martedì 4 marzo 2025

...è solo questione di uova...

 


“E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove un tizio va da uno psichiatra e dice: “Dottore, mio fratello è pazzo: crede di essere una gallina”. E il dottore gli chiede: “Perché non lo interna?”, e quello risponde: “E poi le uova chi me le fa?”. Credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna: e cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi… e credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova”. Con queste parole si chiude Io e Annie, uno dei film più divertenti e poetici di Woody Allen  girato quarant’anni fa. Con uno dei finali più arguti e profondi della storia del cinema, il regista newyorkese tocca il nervo scoperto di quella bizzarria umana che già la letteratura russa di fine Ottocento aveva ampiamente indagato e raccontato. Perché Woody Allen non è soltanto un regista; è anche un filosofo e un antropologo, profondo conoscitore dell’Europa Orientale da cui, almeno spiritualmente, proviene. E con il poetico finale di Io e Annie apre il discorso sulla necessità dell’illusione nell’esistenza dell’individuo.
 
L’illusione, Leopardi e le uova di Woody Allen
 
A quarant’anni da “Io e Annie” e dal suo straordinario finale, una riflessione sulla poetica di Woody Allen e sull’importanza dell’illusione come strumento per alleggerire la vita quotidiana. Che nei secoli ha avuto diverse letture e applicazioni, dall’Antica Grecia a Giacomo Leopardi.
 
– Frattanto si era fatto tardi e tutt'e due dovevamo andare per i fatti nostri. Era stato molto bello, rivedere ancora Annie, dico bene? Mi resi conto di quanto era in gamba stupenda e, sì, era un piacere... solo averla conosciuta... 
 
Storiella riportata da Ferdinando Renzetti



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