lunedì 24 agosto 2015

Piante: cibo e veleno - Bisogna conoscere bene le erbe prima di farne uso



Gli uomini hanno imparato a  riconoscere le piante velenose, quelle mangerecce e quelle curative osservando prima gli animali selvatici e poi quelli domestici che istintivamente ricorrevano alle piante per nutrirsi, disintossicarsi, per favorire il parto, per rimarginare ferite, ecc. 

Con il riavvicinamento alla natura, caratteristica del nostro tempo, è aumentata la sana voglia di passare più tempo a contatto con essa e di riscoprire quelle piante che i nostri antenati conoscevano bene e usavano quotidianamente per i loro scopi. 

Purtroppo non tutto quello che deriva dalle piante è innocuo, diversi principi attivi sono velenosi e possono procurare anche la morte.


Alcune piante, quando vengono toccate, causano fastidiose irritazioni sulla pelle con forte prurito e comparsa di bollicine, altre invece sono dannose solo se vengono ingerite e, con l’esperienza diretta, abbiamo imparato così ad evitarle o a manipolarle con guanti.


I Greci conoscevano parecchie piante velenose, ma quella che usavano maggiormente era la cicuta, utilizzata anche per eseguire condanne capitali.
I Romani conoscevano bene la cicuta, il giusquiamo, l’aconito e la belladonna. 
Lo storico Plutarco, in una sua opera in cui raccontò la vita di molti Greci e Romani, riferisce che le armate romane, sotto il comando di Marc’Antonio, furono avvelenate dalla belladonna mentre cercavano cibo durante la guerra contro i Parti: “Quelli che andavano in cerca di erbe, ne trovarono ben poche di quelle che erano abituati a mangiare e, assaggiando le erbe sconosciute, ne trovarono una che li fece uscir di senno e morire”.


Tutte le parti della belladonna sono velenose, i suoi principi attivi provocano l’innalzamento della temperatura corporea, la pelle diventa calda, secca e si arrossa, la vista si annebbia e cominciano le allucinazioni.


Fin dall’antichità l’uomo ha sempre cercato di difendersi dalle piante velenose. Mitridate VI Eupatore Dionisio detto il Grande (132ca - 63a.C.), re del Ponto (antica regione dell’Asia Minore settentrionale), è rimasto famoso per la sua cultura sui veleni di origine vegetale, provandone molti su di sé ingerendone piccole dosi, elaborando così una miscela complicatissima con circa 500 ingredienti che doveva proteggere l’uomo da qualsiasi veleno. Questo procedimento ha preso poi il nome di mitridatizzazione; il precursore della “moderna” omeopatia.


La leggenda narra che, quando fu sconfitto in battaglia dai Romani, Mitridate cercò di avvelenarsi ma invano, nessun veleno lo poteva far morire perché si era immunizzato con il composto da lui preparato.


Questo composto divenne noto con il nome di “mitridatico” e fu considerato come il miglior contravveleno conosciuto a Roma. Negli ingredienti venne fatto poi qualche cambiamento ma la formula base fu usata per più di un millennio; infatti gli imperatori, i re e gli uomini che occupavano alte cariche facevano un grande uso di contravveleni, in quanto esposti a tentativi d’avvelenamento fatti dai loro nemici per eliminarli. 


Oggi forse non tutti sanno che i più potenti veleni derivano dal mondo vegetale, basta pensare agli strofanti dell’Africa, al curaro dell’America, alle nostre cicute, aconiti, belladonna, digitali, ecc., acido cianidrico, a tutte le piante ornamentali tossiche che adornano i nostri terrazzi/balconi, interni, parchi e che fanno registrare frequenti casi di avvelenamento specialmente nei bambini. Allora che fare? Senza dubbio la cura migliore rimane la prevenzione, l’attenzione verso i bambini e verso se stessi, tutto sommato cose che richiedono soltanto un piccolo gradevole sforzo, quello di conoscere e/o approfondire le superficiali conoscenze delle piante che ci circondano, compito che questo gruppo, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, svolge egregiamente.


Enzo Presutti

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