giovedì 13 dicembre 2018

Ecologia dei bisogni in una società bioregionale eticamente improntata ed i bisogni indotti dalla società consumista


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Il bisogno nel dizionario L'Oxford English Dictionary nell'edizione 1892 esprime due significati per il termine "need", "bisogno": il primo è la necessità di fare qualcosa mentre l'altro è la richiesta profonda, imperativa, d’avere qualcosa. L'edizione del 1929 dello stesso Dizionario aggiunge un terzo significato: "uno stato di desiderio fisico e/o psicologico, che orienta il comportamento verso la sua soddisfazione e verso il suo superamento". Erano i tempi della Grande crisi, tempi in cui Ford e Keynes avevano inventato ed applicato in America l'economia della domanda, allargando la base del consumo attraverso la concessione di un maggior salario ai lavoratori, orientando e definendo i loro bisogni e quindi i loro consumi, in maniera tale che gente con più denaro potesse spendere di più per allargare ancor più la richiesta di produzione dei beni, Da qui nasce il concetto di orientamento del comportamento della gente, che si ritrova associato nel 1929 al termine bisogno. Il bisogno istituzionalizzato 

Ma non era sufficiente: l'Occidente divenne un “pabulum” troppo stretto per i guadagni dei Signori del mondo. I forti avanzamenti tecnologici, susseguenti alla Seconda Guerra, avrebbero potuto allargare la base produttiva al di là dei bisogni materiali fondamentali. Bisognava allargare di conseguenza la base consumistica, suscitando nella gente nuovi e preordinati bisogni. Il 20 gennaio 1949 il bisogno, che diventava lo strumento operativo dell’allargamento del consumo, ebbe cristallizzato e istituzionalizzato un nuovo significato. L'artefice fu Harry Truman, che quel giorno pronunciò il suo “Inaugural adress”. Un’oligarchia avrebbe pensato e deciso per tutti; i Signori del mondo istituzionalizzarono il potere di definizione dei bisogni per un unico popolo globalizzato: cioè il genere umano, standardizzato, omologato, normalizzato, insomma disumanizzato. Da quel giorno ogni popolo del mondo non poteva avere più bisogni propri, derivanti dalla sua cultura, dalla sua nazione, dalle sue tradizioni, dal suo sentimento. 

Da quel giorno il nuovo significato di bisogno è: “La condizione psicologica indotta e programmata, epigeneticamente impressa nell'animo umano, di dover soddisfare desideri artificiali ed indotti, dettati dalla legge del mercato.” La base consumistica, allargata da Ford e da Keynes a tutte le popolazioni occidentali, ora con Truman coincideva con l'intera popolazione del pianeta, con l’intero genere umano. Il bisogno veniva omologato ed identificato dispoticamente per tutti con il benessere puramente materiale, con un benessere completamente mercificato, identificato nelle cose e nel loro possesso. Il malessere da benessere Il benessere non è più una condizione esistenziale dell’essere ma viene strettamente connesso con il possesso, con l’avere e con l’aspirazione al soddisfacimento di artificiali bisogni indotti, esclusivamente 9 materiali. Esso non è più un’aspirazione ed una scelta autonoma e cosciente dell’uomo verso il miglioramento della qualità della vita ma diventa una falsa utopia, un obiettivo ed un traguardo, che sfugge in avanti quando si crede di averlo raggiunto e che genera sensazioni ansiose, angosciose e stressanti verso nuove conquiste del benessere, da poco e per poco sfuggito, ed induce a nuove azioni e consumi per un rinnovato inseguimento. 

I Signori del mondo hanno maturato la coscienza che un mondo fatto di uomini contenti e soddisfatti, dotati di una personale e naturale scala di valori e di bisogni, fa guadagnare poco; il benessere insomma, se conquistato, frena i consumi. Nella gente, in tutti i popoli del mondo, va, pertanto, deliberatamente creata la permanente sensazione di avere di più, condizione che sta generando senso di malessere. Soprattutto nei giovani, più pronti a rispondere, per superarli, alle insoddisfazioni ed al malessere, aiutati in questa continua ricerca di benessere materiale da genitori, pronti a far rinunce per se stessi, pur di non ricreare nei figli quelle situazioni di disagio, di rinunce e di insoddisfazione che nella loro gioventù hanno vissuto con sofferenza. Lo strumento realizzativo Lo strumento realizzativo di questa proterva mistificazione è stato individuato nella pubblicità, propinata al consumatore attraverso tutti i mezzi di comunicazione, primo fra tutti la televisione. 

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La pubblicità ha un essenziale imperativo categorico: generare deliberatamente nuovi, urgenti e sempre inseguiti bisogni, quindi, inconscia insoddisfazione e malessere. E tali tormentose esigenze devono essere ciclicamente ed artificialmente prodotte e riprodotte fino a farle diventare mode, manie, vizi, condizionanti aspirazioni. Il fine cinico ed infingardo della pubblicità è costringere la gente a comprare di tutto ed a guadagnare di più per comprare di più, per far guadagnare di più i forti poteri economici. E’ nato un nuovo modo di fare e di diffondere cultura, falsa cultura, un nuovo modo di creare bisogni, un nuovo modo di formare e di educare i giovani fin dall’infanzia, vissuta passivamente dinanzi ad uno schermo televisivo. 

Questo è lo strumento più sottile per modellare i comportamenti ed i sentimenti della gente alla nuova legge del mercato, che non deve più essere regolato dalla domanda ma dall’offerta, la quale crea mistificata la domanda, violentando la psicologia collettiva. Lo strumento realizzativo e le nuove generazioni Sulla mente dei giovani tutto questo è stato ed è devastante. Essi, si sa, spinti dai bisogni naturali propri di un organismo e di una psicologia in sviluppo non ancora delusi o vinti dalle esperienze vissute in una società che deprime ogni slancio, sono pronti ad abbracciare i grandi ideali ed ad abbandonarsi alla grande stagione degli innamoramenti, non soltanto per l’altro sesso, ma per la forza di alcune grandi idee e per coloro che le diffondono. 

Purtroppo, dopo l’ubriacatura ed il miraggio di un mondo migliore, vissuti dalla generazione degli anni ‘60, i giovani hanno vissuto una fase di riflusso e di abbandono, conseguente alla profonda delusione ingenerata dal crollo dei miti del ‘68. Il tramonto delle ideologie, delle speranza per un mondo migliore, di un preciso orientamento per la vita, la disgregazione della famiglia e soprattutto la perdita della figura paterna quale saldo riferimento educativo, sostituita dall’educazione televisiva, hanno creato nei giovani bisogni marginali ed elusivi, spingendoli verso gli innamoramenti più facili e più banali: il denaro, la materialità, la velocità, l’esteriorità, le droghe ed il sesso distorto; la violenza contro se stessi (il suicidio, anche di gruppo), contro i bambini, i negri, gli ebrei, gli extracomunitari, gli “ultrà” delle curve degli stadi, insomma verso i diversi. 

Nascono, così, giochi proibiti quali corse folli in moto, lo sfidare le sbarre dei passaggi a livello mentre si abbassano, bersagliare con i sassi le auto sotto i cavalcavia, e poi l’alcool assassino, e qualche altro venefico intruglio, consumati nei tragici sabato sera in discoteca o altrove, in cerca di nuove sensazioni declamate e pretese dalle mode televisive.

Prof. Antonello Senni - AK Informa N. 50

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