Un nuovo pericolo si sta concretizzando per l’ambiente e per l’uomo a causa della crescente diffusione di inquinanti di nuova generazione, per i quali i sistemi di rimozione ed i relativi impianti di trattamento non garantiscono adeguati risultati, trovano particolare riscontro con riferimento ai residui di farmaci, ormai presenti nelle acque superficiali a concentrazioni dell’ordine dei ppb.
Tali valori di concentrazione sono ancora relativamente lontani dalle soglie di rischio derivanti dalla tossicità di molti di tali principi farmaceutici, ma sono anche di uno – ed in qualche caso due - ordini di grandezza maggiori rispetto ai valori che si potevano rilevare fino a 20-30 anni fa. Ciò dimostra l’esigenza di intervenire per evitare che tale trend si mantenga costante con il risultato di raggiungere in pochi anni valori prossimi ai limiti consentiti per non mettere a rischio la salute dei cittadini. Tale situazione è da imputare all’uso improprio ed esagerato che spesso viene fatto dei farmaci ed ai residui di lavorazione dei processi produttivi nel settore.
A tale situazione in ogni caso, si deve porre rimedio. I depuratori nella maggior parte dei casi sono costruiti con riferimento a classi di composti da rimuovere che rientrano in quelle tradizionali degli inquinanti, alle quali certamente non appartengono i residui di farmaci, data la relativa novità del fenomeno.
L’intervento correttivo non può che passare da un lato per un aggiornamento tecnico dei depuratori stessi e per una loro sempre più puntuale ed accurata manutenzione e dall’altro per sistemi integrativi pubblici e privati di rimozione di tali principi.
In tale prospettiva sembra necessario porre l’attenzione su implementazioni dei depuratori realizzate con impianti a valle dei depuratori stessi e quindi in grado di integrarne l’azione e su strategie di intervento porta a porta con sistemi depurativi da attivare a valle del rilascio dei reflui delle singole industrie per rimuovere da essi i principi farmaceutici ed i farmaci eventualmente presenti. La proposta è quindi quella di dotare ogni azienda di un sistema di monitoraggio dei principi o loro prodotti di trasformazione presenti nei reflui e di un sistema di rimozione basato su processi quanto più possibilmente economici, rispetto a questo tipo di problematica, i cosiddetti AOP (metodi di ossidazione avanzata),differenziati a seconda dell’ossidante utilizzato o dell’eventuale miscela di essi. Tale approccio soffre di tutti i difetti dei processi basati su reazioni chimiche “sporche” (gestione e controllo delle reazioni, ulteriori reflui prodotti, reattivi)
Alternativamente si possono adottare metodi fisici e biologici.
I primi prevedono l’utilizzo della luce solare per realizzare, in condizione di catalisi eterogenea da parte di biossido di titanio in forma anatasio, la fotodegradazione dei farmaci eventualmente presenti. Il processo può essere rinforzato assistendo la luce solare con un’opportuna sorgente di radiazione ultravioletta.
I secondi si affidano invece a microorganismi o a singoli enzimi (ossidasi, idrolasi, cicloossigenasi ) liberi, immobilizzati o operanti direttamente in suoli di sacrificio.
In entrambi i casi si dispone della tecnologia necessaria e si dichiara la disponibilità a descrivere in dettaglio il progetto e ad eseguire sperimentazioni in vivo presso produttori interessati e disponibili.
(Fonte: A.K.)
Nessun commento:
Posta un commento