domenica 4 marzo 2012

Lorenzo Merlo: "Il senso del sacro come prima devianza dal naturale"

Sacralità: un ramo secco, un fiore di plastica, una roccia abitata.. o semplice erba?



Forse l´esigenza spirituale di noi tutti è l´unica peculiarità umana dalla quale è fiorita la sua dimensione materiale, la cultura.
Forse le grandi aggregazioni umane hanno acuito le esigenze di distinzione e quindi di guerra.

Forse oggi riferiamo a ipotesi soluzioni di problemi che la storia ci pone.
Così facendo adottiamo verità strumentali alle nostre esigenze.
Così facendo accrediatiamo ciò che vorremmo aggiornare.
Così facendo confermiamo che la storia è l´unica verità.

O semplicemente è sacro ciò che sta nell´io, e nulla più.



“La Terra è sacra...” - Così si legge nelle prime righe de Carta per il rinascimento della campagna, un interessante articolo di Wendell Berry, Giannozzo Pucci, Vandana Shiva, Maurizio Pallante (http://reti.ilcambiamento.it/ecologiaprofonda/2012/01/23/carta-per-il-rinascimento-della-campagna/).

Tutto il pezzo è una bellissima celebrazione della Terra. Meglio, è la celebrazione che può essere concepita e vissuta solo da coloro che ne stanno osservando la mortificazione, lo stupro, la violenza, l’ingiuria, l’insulto, la vergogna, la sopraffazione. Un pianto in più maniere che ogni giorno possiamo versare come tributo, fedeltà, amore e convinzione di verità. Ma è questo il punto interessante che offre la Carta. A quale verità ci stiamo riferendo? A quale verità stiamo affidando la nostra identità, concezione e realtà? Chiamando
“sacra” la Terra emettiamo un segno che necessariamente fa riferimento alla cultura umana. Cioè, prima di quella cultura, non v’era sacralità alcuna. Senza quella cultura non v’é sacralità alcuna, gli animali possono confermacelo (forse).


La considerazione non è frutto del mio sacco (ma non voglio sottrarmi ad eventuali mie responsabilità). E’ frutto invece della prospettiva dei primitivisti, dei green anarchy e forse di altri movimenti a loro affini. TUTTA la cultura umana, a partire dal linguaggio, è per loro una mediazione che necessariamente implica uno scollamento dalla Natura, dall’uno (minuscolo perché non da intendere in modo sacro).

Così, non si tratta più di difendere la campagna ma di fare presente che l’agricoltura è la prima forma organizzata di perdizione dell’uomo dalla sua condizione originaria. Non solo, ma l’ultima, cronologicamente, è l’arte. Quest’ultima, è un’espressione umana che praticamente tutte le società - modulandone l’esigenza - hanno celebrato senza riserva.

I primitivisti hanno osservato che solo le piccole società di meno di 100 persone, di raccoglitori-cacciatori, possono avere e mantenere un legame con la natura. (Resta da chiedere ai primitivisti se con le consapevolezze acquisite dagli uomini sussiste la possibilità di recuperare, con soddisfazione, le origini.) Aggregazioni più ampie tendono a provocare esigenze che producono cultura, cioè mediazione, distanza, separazione. Il sacro è perciò solo espressione culturale, quindi solo dimostrazione di estraneità alla natura, quindi di valore alcuno.

Se la propspettiva della loro radicale critica alla società non interessa ai tanti che condividono che le condizioni da loro elette sono irrecuperabili, potrebbe però interessare ai pochi che comunque si pongono domande. Due sono quelle qui utili.

1. La storia è il palmares di un inintterrotto campionato tra esigenze diverse? In caso positivo, non possiamo che rispettarla. In caso negativo non possiamo che offenderla. sacralità&verità ovvero la storia è l’unica verità?

2. La critica alla società dei primitivisti è particolarmente interessante quando - nel suo insieme - ci fa notare un aspetto che forse non è stato ancora adeguatamente trattato. Quello dei grandi numeri.

Ogni considerazione critica, come per esempio l’articolo sopra citato dedicato alla celebrazione della campagna, segnala preoccupazioni e cerca consensi affinché il cambio di rotta o di paradigma possa godere di una spinta a favore in più. Tentativo mirabile, ma che forse non è il prioritario. La priorità dovrebbe essere data all’osservazione delle dinamiche che i grandi numeri creano rispetto a quelle ammissibili nei piccoli.


Nei grandi numeri, è possibile non avere frange di sabotatori?
E’ possibile un equilibrio univoco?
E’ possibile l’onestà definitivamente affermata?
E’ possibile il consenso assoluto?
E’ possibile governare con amore?
E’ possibile un regno condiviso da tutti?
Forse basta un’incertezza negativa per una sola di queste domande per passare alla seconda fase, a sua volta sintetizzata in una domanda: come affermare la nostra verità?
Dovremo ricorrere alla forza?
Adotteremo la sopraffazione?
Anche i grandi numeri possono comportarsi come i piccoli?
Le dinamiche implicate nel grande numero non sono verità?
Porgeremo l’altra guancia lasciando che la Terra sia ulteriormente divorata?
Potremo fare a meno delle lobby di potere?

Se anche per la seconda fase ci venisse qualche incertezza, significa che siamo disponibili alla terza: come raggiungere il nuovo paradigma senza far ricorso agli strumenti del vecchio?
Se la risposta sta nella rivoluzione personale che ognuno di noi può compiere, da una parte affermiamo l’unica cosa capace di insinuarsi nello spazio apertoci dalla teoria (razionalistica), dall’altro - e questo è il punto - togliamo sacralità alla Terra e la diamo alla Storia.


Proprio come si era incominciato.


Lorenzo Merlo
VICTORYPROJECT
mailto:VICTORYPROJECTxex@victoryproject.net


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Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'incontro Collettivo Ecologista che si terrà ad Aprilia dal 22 al 24 giugno 2012:
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2012/01/20/programma-per-lincontro-collettivo-ecologista-solstizio-estivo-aprilia-latina-22-23-e-24-giugno-2012/

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