giovedì 2 marzo 2017

Chemioterapia... la conclusione amara


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A presentare lo studio del Prof. Peter Wise è Fiona Gldlee, direttrice del Brithis Medical Journal. “I malati di cancro vivono più a lungo di 40 anni fa. Ma quanto di questo miglioramento  può essere attribuito ai trattamenti farmacologici? Non molto”, scrive l’editoriale Too Much chemotherapy con il quale invita tutti gli oncologi  a leggere la documentazione pubblicata sulla rivista scientifica del Prof. Wise, già consulente del Charing Cross Hospital e della Imperial College School of Medicine di Londra.

Wise prende dapprima in esame una meta-analisi che ha studiato il contributo dato della chemioterapia citotossica ai fini della sopravvivenza a 5 anni dei pazienti. “Sono stati 250.000 gli adulti presi in esame, tutti con tumori solidi. Un effetto significativo della chemioterapia è stato dimostrato solo ai cancri ai testicoli, alla cervice, alle ovaie e nei linfomi, che tutti insieme costituiscono meno del 10% di tutti i casi di tumore. Nel rimanente 90% dei malati (compresi quelli con cancro al polmone,  alla prostata, al colon retto e al seno) i benefici si limitavano a circa 3 mesi di sopravvivenza in più.  Inoltre, prosegue Wise citando dati e statistiche, “14 regimi terapeutici a base di nuovo farmaci approvati dall’agenzia Europea del farmaco, su tumori solidi in persone adulte, hanno portato appena 1,2 mesi di sopravvivenza in più”. Ciò ha indotto Wise a concludere che “I nuovi farmaci non fanno meglio dei vecchi”.

Un altro esempio è tratto dai dati americani; 48 regimi terapeutici approvati dalla Food and Drug Administration dal 2002 al 2014 hanno “regalato” ai malati in termini di sopravvivenza appena 2,1 mesi. Quindi “i trattamenti farmacologici possono spiegare in minima parte il miglioramento del 20% di sopravvivenza a 5 anni che si è avuto.La diffusione della diagnosi precoce e altri trattamenti possono aver contribuito molto di più”.

Wise mette poi il dito sulla piaga dei tantissimi studi clinici finanziati dall’industria farmaceutica, sottolineando come molti farmaci approvati per il miglioramento della sopravvivenza si siano poi rivelati privi di questa efficacia.

Un’altra grave pecca che Wise sottolinea è la mancanza di informazione dei pazienti in merito alla reale efficacia dei farmaci e ai loro effetti collaterali potenzialmente molto gravi, compresa la morte che può avvenire soprattutto nei primi mesi di terapia. “I malati non vengono nemmeno informati dell’aumentata possibilità  per loro di morire in ospedale rispetto a chi riceve solo cure palliative, questo è importante perché la maggior parte dei pazienti preferisce terminare i propri giorni a casa o in un hospice, piuttosto che in ospedale”.

Inoltre secondo Wise, i malati sovrastimano i benefici dei farmaci. “In un importante studio multicentrico, quasi il 75% dei 1200 pazienti con cancro metastatico al colon retto e al polmone era convinto che il proprio tumore potesse essere curato con la chemioterapia. Eppure in queste situazioni la cura è di fatto sconosciuta. In un altro studio emerge che tra medici e pazienti l’argomento della sopravvivenza viene discusso in modo appropriato solo al 30% dei casi”.

“Per approdate a un trattamento dei pazienti che si possa definire etico, secondo Wise, “occorre fornire ai malati informazioni accurate e imparziali e sottoporre loro un consenso informato corretto e trasparente”. La conclusione è amara: il fatto che sia il mercato, e non la tutela della salute a definire priorità e pratiche non va a beneficio dei malati oncologici.

Articolo tratto dalla rivista Terra Nuova n. 324, febbraio 2017, a firma di Beatrice Salvemini


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