Servono giustizia sociale e sostenibilità per evitare la distruzione della Casa Comune e le guerre di competizione per le risorse. Sono le conclusioni del Workshop in Vaticano organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze dal titolo: “Estinzione biologica. Come salvare l'ambiente naturale da cui dipendiamo”.
Il tessuto del Pianeta ci sta scivolando tra le dita e per quanto sembri un problema lontano, quello dell’estinzione biologica è invece irreversibile, dietro le porte, colpa in primo luogo del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici che rischiano di distruggere il 20-40 per cento di tutta la biodiversità sulla Terra entro la fine di questo secolo; colpa del consumo intensivo, dello sfruttamento delle risorse, della deforestazione massiccia. La sopravvivenza del mondo naturale e in ultima analisi la nostra, avvertono scienziati ed esperti, dipendono dall’adozione di principi di giustizia sociale e sostenibilità: pensare al bene comune e convertirlo in azioni. Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze:
“Questa è l’idea fondamentale della Chiesa: pensare il bene comune e il bene di ciascuna persona e non pensare solo al profitto. Si dice chiaramente nel Documento finale che la cosa più importante è sradicare la povertà; la seconda cosa è cercare la giustizia sociale mondiale: non è possibile che pochi ricchi delle multinazionali abbiano oltre il 50% di tutti i beni prodotti dalla natura. E’ una cosa che non è giusta. E per questo è necessario che i governi utilizzino le tasse, anche imponendole, per il bene comune, perché i poveri in Amazzonia possano tenersi le foreste, per esempio, e non siano costrette a venderle per sopravvivere”.
Il problema - ha detto invece il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze e Premio Nobel Werner Arber - non è tanto il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, ma se il mondo sarà in grado di operare sostenibilmente durante il resto della nostra vita, perché l’attività umana sta spingendo all’estinzione specie che attualmente ci consentono di vivere. La risposta è un modello di crescita sostenibile che contempli una riduzione della attività umana sull’ambiente e l’utilizzo di tecnologie non rapaci, non avide, come spesso appare la mano dell’uomo. Ancora Sorondo:
“Noi neanche conosciamo tutte le specie che ci sono… ne conosciamo solo una minima parte. Del resto, lo dice il Papa, anche, nell’Enciclica. Sappiamo che molte specie si stanno estinguendo e questo è terribile: è terribile per il futuro ed è terribile anche per l’armonia della vita umana. La causa fondamentale di tutto questo è l’uso di energie che vengono dal petrolio a dal carbonio e che cambiano il ciclo dell’acqua e cambiando il ciclo dell’acqua perdiamo la biodiversità”.
Il dato che deve farci più riflettere è che fino alla fine degli anni 60 usavamo circa il 70% della capacità del pianeta, oggi ne utilizziamo circa il 156% questo perché siamo di più e sfruttiamo di più le risorse. Tuttavia, ci sono 800 milioni di persone che soffrono di malnutrizione cronica e 100 milioni che subiscono la fame. Il nodo cruciale, ha voluto però ribadire mons. Sorondo, non sta nel contenimento della popolazione con metodi artificiali di controllo delle nascite ma su un consumo più equo che non distrugga la Terra e non provochi guerre di competizione per le risorse:
“Non è la popolazione che produce anidride carbonica. E’ l’attività umana, invece, che utilizza l’energia e dunque produce la contaminazione ambientale. Noi chiediamo che l’attività umana non usi più questo tipo di energia e che si utilizzino buone tecnologie capaci di dare più cibo alla gente. La prima cosa è salvare l’acqua: salvare l’acqua da questa attività umana che provoca inquinamento … La questione dell’acqua, come ha detto il Papa, è centrale perché la prima cosa che produce il riscaldamento globale è alterare il ciclo dell’acqua e poi può provocare guerre”.
Che cosa fare in concreto dunque per fermare la deriva dell’estinzione? Sforzarci di preservare la biodiversità: conservare le aree naturali in particolare quelle con rilievo topografico, garantire interazioni sostenibili; “addomesticare” gli organismi o coltivarli o metterli nelle banche dei semi, per preservarne il maggior numero possibile, fintanto che esistano ancora. Per alcuni di essi potrebbe funzionare la crioconservazione. Tutti questi metodi vanno migliorati e applicati sulla base di una conoscenza approfondita degli organismi, ma avranno successo a lungo termine solo quando saranno messe in atto le appropriate condizioni sociali e quando verranno trovate delle alternative all’aggressione destabilizzante che noi e i nostri antenati pratichiamo da decine di migliaia di anni.
(Fonte: A.K. N.9 - 2017)
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