Il libro dà voce a dieci racconti di giovani italiani e cittadini del mondo che parlano di sé, dello sfruttamento, delle speranze e dei bisogni di tantissimi lavoratori.
Aroldi, 64 anni, di Martignana di Po, è stato per una vita operaio metalmeccanico e delegato Fiom.
Dopo l'incidente automobilistico nel dicembre 1980 che lo ha costretto in ospedale fino all'agosto 1982, alla militanza nella sinistra ha aggiunto l'hobby sportivo che gli ha fatto guadagnare 37 titoli italiani paralimpici tra getto del peso, lancio del disco e lancio del giavellotto.
Scrive Fabrizio: "Lo sport è un hobby ma la mia vita è il lavoro perché e con il lavoro, con un lavoro retribuito in modo dignitoso e giusto, che ciascuno può formare una famiglia e avere uno stipendio per pagare la luce, il metano, le tasse, tutto quello che serve. Il lavoro è integrazione, è un diritto e anche un dovere, il modo più pieno per contribuire allo sviluppo individuale e della società ". E sottolinea concludendo: "Questo è il mio cruccio: occorre ricostruire una solidarietà tra lavoratori come c'era prima. (...) La politica dov'è? Il sindacato dov'è? (...) Uniamoci, ricostruiamo la solidarietà che c'era prima, superiamo l'egoismo che in qualche modo ha colpito anche noi operai".
Dopo l'incidente automobilistico nel dicembre 1980 che lo ha costretto in ospedale fino all'agosto 1982, alla militanza nella sinistra ha aggiunto l'hobby sportivo che gli ha fatto guadagnare 37 titoli italiani paralimpici tra getto del peso, lancio del disco e lancio del giavellotto.
Scrive Fabrizio: "Lo sport è un hobby ma la mia vita è il lavoro perché e con il lavoro, con un lavoro retribuito in modo dignitoso e giusto, che ciascuno può formare una famiglia e avere uno stipendio per pagare la luce, il metano, le tasse, tutto quello che serve. Il lavoro è integrazione, è un diritto e anche un dovere, il modo più pieno per contribuire allo sviluppo individuale e della società ". E sottolinea concludendo: "Questo è il mio cruccio: occorre ricostruire una solidarietà tra lavoratori come c'era prima. (...) La politica dov'è? Il sindacato dov'è? (...) Uniamoci, ricostruiamo la solidarietà che c'era prima, superiamo l'egoismo che in qualche modo ha colpito anche noi operai".
La produzione e il traffico di strumenti di morte rientra nella situazione del contributo al progresso sociale?
C'è dignità nel produrre bombe, missili, strumenti militari?
E' possibile operare delle distinzioni?
La coscienza può stare in pace quando il carro armato è costruito "per difesa", mentre deve inquietarsi solo quando le armi sono destinate alla vendita "per offesa"?
La condizione dei cicli produttivi all'interno del sistema vigente però è ancora più complessa e sottile nelle questioni politiche ed etiche che propone (sempre che si voglia mantenere un rapporto tra la politica e l'etica).
Andrebbe avanzata un'altra domanda, ancora più specifica.
Come porsi di fronte ai prodotti dual use? Quelli che hanno una destinazione dichiaratamente civile ma che, anche con minimi adattamenti, possono avere un impiego militare?
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