venerdì 22 febbraio 2019

"niente-tutto", ove non c'è altro ad essere distinto...


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Niente-tutto. Il binomio è contraddittorio: è di noi tutti tanto anelare alla pace, quanto essere intolleranti. È ragion sufficiente per sospettare che la pace permanente sia una incongrua aspirazione, oppure, per creare processi autoeducativi per scoprire come abortire gli embrioni di ogni conflitto?

Processi umanamente possibili o cacciati a forza dalla presuntuosa ragione entro i limitati confini delle nostre identità? Dunque buoni per prendere coscienza che la concezione meccacinistica dell’uomo non può essere estesa ad ogni sua circostanza?

Se realizzeremo la rivoluzione individuale, per vivere le relazioni nel rispetto, ci avvieremo a esprimere pace senza bisogno di appellarci al diritto razionale?

Avremo a quel punto realizzato il progetto del Cristo e dell’anarchia?

Per intenzioni e sospetti di questa portata, incertezze di questo peso e lotte di questo valore, anche il nichilismo offre la sua spinta evolutiva.
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Premessa

Sente la potenza trascendente nichilista chi vede il permanente affanno degli uomini protrarsi fino alla sopraffazione dell’altro pur di affermare sé; chi vede che anche dopo quelle affermazioni ancora la serenità non sopraggiunge; chi sente che la livella nichilista è una modalità occiden- tale per accedere a dimensioni umane altrimenti lasciate al fango dei giorni.

Un niente per il tutto

Ipotizzando che lo spirito del nichilismo abbia pari diritto di ogni altro, potremmo condividerne il messaggio, l’essenza, il valore utili al nostro equilibrio, al riconoscimento del nostro profondo sé.

“... In questo senso il nichilismo, come negazione di un mondo vero, di un essere, potrebbe risultare un modo di pensare divino.”
Nietzsche Friedrich, La teologia a partire da Kant.
Dall’introduzione di Maurizio Guerri.

Diversamente da quanto ci sussurra, con insistenza il luogo comune - qualcosa di nefasto dal quale prendere le distanze - il nichilismo non è privo di orpelli nobili. Non c’è in lui alcuna contiguità con l’indifferenza e l’apatia, nessun prodromo della depressione, non è in lui appiattire ciò che ci appare come ente, come qualcosa che abbia valore, a niente. Né ha a che vedere con l’accidia, arida mortificazione più spirituale che pigrizia materiale, che rimanda ad una inespri- mibile richiesta di amore.

Piuttosto, gli è proprio farci presente che elevare qualcosa al di sopra di altro, preclude allo scaturire della profonda co- scienza di sé, sempre nascosta dietro le più radicate, egocen- triche convinzioni.

Una volta consapevoli di noi stessi, non possiamo che ri conoscere la permanente arbitrarietà delle nostre affermazioni. Non possiamo che convenire che viviamo solo entro il nostro discorso1, che non abbiamo altro territorio vitale oltre alla mente2 nella quale siamo immersi.

“Ciò che sta al di là dei nostri concetti è del tutto inconoscibile.”
Nietzsche Friedrich, La teologia a partire da Kant.

Nel nichilismo si può quindi riconoscere un risultato evolutivo. Esso scaturisce dalla consapevolezza che tutti gli affanni sono di pari valore, che farne graduatorie - tutte egoistiche - ci può anche portare in cima, ma su vette di carta.

Individualismo del secondo tipo

Secondo lui - il nichilismo - ogni arbitrio è arrogante, inopportuno, privo di sostanza duratura e ragione universale. Per lui, ogni arbitrio necessita ed esprime forza sopraffattrice che, per implicita natura, si realizza nel sopprimerne altre. Ogni arbitrio fa l’occhiolino alla meschinità e alla disonestà.

Condotte che sciamano in noi a rotazione, secondo il disegno delle circostanze della vita.

Condizioni che mortificano le nostre migliori potenzialità di realizzare vite private, relazionali e sociali via via più idonee alla bellezza.

Nessuno dovrebbe esonerarsi dal mettere in moto la propria evoluzione olistica, tutti possiamo riconoscere che se ogni foglia dedicasse a se stessa tutte e energie, prima il ramo e poi l’albero ne soffrirebbero.

Tutti dovrebbero secondo misura personale farsi foglia di albero.

...“la misura della forza è ora costituita dal punto sino al quale noi possiamo ammettere, senza rammarico, l’illusorietà, la necessità della menzogna. In questo senso il nichilismo, come negazione di un mondo vero, di un essere, potrebbe risultare un modo di pensare  divino”.
Michel Foucault
Gregory Bateson

Nichilismo dunque non come fine del pensiero ma come liberazione dalle “superstizioni” della metafisica della rappresentazione, della causa e dello scopo, e , contemporaneamente, liberazione di quel pensare che nega l’”essere” e il “mondo vero” ma che non cessa di agire e di comprendere nutrendosi della tensione tragica tra il riconoscimento dell’infinito della natura e l’insuperabilità della frammentarietà della forma, ovvero, della “divinizzazione dell’apparenza”.3

... ci cattura sempre

Dal cospetto della nostra ricerca – qualunque essa sia – c’è difficoltà ad evitare il pungente compagno di viaggio detto nichilismo. Non di rado è acuto. Spesso riesce a sciogliere nel suo acido anche le architetture più solide e belle.

Non ha riguardo per niente, ma ci si può fida- re, non mente mai. Merita rispetto. Uno dei suoi trucchi – ma la realtà è maschera, quindi non è un inganno – sta nel portarci a traguardare le cose, il mondo, da un punto di vista utile alla sua causa. È ammaliante. Si estende su una rete sottile, che non vediamo se non quando ci prende. E sa attendere, quindi ci cattura sempre.

“Ma anche lì l’epistemologia che guidava il nostro pensiero e il nostro scrivere era quella di una realtà oggettiva indipendente dall’os- servatore.”
Maturana Humberto, Varela Francisco, Autopoiesi e cognizione.

Apparenza

Tuttavia ci sono momenti in cui sembra di essere riusciti a seminarlo, il nichilismo. Accade quando capita di essere nel qui ed ora, dentro il presente, identificati con le nostre concezioni. Ma anche quando liberi dal brigantag- gio che l’ego compie su noi stessi, ci orrifichiamo dei nostri stessi giudizi sul mondo. In ambo i casi si tratta di contesti nei quali non possiamo più dire “io”.

Dici “io” e sei orgoglioso di questa parola. Ma più grande è, anche se non vorrai crederci, il tuo corpo e la sua grande ragione: questa non dice “io”, ma agisce da io […]

C’è più assennatezza nel tuo corpo che nella tua più assennata saggezza. E chi può dire a quale scopo il tuo corpo ha bisogno proprio di questa saggezza così assennata?4

Senza “io”, si è in una condizione nelle quale non si avverte più la separazione delle cose, semmai la loro contiguità e necessarietà. La loro imprescindibile relazione. Uno stato nel quale non si fa arte, la si è; non facciamo niente, siamo tutto.
Nietzsche Friedrich, La teologia a partire da Kant. Dall’introduzione di Maurizio Guerri.
Nietzsche Friedrich, Divieni ciò che sei

Un ritorno all’Uno, alla condizione promigenia, astorica, che non è e non può essere permanente.

Tutto è dialettica

Così, senza fretta e senza accorgerci, ci si ritrova a riconoscere che qualunque questione intellettuale, speculativa, analitica e globale, non contiene, né conduce ad alcuna verità, che non sia creata dalla sua stessa dialettica. Ogni questione è ambitale, autopoieutica5, si crea mentre la si pronuncia, e la si pronuncia in modo da poterla creare ed alimentare e in modo sia confacente a noi stessi. Tira acqua al proprio mulino. La questione, fuori dall’invisibile e spesso inconsapevole recinto dell’ambito, non dice più nulla, non ha più ragione d’essere.

“Fierissimo europeo del XIX secolo, che corri come un folle! Il tuo sapere non perfezio- na la natura, si limita unicamente ad annienta- re la tua.”
Nietzsche Friedrich, Divieni ciò che sei.

Questa distinzione è possibile sulla base dell’assunto che “le nozioni che hanno origine nel [nostro] dominio di descrizione non riguardano la organizzazione costituitiva dell’unità (fenomeno) che deve essere spiegata”.6

Tanto più un’esposizione – qualunque sia il suo oggetto – è opportuna all’interlocutore tanto più gli sembrerà accreditabile, vera. Viceversa, se è inadeguata a coniugarsi con la biografia alla quale è destinata, tanto più – anche l’oggetto apparentemente più esclusivo, sacro e bello - avrà tutte le chances per non essere comunicato, riconosciuto, valorizzato. Anzi, per non essere proprio.

Un solo perno

Non solo. Tutti i nostri argomenti ruoteranno intorno ad un solo perno. Non si pensi tanto al vanesio intento proselitico delle nostre affermazioni. Piuttosto, al nostro equilibrio. Nessuna cosa sarà da noi sostenuta se questa spinge il nostro baricentro identitario fuori dalla sua base d’appoggio, sola superficie della nostra sopravvivenza, della nostra identità, della nostra evoluzione. alle schiere di idee che lo proteggono. Diversamente rifiutiamo.  

Tuttavia, quanto accogliamo da altri, quanto aggiungiamo alle nostre affermazioni, quanto utilizziamo per aggiornare il nostro riflettere, ha in sé il necessario per ruotare ancora intorno a quel medesimo perno. In pratica, possiamo accettare ciò che conforta e rinforza l’equilibrio, ciò che si coordina Sistema di autocreazione di se stessi. Termine coniato da Humberto Maturana.
Maturana Humberto, Varela Francisco, Autopoiesi e cognizione

Esempio

Come la democrazia. Dopo averla concepita nella sua sicura e rassicurante purezza, siamo rimasti ancorati ai suoi bei proclami, nonostante le dimostrazioni quotidiane di quanto si siano abbrutiti e allontanati dalla propria origine, nono- stante siano stati mostruosamente deformati dalla burocrazia, nonostante le stanze dei suoi palazzi siano tutte androni della corruzione, non riusciamo né a ricucire gli strappi fatti alla sua bandiera, né a rinunciarvi7. Così, per quanto pare abbia espresso l’ultimo e apparentemente migliore risultato della storia, per quanto sia oggi profondamente e radicalmente criticabile, si stenta a separarsene: ce ne siamo identificati; le alternative ci appaiono inaccettabili, tutte annichilirebbero quel perno essenziale a noi stessi.  

“Ogni terreno non può che franarle sistematicamente sotto i piedi. Niente può corrispondere alla sua esigenza perché solo il niente, che non è, è il fondamento logico dell’ente.”
Rocco Ronchi, Il canone minore.

Così, pur potendo immaginare quanto sarebbe bello vivere in uno stato agile e veloce, non siamo nelle condizioni di realizzarlo se non uccidendola, la democrazia. Se non tornando ad aspirare e vedere il bello -solo per alcuni- dei pugni di ferro. Se non si può ancora dire che ce lo siamo voluto, si può però dire che ce lo stiamo volendo.

Non è apologia dell’assolutismo. Quella democrazia che sognavamo e volevamo ardentemente, che avevamo idealizzato a nostra migliore immagine e somiglianza, ora ci appare vestita della sua concreta, rattoppata storicità. Ora sembra accettabile, giusto, voler cambiare vestito, rinunciarvi.

L’invasiva malpolitica e certamente tanto altro stanno riuscendo ad allontanarci dal desiderio di democrazia. È la storia che ci segnala quanto sia funzionale la martellante difficoltà quotidiana al sempre più diffuso auspicio di vederla risolta in tempi brevi, senza più i lunghi lacci che tessono la democrazia. Quelli che, abbracciati al liberismo economico e morale, l’avevano creata. Mentre vediamo il suo lato oscuro, scorgiamo i vantaggi di un ordine  che sappiamo facilmente abbinare a governi più rigidi.  

È di oggi, 14 marzo 2017 uno dei record della democrazia, uno dei segnali che anche senza essere razionalizzati dall’uomo comune, ribadiscono la traccia che conduce ad abbandonare quella forma di governo che era sembrata senza rivali. Un giudice della Corte d’Appello ha dovuto prosciogliere un violentatore di una bimba di sette anni - già condannato in primo grado a 12 anni - perché troppo tempo è trascorso dai fatti, 20 anni.

È tanto più difficile abbandonare l’idea della democrazia quanto più ce ne eravamo identificati. La separazione che possiamo accettare può avvenire per gradi contigui, non improvvisa- mente. Diversamente, sarebbe come compiere un gesto maldestro che ci fa uscire il baricentro dalla nostra base d’appoggio. Come per partire, cioè lasciarsi alle spalle routine e domini, sarebbe come morire. È un processo che avviene per qualunque idea, scelta, ambito. Necessario per salvaguardare l’identità, la sopravvivenza. Ogni com promesso che consideriamo accettabile, ogni passo esplorativo che consideriamo idoneo a noi stessi sottostà a questa legge.  

“Era facile essere presi nel proprio ego, ma se si riusciva ad ottenere almeno qualche grado di libertà da esso, si cominciava ad ascoltare e il linguaggio cominciava a cambiare; e allora, ma solo allora, si potevano dire cose nuove.”
Maturana Humberto, Varela Francisco, Autopoiesi e cognizione.

La morale che interessa qui, è che le cose si muovono, che la forma che meglio esprime il tempo è quella del pendolo. La sola permanenza è l’oscillazione. Il nichilismo ne è una modesta constatazione. La morale è che scoprire i lati oscuri delle nostre fedi che credevamo cristalline non è che una rispettabile premessa per riconoscere che ogni oggetto della nostra attenzione è potenzialmente soggetto della medesima sorte. È lì che può farsi in noi la consapevolezza del nichilismo, è lì la sua ragione d’essere. È lì che la ragione anarchica e cristica trovano il terreno adatto al loro basamento. Non più accumulo e sopraffazione ma assunzione di responsabilità di tutto, amore.

Come in alto così in basso

Dunque la qualità spirituale del nichilismo non è semplicisticamente negativa e sconveniente, come un becero luogo comune vorrebbe, è semmai, e prioritariamente, la sola, in grado di farci presente quanto non potremo che perpetuare la storia mentre urliamo, tutti, di volerla cambiare, migliorare, trasformare (magari affidandoci alla tecnologia).

Nichilismo perciò come una sorta di El Dorado. Vetta accessibile a chi non si perde lungo la parete, attratto ora da una, ora dall’altra tra le molte linee che non portano in cima.

Nella sua Introduzione alla metafisica del 1935, Martin Heidegger qualificava la domanda metafisica come la domanda “di più vasta portata”. Essa, infatti, corrode inesorabilmente ogni ente, lo insegue e lo stana lasciandolo in un’inquietudine senza rimedio circa il suo essere.

Non c’è ambito dell’esperienza che possa essere risparmiato alla “furia” di un tale domandare. Non c’è ente che non sia affetto da una definitiva precarietà ontologica. Anche Dio, nella misura in cui è un ente, è fatto vacillare dalla domanda della metafisica che giustamente è stata detta la domanda- guida (Leitfrage). L’iperbole di tale “furia del dileguare”, prodotta dalla domanda metafisica fondamentale, è rappresentata dall’ipotesi cartesiana del Dio ingannatore [...] in forza della quale anche le verità logiche e matematiche, le verità analitiche di cui si predica l’incondizionata necessità, sono sospese all’arbitrio di una potenza di non essere. Ma

la domanda metafisica è detta da Heidegger anche “la più profonda” perché essa, nella sua ricerca di un fondamento, procede per crolli successivi, per sprofondamenti continui. Essa va sempre più a fondo fino a (non) toccare il non-

Basterà l’autoironia o sarà necessario deintellettualizzare la cultura per essere felici...

fondamento (Un-grund). Ogni terreno non può che franarle sistematicamente sotto i piedi. Niente può corrispondere alla sua esigenza perché solo il niente, che non è, è il fondamento logico dell’ente.8

V per Verità?

Ecco. O è una questione dialettica, e se non lo è, se è proprio di Verità che si sta credendo di parlare, come fa ad essere il nichilismo una questione più meritevole delle sue antagoniste? La risposta è di quel genere che appare semplice, contenuta nella stessa domanda.

È proprio dalla consapevolezza di quella insolubile contesa, da quella velleitaria e narcisistica graduatoria delle cose del mondo, che la prospettiva del nichilismo si genera in noi, che prende il valore che spetta ad ogni cartina di tornasole.

Parlare di antagonismo di idee, scelte e comportamenti, riconoscerne la presenza anche in noi, nei nostri più amorevoli ed intenzionalmente univoci intendimenti, è uno dei modi per accorgerci che anche se credevamo di viag- giare soli, il nichilismo, era lì, zitto e fermo ad aspettartarci. Pronto a dirci che non possiamo professare non di sopraffare e contemporaneamente non contraddirci nei fatti. Cadremmo in un luciferico tentativo di salvezza, sorretti solo dalla dimensione razionale, disumana se resa assoluta e universale. Lottare per il giusto non è arbitrio diverso da qualunque altro, il più odioso incluso. Pronto a dirci che la storia si perpetua su questa inesausta ruota da criceto, sola permanente Verità dei nostri giorni.

Basterà l’autoironia o sarà necessario deintellettualizzare la cultura per essere felici del nostro nuovo compagno di viaggio?

Rocco Ronchi, Il canone minore.

Ammettere la non verità come condizione della vita: ciò indubbiamente significa metterci pericolosamente in contrasto con inconsueti sentimenti di valore.9

Lorenzo Merlo 


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Biblio

Amadei Gherardo - Mindfulness - Essere consapevoli - Il Mulino

Barcellona Pietro - Il sapere affettivo - Diabasis

Bateson Gregory - Mente e natura - Adelphi

Bateson Gregory - Una sacra unità - Adelphi

Bateson Gregory - Verso un’ecologia della mente - Adelphi

Buber Martin - Daniel. Cinque dialoghi estatici - Giuntina

Ceruti Mauro - Il vincolo e la possibilità - Raffaello Cortina

Foucault Michel - Sorvegliare e punire - Einaudi

Foucault Michel - Le parole e le cose - Rizzoli

Maturana Humberto, Varela Francisco - Autopoiesi e cognizione - Marsilio

Nietzsche Friedrich - Al di là del bene e del male - Adelphi

Nietzsche Friedrich - Divieni ciò che sei - Christian Marinotti ed.

Nucara Letizia - La filosofia di Humberto Maturana - Le Lettere

Ronchi Rocco - Il canone minore - Feltrinelli

https://www.youtube.com/watch?v=61GU6qALknc

Nietzsche Friedrich, Al di là del bene e del male

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