Clenz Domus Venece: "...difesa dalle orde barbariche (homo homini lupus?) alias dalle invasioni di popoli sospinti dall'Eurasia centrale attorno all'anno 1000, 1200, 1300.. ovvero quando il mito di Gengis Khan (imperatore dei due oceani, pacifico e atlantico) plasmava le radici delle attuali identità eurasiatiche, dando il germe dei futuri imperi/regni della Cina, India Moghul, Persia sasanide, Turkestan ottomane, Ellade gregoriana (alias greco-romana, detta bizantina dai cronologisti gesuiti), Russia dell'orda, Slavonie, regni del centro-Europa (alani, franchi, anglo-sassoni, bulgari, goti, vandali, etc).. e l'Italia dei molti popoli nativi (lucani, liguri, venedi, etrussi, siculi, volsci, sabini, piceni, sardi, etc) si difendeva come poteva alle orde successive di "conquistadores" che, 2 secoli successivi, avrebbero proseguito la loro avanzata nelle Americhe... il forte persistere del bioregionalismo italico si può allora meglio comprendere ammettendo che i latini dell'Impero Romano 'occidente, siano solo stati una semplice fiction montata in epoca rinascimentale per nascondere la caduta definitiva della vera Roma (Costantinopoli) e voler trovare ad essa un nuovo luogo Rom'antico individuato dai Franchi nella libera penisola Italica (periferia dell'impero greco-romano di Costantinopoli, il quale aveva un proprio esarca in Ravenna), nelle paludi alle foci del fiume Tevere; qui i miti nativi antichi, vennero "virgiliamente", Petrarcamente" collegati ai miti imperiali della "Romania, ma l'anima dei popoli italici (bioregionalismi) sopravvisse nei suoi dialetti, ricette, usi e costumi, mentre la fiction di una lingua latina (lingua di classe, non di popolo) restò ristretta nei club dei classici, ovvero nelle università di letterati della classe mandarin e nulla residua in pastori o contadini in qualsivoglia angolo sperduto dell'arcipelago Italia..."
Paolo D'Arpini: "...mi piace l'afflato poetico ma il bioregionalismo non è propriamente un movimento etnocentrico... e le "orde" menzionate che transitavano sotto Montelupone erano essenzialmente quelle dei paesi vicini che andavano a razziare le contrade sperdute. Nel medioevo le Marche erano terra di passaggio e di conquista di vari eserciti, da quelli papalini ed imperiali (sacro romano impero) a quelli delle baronie locali, sempre in lotta fra loro. Di tanto in tanto implementate, le orde, da scorribande saracene... per questa ragione quasi tutti i centri abitati si erano spostati su alte colline... la stessa cosa è avvenuta in tante altre regioni d'Italia....
Per quanto riguarda l'appartenenza al movimento del bioregionalismo, va detto che questo termine non denota una appartenenza etnica bensì la capacità di rapportarsi con il luogo in cui si risiede considerandolo come la propria casa, come una espansione di sé. La definizione diviene appropriata nel momento in cui si vive in sintonia con il territorio e con gli elementi vitali che lo compongono.
Infatti chiunque può essere bioregionalista indipendentemente dalla provenienza di origine se segue la pratica dell’ecologia profonda, del vivere cercando di essere in sintonia il più possibile col mondo che ci circonda, in un modo in cui, pur sentendosi liberi di manifestare se stessi nelle proprie caratteristiche peculiari, non si ha bisogno di provocare danni all’ambiente od alla società in funzione di un personale esclusivo vantaggio. Nel bioregionalismo si cerca quindi di riportare un equilibrio fra l’uomo, l’ambiente e gli altri esseri viventi e non. E’ molto importante che si tenga sempre presente questo “spirito” in cui l’ecologia “profonda” diventa una pratica costante della vita, come un sottofondo profumato..."
Clenz Domus Venece: "...certo, ho preso spunto per una riflessione più ampia poiché, se è vero che il paese può venir inglobato in realtà più grande con il rischio di perdita di identità, è pur vero che questa politica è vecchia quanto la evoluzione degli stati sovranazionali. A me la domanda che si pone è: può coesistere un regionalismo etnico (identità di un luogo) con il globalismo di una unica lingua, identità cultura, etc, senza un conflitto tra le due tendenze? Se sì, in che termini è possibile che un indigeno possa preservare parte della sua identità in un mondo che corre verso l'accorpamento di tutto?"
Paolo D'Arpini: "...quando si parla di adattamento alla comunità in cui si vive, si sottintende anche che possa esserci un rischio di omologazione e cambiamento del proprio stile di vita, d'altronde è inevitabile che quando l'uomo si sposta dal suo habitat originario debba adattarsi ad un nuovo ambiente, questo fa parte dell'adattamento generale alle nuove condizioni, che è necessario al mantenimento della vita. La memoria comunque resta, come resta il patrimonio genetico, l'adattabilità è un aspetto evolutivo, mentre l'incapacità all'adattamento (od il suo rifiuto) è un aspetto involutivo. Con il cambiamento alcuni aspetti diventano sopiti ed altri vengono sollecitati ad emergere. D'altronde è la stessa identica cosa di quando usciamo dal grembo materno ed affrontiamo il mondo esterno... Non possiamo sfuggire al processo evolutivo, ma il disagio incontrato in nuovo ambiente, talvolta anche ostile, non implica che si debbano compiere sforzi per distruggerlo, piuttosto che si crei una sorta di equilibrio. Questo è l'equilibrio della sopravvivenza... e direi anche della buona attuazione bioregionale."
Dialogo conseguente alla pubblicazione dell'articolo http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2016/02/in-difesa-delle-piccole-comunita.html
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