martedì 16 giugno 2015

La città bioregionale - Una visione...



Città Bioregionale. Oggi (come ieri!) il tema di quale possa essere il
più adatto contesto territoriale per la pianificazione  è molto
sentito. Probabilmente i vecchi piani urbanistici delle grandi medie
città riferiti al solo “perimetro” delle stesse non sono più efficaci.
Forse anche i tradizionali confini amministrativi e il sistema di
planning a “cascata” per singolo livello amministrativo non lo è più.
E’ quindi necessario individuare contesti territoriali omogenei,
basati su riferimenti morfologici, ecologici,  culturali e identitari,
che siano la base di riferimento per una pianificazione partecipata di
comunità, fatta non solo con i metodi tradizionali dell’urbanistica,
ma sempre più con modalità di interazione reticolare P2P –
peer-to-peer, di collaborazione diffusa. Quale può essere “il sistema
territoriale efficiente” per la nuova pianificazione post-crisi? Il
concetto di Bioregione ci torna molto utile, ma anche quello di
Bacino-Sottobacino idrografico ad esempio…. ragioniamoci!

Di fronte alla gravità dell’alterazione della condizione ecologica
delle nostre città, la risposta deve essere di tipo olistico, nella
ricerca di un rapporto “città/ambiente” capace di comprendere tutte le
istanze coinvolte. Ciò non significa che invece la strategia non possa
svilupparsi per azioni locali specifiche e differenziate. Anche per
l’urbanistica ecologica può valere il principio ‘pensare globalmente –
agire localmente’. Tutto ciò comporta in ogni caso un cambiamento di
paradigma epistemologico-disciplinare, nonché una pratica sperimentale
partecipata.


Le attuali strutture urbane-metropolitane non sono più formate
soltanto di centri urbani e di periferie, ma da una nebulosa di frange
urbane, da una conurbazione sempre più densa e continua, con
all’interno vuoti urbani sempre più residuali. Questo modello
insediativo, spesso di non semplice definizione anche tra gli esperti,
e caratterizzato da esiti assai imprevedibili, è comunque totalmente
decontestualizzato e non ha generalmente più alcun rapporto con il
territorio circostante.

Ciò segna una profonda differenza con la città storica, la quale,
come’ è noto, fondava la sua sopravvivenza primaria proprio nel
rapporto con il proprio “territorio di riferimento”, derivandone
peraltro condizioni non solo materiali ma anche culturali ed estetiche
di grande rilevanza. (In Italia, Venezia ed il sistema lagunare
dell’alto Adriatico, Siena e lo spartiacque collinare tra Arno e
Ombrone,…). Con la fase dell’industrializzazione ed ancor più con la
fase del postmoderno globalizzato e delle tecnologie informatiche, si
è ritenuto che la città si fosse emancipata dai vincoli del
territorio, senza pensare che così facendo si sradicavano le città ed
i loro abitanti da ogni riferimento ai “luoghi”, ed al loro ambiente
di pertinenza.

Progressivamente sta emergendo invece la necessità di un ripensamento
di questo atteggiamento, particolarmente in rapporto alle difficoltà
di chiudere i bilanci ambientali locali e di ridotare le comunità
locali di ambienti di vita significativi o quantomeno per loro
sufficienti, ovvero utili, anche nella competizione internazionale.

Per ottenere questi risultati occorre peraltro invertire le tendenze
in corso nel rapporto insediamenti umani-territorio, ed assumere in
proposito un diverso punto di vista.

Questo nuovo punto di vista potrebbe allora essere quello di ridotare
gli insediamenti urbani di un nuovo “ambiente di riferimento”, questa
volta non in funzione della sopravvivenza primaria elementare come nel
caso della città storica, ma della “sopravvivenza primaria ecologica”,
come è nel caso della città contemporanea.

Occorre allora ricercare se sia possibile dotare la struttura urbana
attuale di un contesto territoriale tale che la faccia di nuovo
‘vivere ecologicamente’, di un contesto ambientale tale che sia in
grado di accoglierla, di nuovo, al proprio interno.

Ma per fare ciò occorre che il sistema ambientale che dovrà accogliere
la struttura urbana si configuri esso stesso come una struttura
vivente, che esso stesso abbia le caratteristiche per essere una
“Bioregione”: un luogo, cioè, complesso, interrelato e fertile (sotto
molti punti di vista), in grado di presentarsi come ‘un ampio contesto
della vita’, come un sistema di ecosistemi.

Quindi, un luogo tale da essere in grado di assicurarla, la vita,
prima di tutto intensamente per se stesso e conseguentemente anche
alla città ospitata ed ai suoi abitanti.

Si tratta di una operazione complessa, quasi di rinnovare un rito di
rifondazione della città ma per così dire ‘un rito ribaltato’, un rito
di risacralizzazione di un territorio dissacrato, a partire dalla
città – e che pure va messa in discussione – per riconoscere e
ricostituire il suo territorio, e per riadeguare poi la città stessa
al territorio ritrovato, in una continua in- terazione.

Una rifondazione, quindi, assai complessa e problematica, che è
contemporaneamente una rifondazione sia di un contesto, che di una
città, che della loro relazione, una rifondazione che si dovrà
sviluppare dall’interno della struttura urbana e del suo ambiente e
che quindi forse risulterà ancora più entusiasmante che una fondazione
operata con un atto ‘esterno’, anche perché essa non potrà avvenire
che in maniera collettiva.

In questo processo rifondativo il paesaggio e le reti ecologiche
potranno svolgere ruoli determinanti, anzi strategici:

– paesaggio in quanto struttura olistica capace di fornire un apparato
di riferimento che organizza i molteplici rapporti tra
società/natura/cultura;

– reti ecologiche in quanto concreta organizzazione territoriale che,
basandosi sui paesaggi agrari esistenti, sui vuoti urbani, sulle
connessioni in atto e potenziali, viene a costi- tuire la trama di
relazioni sulla quale ricostruire i presupposti per l’esistenza e per
la fattibili- tà stessa della intelaiatura strutturale della
Bioregione.

Dunque la “Bioregione insediata” è una struttura territoriale entro la
quale si può sviluppare una ben determinata dinamica della vita, e
tale da essere in grado di dare luogo a processi evolutivi autonomi e
significativi.

Questi processi evolutivi saranno tali da potere accogliere, come in
un grembo, una comunità umana con tutte le sue attività e costruzioni,
comprese anche quelle precarie, le quali ovviamente dovranno però
tutte essere cosiffatte da non mettere in discussione il si- stema che
le accoglie.

Anzi, la comunità dovrà mettere a punto un’attività di “apprendimento
“, nel senso ecologico di Bateson, e cioè di una Ecologia della Mente,
tale che possa fare divenire parte- cipe la comunità stessa e le sue
azioni, proprio rispetto a quelle dinamiche evolutive che la
Bioregione esprime.

Evoluzione ed apprendimento saranno dunque le due dinamiche,
stocastiche ed omologhe, sulle quali fondare i processi coevolutivi
che rappresentano l’obiettivo di un progetto che potremmo chiamare
“vivere la Bioregione”.

Evoluzione ed apprendimento saranno i due criteri base usati nelle
pratiche rifondative della rinnovata relazione città-contesto, e
quindi della Bioregione assunta come ‘luogo’ di quella relazione.

Tra gli ‘strumenti di lavoro’ per questa rifondazione, che sia ad un
tempo, dell’insediamento e della sua Bioregione di riferimento, uno
dei più significativi è il paesaggio, sia per la sua natura di per sé
olistica, sia per le argomentazioni dei suoi recenti riconoscimenti in
campo scientifico disciplinare e delle politiche del territorio.

Affrontiamo allora la questione del “divenire del paesaggio e della
progettazione paesistica nella Bioregione Insediata“.

Facendo riferimento alla definizione di Paesaggio proposta dal
Consiglio d’Europa (“quella parte di territorio, nella sue
trasformazioni umane e naturali e nella loro interazione, così come
viene percepita dalla popolazione….”), ci preme sottolineare il
carattere dinamico, di processo in divenire, che dobbiamo attribuire
al paesaggio, sia nelle sue trasformazioni naturali e antropiche, sia
nelle sue modalità percettive da parte delle società, locali e
generali.

Dunque un doppio ordine di dinamicità, sia della struttura
territoriale e quindi della sua dimensione di relazione ternaria
uomo/natura/società sia della sua dimensione percettiva da parte delle
popolazioni insediate, valutate nelle loro reciproche interrelazioni.

Dunque la dinamicità è una caratteristica intrinseca dei paesaggi,
anche se generalmente si tende a sottolineare i valori di permanenza
del paesaggio stesso.

Riteniamo allora che sia interessante sviluppare una linea di ricerca,
di sperimentazione e di operatività che si ponga la questione del
divenire del paesaggio non come elemento di disturbo ed esterno ai
valori di comunicazione dell’informazione e della qualità paesistica,
ma assumendo il divenire del paesaggio come elemento vivente, sia in
senso naturale che culturale, e quindi continuamente evolutivo,
caratterizzante strutturalmente il paesaggio stesso.

Infatti, assumendo il paesaggio come struttura in divenire, dovremo
fare riferimento al ruolo del fattore tempo entro tale fenomeno, e se
prendiamo in considerazione, sulla base delle scienze contemporanee,
il “tempo interno” ai fenomeni, per il paesaggio ci troviamo di fronte
ad una molteplicità di tempi interni differenziati, da quelli
biologici, a quelli economici, a quelli culturali, ai tempi delle
retroazioni ambientali e territoriali, ovvero a quelli comportamentali
percettivi delle diverse generazioni locali e così via, tutti tempi
diversi e con velocità di cambiamento ulteriormente diversificate.

Alla complessità del fenomeno paesaggio corrisponde dunque una
complessità temporale, e ci troviamo di fronte ad un fenomeno di
“pluriritmo” per il quale il concetto di “evoluzione” (stocastica, si
intende! ) è il riferimento temporale e spaziale-materiale delle
azioni e del divenire del paesaggio.

Una simile impostazione richiede una revisione sia epistemologica, sia
linguistica, che operativa delle problematiche scientifiche e
‘politiche’ del paesaggio, ma anche della sua “progettualità”, nonché
delle sue pratiche popolari quotidiane, poiché questa è forse una
delle poche strade per le quali si possa immaginare di aprire un
rapporto collaborativo con le popolazioni direttamente interessate.

Infatti, entro una prospettiva in divenire, risulta più semplice e
spontaneo fare emergere una reale partecipazione attiva, ben oltre il
consenso, e quindi vorrei dire “creativa”, da parte della popolazione
interessata alle attività progettuali e di costruzione del proprio
ambiente.

Abbiamo ritenuto che la via di una sperimentazione nel tessuto vivo
delle realtà territoriali fosse la strada da percorrere per
sperimentare, scientificamente e programmaticamente, le ipotesi della
progettazione (compresa quella paesistica ed ambientale, ed a maggior
ragione anche quella urbana) come processo dinamico.

Così operando, si andrà oltre la ‘progettazione disegnata’, pure
sempre così importante come prefigurazione, per avvicinarsi invece,
verso il processo creativo, verso il “Progetto come Processo
Evolutivo”.

In questo senso la progettazione non si limita più a ricostruire una
modalità sistemica, pure così utile per la città, per il paesaggio e
per le culture sociali che in tali contesti sono coinvolte, ma cerca
di innovare, aprendo nuove strade alla creatività e alla modalità
relazionale di connettere processi differenti, sia umani (individuali
e sociali) che naturali, tra loro in reciproca e continua
intercomunicazione.

In tal modo potrebbe avviarsi un processo evolutivo (o meglio
coevolutivo) a partire dal riconoscimento delle strutture qualificanti
e caratterizzanti ogni progetto di paesaggio, passando poi a cogliere
le sue tendenze al cambiamento, a valutare i possibili scenari
progettuali ed evolutivi, e, a questo punto, ad aprire il processo
dinamico biunivoco, al quale avevamo accennato precedentemente, di
evoluzione e di apprendimento, imprevedibile ma orientato, per dirla
con Gambino di “conservazione-trasformazione”.

Tutto questo si potrebbe svolgere con le popolazioni interessate, che
ritroverebbero così la gioia di ‘costruirsi’ il proprio ambiente di
vita e di tornare a riconoscersi nel proprio ambiente costruito e nel
proprio paesaggio.

Nelle situazioni reali che si possono presentare questo progetto
rifondativo dovrà affrontare situazioni molto differenziate, ma, sulla
base della nostra esperienza, in ogni caso il progetto dovrà fare
riferimento:

– al “carattere complesso della struttura urbana”, ed al suo formarsi
nel tempo; ma più che altro il progetto rifondativo dovrà cogliere il
senso di ogni specifico insediamento u- mano e delle sue modalità di
formazione e di manifestazione; e dovrà percepirne, di quel luogo
urbano, la sua essenza profonda, che si manifesta nelle persone, nella
società, negli spazi, e nella loro formazione storica interrelata;

– alla “natura complessa del contesto ambientale” e dovrà ritrovarne
sia i caratteri della condizione originaria sia le condizioni della
situazione attuale, più o meno alterata, più o meno ancora vitale e
comunicativa; in ogni caso dovrà individuare le componenti vitali
sulle quali contare per riconoscere la base ambientale della
Bioregione;

– alla “relazione tra la struttura urbana ed il contesto ambientale”,
al messaggio informazionale che la relazione riesce ad esprimere, e
quindi allo stato della relazione stessa e alla storia ed alle fasi
per le quali la relazione è passata; nonché le sue potenzialità
evolutive;

– al “divenire dei fenomeni suddetti”, in particolare quelli
relazionali, e quindi al divenire dei paesaggi in quanto espressione
del manifestarsi della relazione stessa e della condizione di
“Bioregione insediata”.

Dovremmo allora assumere l’ambiente costruito (da quello alla scala
micro-territoriale, a quello urbano, a quello metropolitano) come
fenomeno complesso in continua trasformazione e la “Bioregione
abitata” come quella condizione territoriale a cui si riferisce sia
una modalità articolata dell’abitare, sia una rivalutazione
dell’ambiente di vita del contesto ambientale di riferimento, ma più
che altro sviluppando un’idea di Bioregione come loro relazione
coevolutiva.

Occorre perciò aprire fasi di sperimentazione a tutti i livelli,
poiché è solo dalla sperimentazione, orientata e cosciente, che si
possono estrapolare indicazioni significative e consapevolmente
riconosciute di un’attività progressiva di costruzione di un processo
che ci consenta di sviluppare nel tempo le condizioni sopra dette, dal
micro contesto alla Bioregione, nel tentativo di non perdere occasioni
e segnali anche parziali di innovazione strategica che si
manifestassero anche in situazioni diverse e distanti tra loro, tanta
è la complessità e la necessità di cogliere ogni stimolo di
rinnovamento che sono necessarie alla rifondazione della Bioregione,
in termini partecipati.

Tale sperimentazione ha appunto due caratteri:

– deve essere rinnovabile, non deve cioè compromettere definitivamente
gli ambiti sui quali interviene, deve garantire La possibilità di
sempre ulteriori scelte, ed in tal senso potremmo definirla una
sperimentazione sostenibile;

– deve potersi sviluppare, come sopra accennato, a tutti i livelli
della esperienza rifondativa dei contesti bioregionali, se possibile
in termini unitari, ma anche per ambiti disciplinari e per occasioni
sperimentali diversificate.

In tal senso la sperimentazione progettuale può essere articolata in
altrettanti casi di studio, utili a fornire spunti e riflessioni per
l’ipotesi che qui si sostiene.

La nostra esperienza, nel caso italiano, si è articolata con progetti
sviluppati alle diverse scale che vanno

1) dalle ipotesi di ridisegno ambientale di un’area metropolitana,

2) alla riqualificazione ambientale ed urbana di piccoli comuni
inseriti in un più ampio disegno territoriale,

3) agli studi paesistici per un comprensorio turistico,

4) all’assetto ambientale di un centro civico,

5) alla sistemazione di un’area parco lacustre:

Tutti i casi sono riferiti a condizioni diverse in modo da consentire
confronti e comparazioni, anche se in alcuni di essi si è trattato di
occasioni di studio più che di attività già operative sul campo.

I motivi di indagine sono molteplici, e vanno dalla ricerca di nuovi
modelli urbani ed insediativi, alla necessità ecologica di potere
contare su un nuovo tipo di ambiente di riferimento, alle necessità di
creare nuova opportunità di lavoro a quella di salvaguardare uno
straordinario patrimonio di paesaggi, di saperi locali, di prodotti di
qualità, minacciati dai modelli aggressivi e insensati della
globalizzazione mercantile.

Questo insieme di fenomeni può essere colto nella sua manifestazione
unitaria più significativa, l’ambiente costruito storico e il
paesaggio, che come si è detto, vorremmo considerare non solo come un
valore dato, che è minacciato e che può essere alterato, ma come un
fenomeno in perenne divenire, un divenire che peraltro sta subendo
delle accelerazioni distruttive.

Dunque, in quanto fenomeno in perenne divenire, si tratta di fare
riferimento ad un problema di cicli e di ritmi, e ad un problema di
relazioni tra dinamiche naturali ed antropiche, oggi da considerare in
una fase di profonde, reciproche trasformazioni e da affrontare con
strumenti nuovi .

Tali strumenti possono essere rinnovati con riferimento al concetto di
relazione e alle pratiche relazionali, e in questo senso si stanno
sviluppando i nostri studi e la nostra attività di ricerca
sperimentale più recenti, verso un rinnovamento epistemologico che è
ancora in corso.

Tuttavia, tanto l’ambito degli studi e sperimentazioni sul paesaggio,
quanto quello delle reti ecologiche e della progettazione partecipata,
sono ambiti tra i più fertili per l’apprendimento sperimentale e
collettivo, oltre che scientifico ed estetico, verso un modello di
ecologia del progettare.


Giorgio Pizziolo*

*professore del Dipartimento di urbanistica e pianificazione del
territorio dell’Università di Firenze

Fonte: http://www.echos.fi.it/
Altra fonte: https://nuovaeraurbana.wordpress.com/

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