fonte di riflessione.

Dovete sapere che sia Amma che Sai Baba piacevano ai membri di tutte le religioni, anche ai cristiani ed ai maomettani, questo perché –a parte l’innegabile potere da essi emanato, non insegnavano in termini contradditori a quelle religioni, soprattutto in merito alla cosiddetta teoria della reincarnazione.

Amma era particolarmente indifferente a tale teoria, diceva che è l’energia divina (Shakti) che da ad ognuno il proprio destino e che noi non siamo responsabili e non dobbiamo perciò sentirci in colpa. Lei affermava che il senso di “libero arbitrio” è solo una componente che consente il compimento di quanto ci è affidato dal destino, similmente fece Shirdi Sai Baba, che era “musulmano” (non nel senso “classico” ovviamente) e visse in una moschea per tutta la vita.

Per entrambi anche gli insegnamenti più sublimi contenuti nei testi sacri, erano solo una “forma di ignoranza per cancellare un’altra ignoranza”, così si espresse Sai Baba commentando un verso della Bhagavadgita.

Tra l’altro ora ricordo un’altra cosa detta da Sai Baba al proposito di come si produce l’accumulo di “vasanas” le tendenze mentali che proiettate causano nuove “incarnazioni”, ovvero attraverso lo “stato d’animo” nel quale l’azione viene compiuta .

Qui voglio fare un inciso anche sulla visione buddista della “reincarnazione” che è intesa non in senso egoico –appartenente cioè allo stesso agente, il quale è in verità considerato irreale- ma come maturazione di processi mentali inespressi che cercano un compimento e procurano una forma “di continuità” manifestativa nella materia.

Ma è nella Bhagavadgita che stasera ho trovato alcune frasi molto esplicative sull’argomento, ovvero sul significato dell’agire nel mondo e della formazione del karma. Ovviamente le ho lette, come dicevano Amma e Sai Baba, nella comprensione che è un’ignoranza (mascherata da conoscenza) per cancellare altra ignoranza (che chiamiamo conoscenza empirica) “, eppure me le sono tradotte  e rielaborate anche alla luce degli eventi vissuti e della mia comprensione attuale.

Paolo D’Arpini


Dalla Bhagavadgita:

Strofa 27.
Ogni azione viene compiuta dalla natura, per mezzo dei suoi modi (guna – stimoli, qualità). L’uomo illuso confuso dal suo egoismo afferma: “Sono io che agisco”.

Strofa 28.
Colui che vede nei rispettivi modi della natura (e nelle conseguenze) comprende che tali pulsioni (causate da memoria e da tendenze ataviche) agiscono attraverso gli organi interni (i sensi e la mente) verso quelli esterni (i nomi e le forme). Egli però non si identifica con quell’agire, oh Arjuna!

Strofa 29.
Ma colui che è illuso dalle pulsioni naturali rimane nell’errore di essere egli stesso a compiere l’azione (di propria libera scelta) e non serve a nulla confondergli la mente (trasmettendogli questa conoscenza).

Strofa 30.
Perciò, dedicando ogni azione al Sé (Atman – l’Io presente in tutti gli esseri) libero da intenzioni e speranze e dal senso di possesso, curata la febbre mentale, combatti oh Arjuna!

Sai Baba in una rara foto a Shirdi