domenica 13 ottobre 2013

Umbria - Sergio Cabras: "Passi avanti per l'Agricoltura Contadina"

Salve a tutti, ci siamo incontrati giovedì 10 ottobre 2013  a Roma per l'incontro con i deputati alla sala stampa della Camera; vi invio questa cosa che ho scritto e che ho presentato ai consiglieri regionali che hanno avanzato delle proposte di legge in materia in Umbria. Il progetto è presentato come relativo alla realtà della regione dell'Umbria, ma, con le necessarie modifiche ed adattamenti, è pensato come proponibile a livello nazionale o anche nelle altre regioni. Ve lo mando per conoscenza e come contributo alla discussione e naturalmente mi fa piacere conoscere le vostre osservazioni in merito. Il testo è anche parte di un libro che ho scritto che dovrebbe uscire a novembre il cui titolo sarà "Terra e futuro. L'agricoltura contadina ci salverà", edito da Eurilink. (S.C.)


Discorso sull'agricoltura contadina  - Incontro Collettivo Ecologista 



Proposta di progetto organico legislativo per
un ripopolamento ecosistemico delle zone rurali e
per la valorizzazione del demanio agricolo
nella Regione Umbria

di Sergio Cabras

BREVE PREMESSA

La proposta vuol richiamare l’attenzione di politici ed amministratori della Regione Umbria, insieme a quella di tutte le persone di buona volontà e che hanno a cuore i temi dell’ambiente, del paesaggio, della biodiversità, dell’occupazione, della qualità della vita e del cibo, sull’opportunità di destinare quanto più possibile la grande risorsa/bene comune del demanio agricolo ad un progetto teso ad una gestione del territorio che si muova nella prospettiva di una sostenibilità intesa in senso ampio e non in quella della vendita e del fare cassa per convenienze contingenti.
La proposta è quella di fare delle zone rurali e marginali della Regione un territorio di sperimentazione nel quale attirare persone a vivere e lavorare, in un’ottica di ripopolamento umano. Un ripopolamento che definiamo ecosistemico in quanto tende all’inserimento della presenza e delle attività umane nel contesto ambientale sotto i loro molteplici aspetti in modo che questi non siano né in contraddizione tra di loro né con tale contesto, bensì elementi di un (eco)sistema complessivamente in armonia.
Il progetto di un tale ripopolamento sarebbe legato, da un lato, ad una serie di misure di facilitazioni ed incentivi atte a creare un contesto favorevole a chi voglia trasferirsi in un territorio protetto da garanzie di conservazione ambientale e, dall’altro, a vincoli e misure volte ad assicurare che lo stesso territorio sia mantenuto, appunto, nelle migliori condizioni ecologiche possibili nel tempo.
Siamo fiduciosi che ci siano oggi in Italia e non solo molte persone interessate a trovare un territorio che dia garanzie durature di tutelare stili di vita e di economia sostenibili ambientalmente ed umanamente (e di continuare a tutelarli anche in futuro) e che sarebbero disposte a pagare un prezzo – che, secondo i casi e le possibilità di ciascuno, può essere finanziario o di adattamento o come sforzo di iniziativa/creatività o lavorativo – per poter vivere in un tale contesto. Siamo peraltro convinti, in questa ottica, che le zone rimaste finora, come si usa dire, “marginali” (secondo il modo di vedere unilateralmente orientato alla crescita economica) siano invece una grande risorsa, proprio per essere ciò che sono e che si tratti solo di intervenire con intelligenti e non invasive misure legislative per aprirle all’utilizzo migliore che le persone che le sanno apprezzare potrebbero farne. Con poca spesa peraltro per l’amministrazione pubblica, ed anzi, con qualche opportunità di entrate finanziarie per la Regione stessa e gli Enti locali e, nel periodo relativamente più lungo, con ricadute benefiche da molti e diversi punti di vista anche (ma certamente non solo) economici.

RIASSUNTO DEI PUNTI DEL PROGETTO

- Messa in vendita dei soli casolari rurali demaniali crollati e semicrollati utili come cubatura per ricostruirne di nuovi nel rispetto di vincoli paesaggistici ed edilizi – fonte di entrate per la Regione e risposta coerente all’articolo 66 del decreto “Salva Italia”;

- Contestuale riconoscimento del demanio agricolo - comprensivo dei suoi edifici rurali abitati, abitabili e/o facilmente recuperabili – come Bene Comune inalienabile, inusucapibile e soggetto a vincoli di rispetto ecosistemico. Delibera regionale di rifiuto netto in merito ad ogni progetto di dismissione del demanio (ad eccezione di quanto detto nel primo punto);

- Incentivi fiscali per gli acquirenti dei beni di cui al primo punto;

- Disposizioni per l’assegnazione dei beni demaniali agricoli (compresi gli edifici) per il ripopolamento ecosistemico delle zone rurali (mantenimento al catasto agrario degli edifici rurali demaniali);

- Iniziative regionali verso i proprietari privati per incentivare il riutilizzo dei beni abbandonati;

- Iniziative legislative regionali tese a dare uno spazio di agibilità legale alle produzioni contadine, sostenibili e su piccola scala;

- Altre iniziative legislative regionali in materia di biodiversità agricola, turismo ed ospitalità rurale sostenibile ed ulteriori aspetti collaterali.


- Disposizioni per la valorizzazione del demanio agricolo

La Regione censisce tutti i casolari rurali ed i terreni agricoli demaniali. Si impegna ad attuare tale censimento in tempi prestabiliti e congrui. Per quanto riguarda i casolari vengono distinte due categorie: quelli già crollati, semi-crollati ed inagibili - che devono essere ricostruiti per intero o ai quali servono opere importanti - e quelli privi dei soli requisiti di abitabilità o già abitabili o anche già abitati.

Gli edifici appartenenti alla prima categoria sono una ricchezza storica, paesaggistica ed una risorsa abitativa rurale il cui recupero è però al di là delle possibilità finanziarie degli Enti pubblici e di molti privati. Potrebbero essere invece beni appetibili per privati dotati di sufficienti disponibilità. Essi valgono essenzialmente come cubatura che permette di ricostruire nello stesso luogo un’abitazione rurale. Questi edifici, dunque – e solo questi – vengono resi disponibili alla dismissione da parte della Regione in linea con l’articolo 66 del decreto “Salva Italia” del governo.

[In questa proposta si parla di vendita di questa prima categoria di beni per un criterio di realismo ovvero di compromesso considerata la manifesta volontà/necessità dello Stato di vendere parte del demanio. In realtà più preferibile sarebbe, anche per questi beni considerare non la vendita, bensì un comodato d’uso gratuito a vita (con diritto di prelazione a succedere da parte degli eredi) in cambio della ricostruzione degli edifici rurali, sempre con gli stessi vincoli, e magari anche favorendo la ricostruzione in bioedilizia o con paglia e terra cruda]

Vengono messi in vendita esclusivamente a privati persone fisiche e non a società immobiliari o d’altro genere, né per fondi di investimento immobiliare, e nella misura di un solo edificio ad acquirente. La cubatura dà la possibilità di ricostruire un edificio rurale nel rispetto di una serie di vincoli quali forma e dimensioni simili a quelle dell’edificio originario, materiali affini a quelli originari o comunque compatibili ecologicamente e paesaggisticamente, destinazione d’uso ecocompatibile. I ruderi vengono messi in vendita insieme ad un massimo di due ettari di terreno annesso circostante la casa. Gli acquirenti – se residenti ed esercitanti attività agricola contadina (vedi oltre) – avranno diritto di prelazione per l’assegnazione dei terreni ascritti al podere originariamente di pertinenza del casolare acquistato.

Per tutto il resto del demanio agricolo e rurale la Regione delibera opponendosi nettamente ad ogni ipotesi di alienazione di tali beni come già è stato fatto da parte di altre Regioni (vedi, ad esempio la risoluzione dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna n. 2346 approvata all’unanimità nella seduta del 27/3/2012). Tutto il resto del demanio agricolo – comprendente sia edifici che terreni anche boschivi – viene dichiarato ufficialmente ‘Bene Comune’ della popolazione dell’Umbria e pertanto bene inalienabile, inusucapibile e soggetto a vincoli di rispetto ecosistemico (vedi oltre). Gli edifici rurali attualmente appartenenti al catasto agrario vi rimangono quale parte integrante dei poderi agricoli e viene bloccata ogni procedura di loro passaggio al catasto urbano.

La seconda categoria comprende gli edifici rurali demaniali – quelli ancora in piedi, sebbene privi dei requisiti di abitabilità, ed anche quelli già abitati (anche, eventualmente, senza un contratto regolare) – i quali, dunque, se accatastati al catasto agrario, non possono essere trasferiti a quello urbano e devono restare parte integrante dei poderi agricoli. Devono essere inoltre esclusi da ogni possibilità di vendita/dismissione e – insieme a tutti i terreni appartenenti al demanio agricolo ad eccezione degli edifici rurali di cui al primo punto – vengono considerati ufficialmente dalla Regione come ‘Bene Comune’ della popolazione dell’Umbria.
Questi edifici, insieme ai terreni del podere di pertinenza, vengono destinati ad ‘assegnazione di ripopolamento’ nei termini che verranno descritti in seguito.

Il richiedente – secondo tali termini - un bene demaniale rurale non ancora censito (ovvero in assenza dell’avvenuto censimento da parte della Regione oltre la scadenza prevista) può presentare una perizia di propria parte che attesti le condizioni del bene da cui si evinca la sua appartenenza alla prima o alla seconda categoria e pertanto ottenere che entro un termine di 60 giorni sia attestata da parte della Regione (o altrimenti d’ufficio) la disponibilità del bene per la vendita o per l’assegnazione di ripopolamento (vedi oltre).

Dato il cospicuo numero di casolari demaniali abbandonati semidistrutti o del tutto crollati, ma utili come cubatura, la Regione dovrebbe poter ottenere entrate consistenti.
- Sia in quanto il loro numero in tutto il territorio Regionale è, appunto, notevole,
- sia perché il loro valore commerciale come cubatura non è troppo diverso da quelli dei ruderi ancora in piedi – dato che spesso in questi casi il nuovo proprietario preferisce distruggere in tutto o in parte il vecchio edificio e ricostruirlo ex-novo –
- sia in quanto la Regione predispone collateralmente una serie di provvedimenti che assicureranno agli acquirenti di acquistare un bene situato in un contesto che avrà e manterrà nel tempo una serie di caratteristiche di rispetto ecosistemico speciali (vedi oltre) che possono essere particolarmente interessanti per una certa tipologia di possibili acquirenti.

La Regione, all’occorrenza stipulando accordi appositi con lo Stato, l’Agenzia delle Entrate o gli Enti preposti, riconosce una serie di agevolazioni fiscali a chi acquista un casolare distrutto come prima casa e stabilendovi la residenza presso l’anagrafe. Ad esempio, le spese sostenute dal proprietario per alcune opere fondamentali, come la realizzazione o il ripristino della strada di accesso, il collegamento alla rete elettrica o all’acquedotto (se possibile), la realizzazione di un pozzo o le opere necessarie per l’utilizzo di una sorgente, la realizzazione di impianti di energie rinnovabili come il fotovoltaico, l’eolico e il geotermico, verrebbero scontate fino all’annullamento dalle imposte per l’acquisto e dalle tasse sulla casa per un periodo di dieci anni. Per la realizzazione di alcune di queste opere gli Enti pubblici stessi come le (ex)Comunità Montane potrebbero essere impiegate con i propri mezzi così che i costi sostenuti dal proprietario e scontati dalle imposte diverrebbero comunque in altra via un guadagno per un Ente pubblico. Ciò varrebbe particolarmente per la realizzazione delle strade d’accesso, che dovrebbero comunque rimanere non private – tranne eventualmente l’ultimo breve tratto nei pressi dell’abitazione – ma vicinali/poderali. I ruderi acquistati come seconde case o comunque usati come case per vacanze sarebbero considerati abitazioni di lusso e tassati di conseguenza. Eventualmente alcuni sgravi fiscali potrebbero essere previsti in questo caso esclusivamente a compensazione di spese sostenute dal proprietario per la realizzazione di impianti di energie rinnovabili.

La Regione istituisce – segnatamente nelle zone dove insistono i beni destinati all’alienazione come detti sopra e quelli destinati all’assegnazione come detto qui di seguito – “distretti di rispetto ecosistemico” in cui vengono adottate misure stringenti di salvaguardia ambientale come il divieto totale dell’uso di pesticidi, diserbanti e concimi chimici, di coltivazioni di ogm anche solo a titolo sperimentale, di qualsiasi tipo di impianto industriale inquinante compresi gli inceneritori (o altrimenti denominati), forti limitazioni alla caccia, abolizione di allevamenti animali senza adeguata superficie a pascolo, disposizione di sostanziali incentivi per impianti di energie rinnovabili…


- Disposizioni per incentivare il ripopolamento ecosistemico delle zone rurali

Gli edifici demaniali rurali appartenenti alla seconda categoria ed i terreni (tutti o parte di essi secondo la richiesta degli interessati) appartenenti ai poderi di loro pertinenza ed i terreni agricoli demaniali eventualmente non ascrivibili ad alcun podere vengono assegnati a persone (fisiche o riunite in associazioni o cooperative agricole, sociali o miste) che vogliano ripopolarli e lavorarli coerentemente con una serie di principi ecosistemici. L’affidamento anche con contratto di tipo agricolo è peraltro contemplato anche nell’articolo 66 del Decreto “Salva Italia”, dove si prevede una precedenza per gli agricoltori con meno di quarant’anni di età. Va detto, di passaggio, che nel caso in particolare degli abitanti i casolari ex-occupati del Monte Peglia, pur trattandosi di persone oggi tutte sopra tale limite d’età, quando sono arrivati a ripopolare i poderi allora in totale stato di abbandono che hanno tenuto in piedi fatti rivivere fino ad oggi erano tutti poco più che ventenni, hanno dovuto attendere corca venticinque anni per una minima regolarizzazione della durata decennale e sono ora di nuovo in attesa di un riconoscimento della funzione che hanno svolto in queste zone per quasi un quarantennio. L’accordare a loro gli stessi privilegi previsti per i “giovani agricoltori” dall’art. 66 crediamo che sarebbe a questo punto un atto dovuto.

Si propone di seguito una bozza di linee guida per queste ‘assegnazioni di ripopolamento’:

BOZZA PER UNA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE
PER L’ASSEGNAZIONE DEI BENI RURALI DEMANIALI ABBANDONATI
E PER UNA LORO DESTINAZIONE “ECOSISTEMICA”
(Questa bozza fu elaborata nell’inverno 1991-92 dall’Associazione “La Spinosa” che riuniva gli occupanti del Monte Peglia ed alcuni simpatizzanti: fu proposta allora ad alcuni gruppi consiliari regionali, ma di fatto ignorata)


La proposta riguarda principi e modalità per l’assegnazione dell’uso abitativo ed agricolo dei beni rurali del demanio anche in stato di abbandono e/o non attualmente abitati o utilizzati (comprendenti case coloniche e terreni) a persone che ne facessero richiesta per viverci in modo ecosostenibile.

Il contenuto della bozza riguarda:
  • le ragioni e gli obiettivi della proposta
  • come tecnicamente potrebbero essere assegnati i beni del demanio
  • come la Regione può controllare che il loro uso sia quello desiderato


Spirito della legge

Riconosciuto che l’attuale modello di produzione e sviluppo dei paesi fortemente industrializzati come il nostro è causa, per motivi strutturali, di una serie di conseguenze pericolose e spesso disastrose quali i pesanti danni già arrecati all’ambiente e all’equilibrio ecologico con l’estinzione di numerose specie viventi ed il minaccioso cambiamento climatico;
Riconosciuto che i tentativi di risolvere problemi di tale entità in modo ideologico, per schemi di portata generale, pianificato e forzato hanno ovunque fallito;
Riconosciuto che è oggi il tempo di dare spazio anche a chi vuol tentare una via diversa: quella di “esperimenti” molto concreti e pratici e che questi, per esser tali, dovranno essere necessariamente su piccola scala:
Riteniamo che nel cammino verso la soluzione delle citate grandi questioni del nostro tempo dovranno necessariamente giocare un ruolo importante una serie di scelte di vita individuali e collettive che in varie forme pratichino un cambiamento concreto da un orientamento di tipo consumistico ad un altro radicalmente diverso e sostenibile, che ci piace definire “ecosistemico”.
Riteniamo inoltre che la portata sociale di tali cambiamenti individuali non vada a priori sottovalutata in quanto potrà essere ampia tanto più quanto più questi saranno numerosi e che perciò il compito delle istituzioni, da questo punto di vista, dovrebbe essere quello di creare le condizioni più favorevoli perché ciò possa avvenire.
Quando le persone che concretamente basano la propria sussistenza su un modello differente di produzione/consumo non saranno più solo pochi e sporadici pionieri, ma costituiranno uno strato sociale che, per quanto sottile, sarà radicato nella società e su specifiche basi economiche (cosa della quale, almeno nelle campagne di alcune tra le regioni italiane, si vedono i segni iniziali), ciò di per sé contribuirà a favorire meccanismi di vario genere (socio-politici-economici-culturali ecc…) che potranno porre le indicazioni verso un mutamento di tendenza di più vasta scala in termini non più utopistici e ideali, ma concretamente possibili.

La presente bozza iniziale per una più compiuta e dettagliata proposta di legge da definirsi vuole in effetti essere un primo passo verso l’apertura di uno spazio giuridico per la possibilità ad esistere di un settore ancorché minoritario di popolazione che fin d’ora, all’interno di questo sistema, comincia a vivere basandosi sul modello di un’altra idea di “sviluppo” non più incentrato unilateralmente sull’aumento della ricchezza e dei consumi.


Obiettivi e valenze parallele della legge

  • Incentivare forme di economia familiare dai consumi sostenibili;
  • Favorire nuove forme di occupazione giovanile (e non solo) e contrastare o prevenire fenomeni di disagio e/o emarginazione sociale;
  • Favorire l’insediamento nelle zone rurali, anche disagiate e marginali, di abitanti che si facciano carico di salvaguardare le condizioni ambientali, paesaggistiche, idrogeologiche e della biodiversità dei territori che abitano;
- Presidiare i territori collinari montani incentivandone una gestione responsabile anche al fine
di prevenire condizioni di abbandono che possono diventar causa di disastri come le
alluvioni verificatesi recentemente che sarebbero molto ridotte se ci fosse chi si prende cura
– com’era in passato – dei corsi d’acqua secondari, dei terrazzamenti, pendii e declivi, per
l’uso agricolo dei campi;
  • Promuovere il recupero dei beni demaniali abbandonati nelle zone marginali e montane, favorendo la presenza di persone che, per l’attività che vi svolgono, possano prendersene cura sia dal punto di vista ambientale che paesaggistico;
  • Incentivare il ripopolamento di tali zone;
  • Recuperare all’agricoltura sostenibile e su piccola scala, l’agricoltura contadina, zone altrimenti abbandonate e improduttive incentivando altresì le produzioni di qualità e le specialità locali tradizionali nonché forme di turismo rispettoso e di minimo impatto;
  • Favorire lo sviluppo e la diffusione di pratiche autentiche di agricoltura biologica, tale da garantire la salvaguardia della biodiversità;
  • Proporre, promuovere e concretizzare un uso sociale ed ambientale dei beni demaniali che valga come alternativa all’orientamento attualmente prevalente da parte del governo nazionale che è quello della vendita del demanio ai privati per ragioni di cassa (questa destinazione alternativa potrebbe essere preferita almeno per la parte dei beni demaniali di valore commerciale secondario, ma al tempo stesso di grande importanza ambientale e paesaggistica come quelli del demanio agricolo);
  • Perseguire questi obiettivi con il minimo possibile di spesa da parte dell’ente pubblico e ponendo condizioni rigorose atte ad escludere la possibilità di abusi, speculazioni o frodi ovvero tali da destare interesse nella possibile assegnazione dei beni solo in coloro che sinceramente vogliano usarli nel modo e per i fini previsti.


Criteri nella modalità di applicazione della legge


  • Fatto in tempi certi il censimento dei beni demaniali nella disponibilità della Regione, viene stilato l’elenco dei casolari inseriti nella seconda categoria e relative pertinenze di terreno demaniale – come anche appezzamenti di terreno agricolo demaniale non di pertinenza di fabbricati o indipendente da essi – già abitati o viceversa abbandonati e/o non abitati o non utilizzati che la Regione ritiene di poter affidare;
  • Per quanto riguarda casolari e terreni attualmente abitati i rapporti in essere vengono convertiti, su richiesta degli attuali abitanti e qualora vi siano le condizioni di attività agricola effettivamente svolta, automaticamente in affitti di tipo agricolo secondo la legge 203/82;
  • Dopo una adeguata campagna informativo-pubblicitaria ad opera della Regione stessa o di un eventuale comitato promotore della legge, si apre l’accoglienza delle domande di affidamento dei poderi non utilizzati: unico requisito per fare domanda sarà l’accettazione degli impegni che l’affidamento comporta;
  • In assenza o ritardo di tale iniziativa da parte della Regione i soggetti interessati possono comunque fare domanda per i poderi documentandone lo stato che ne determina la disponibilità per l’utilizzo in questione ed hanno diritto ad una risposta entro un termine ragionevolmente breve (ad es, di 60 giorni) che può essere positiva o, se negativa, che deve essere motivata fermo restando l’impegno della Regione a non lasciare più in stato di abbandono/inutilizzo alcun casolare/podere demaniale né a venderlo tranne che non sia di quelli inseriti nella prima categoria, (semi)crollati ed utili solo come cubatura;
  • Saranno gli stessi titolari della domanda di affidamento a scegliere il podere fra quelli disponibili. Sarà data precedenza ai residenti nella Regione nella quale si trovano i beni richiesti, ai disoccupati, ai licenziati, ai cassintegrati ed a coloro che per motivi particolari (per es. ex-carcerati, ex-tossicodipendenti….) possono trovare maggiori difficoltà a trovare un lavoro, a chi non possiede alcun bene immobile. Case con più di due ettari di terra e terreni privi di casolari saranno assegnati esclusivamente a coloro che si impegnano a svolgervi un’attività agricola entro un termine da stabilire ed in questo caso sarà data precedenza a chi possa dimostrare una qualche esperienza e competenza in campo agricolo al qual fine saranno presi in considerazione esperienze lavorative, titoli di studio ed anche la discendenza da genitori agricoltori. Naturalmente, fatto salvo ogni altro elemento di graduatoria, la precedenza sarà data secondo la data di arrivo della domanda all’ente regionale;
  • La Regione e l’assegnatario (ma potrà trattarsi anche di più persone per uno stesso podere o di persone giuridiche senza fini di lucro quali associazioni, cooperative ecc…) stipulano un contratto agrario secondo la legge 203/82 (si potrebbe anche pensare ad un uso gratuito) o in ogni caso una forma di contratto fortemente agevolato e tale da favorire il più possibile una progettualità a lungo termine da parte dell’affittuario che deve anche essere nelle condizioni previste per accedere a contributi e finanziamenti eventualmente messi a disposizione da parte di enti nazionali ed europei. Per le case senza terra o non provviste di una superficie ad uso agricolo tale da giustificare un contratto agrario si stabiliranno comunque condizioni di canone agevolate. L’assegnatario si impegna ad eseguire (eventualmente di propria mano “in economia diretta” come era previsto dalla legge 203/82) i lavori di manutenzione straordinaria volti ad ottenere i requisiti minimi di abitabilità per il fabbricato secondo il progetto di intervento stabilito dall’ente regionale o da altro ente da esso delegato il quale ha la facoltà di controllare che i lavori vengano svolti in modo conforme. Le spese che l’assegnatario dovrà sostenere per la ristrutturazione verranno poi scomputate dall’affitto calcolando i materiali secondo la presentazione delle ricevute d’acquisto e la manodopera proporzionalmente agli standards delle imprese edili. Relativamente alle condizioni iniziali della casa si stabilirà fra l’ente pubblico e l’assegnatario (in un clima di collaborazione che si auspica dovrebbe caratterizzare tutte le fasi e gli aspetti del rapporto) un adeguato limite di tempo – in ogni caso sufficientemente lungo, per es. non inferiore a tre anni – entro il quale l’intervento di ristrutturazione deve essere completato e superato il quale la Regione può, se lo ritiene opportuno, revocare l’assegnazione.
  • Fin dall’inizio dell’affidamento l’affittuario è tenuto a non usare nella sua attività agricola (qualora questa ci sia) alcuna sostanza quali concimi chimici, diserbanti, pesticidi, insetticidi, anticrittogamici, organismi geneticamente modificati ed altre sostanze non ammesse in agricoltura biologica; non è però tenuto ad ottenere la certificazione biologica da parte di ente terzo autorizzato (a meno che la Regione non intenda stipulare un accordo apposito con uno di questi enti e farsi carico in tutto o in parte delle spese necessarie – in tal caso si potrebbe prendere in considerazione anche la possibilità di una “Certificazione di Gruppo”, vedi Reg. CE 834/07);
  • Dallo scadere del periodo iniziale concordato in poi la Regione e/o i suoi delegati possono in qualsiasi momento e senza preavviso venire a controllare direttamente che gli obiettivi della legge siano rispettati ovvero che sussistano una serie di requisiti:
  1. oltre ad avervi la residenza anagrafica l’affittuario deve effettivamente risiedere abitualmente nel podere e prendersene cura;
  2. per verificare che nell’agricoltura praticata non siano state usate sostanze non ammesse possono essere effettuati prelievi di terreno o di prodotti da analizzare;
  3. l’ambiente circostante deve essere rispettato.
  4. Le opere necessarie per l’ottenimento dei requisiti minimi di abitabilità devono essere state completate.

  • Si potrebbe anche prevedere la possibilità che la Regione definisca – prevedendo eventualmente anche una serie di requisiti richiesti – un qualche titolo giuridico da dare su sua delega all’affittuario che ne facesse richiesta da far valere verso terzi in funzione della salvaguardia ambientale e per la vigilanza ecologica del territorio circostante il bene assegnatogli. Questo compito potrebbe comprendere anche accordi per lavori quali la manutenzione di sentieri, di canali dell’acqua piovana, di terrazzamenti e muretti a secco, bacini idrici, la segnalazione e pulizia di discariche abusive ecc… che l’affittuario potrebbe condurre in sostituzione parziale o totale del pagamento del canone d’affitto;
  • Le persone a cui viene assegnato un bene demaniale secondo questa legge si impegnano a non avere un livello di reddito e di consumi pro-capite sproporzionato rispetto alle attività che conducono, verificabile con controlli incrociati e pena il venir meno dell’assegnazione del bene. Tali limite sarebbe ovviamente relativo alle diverse tipologie di condizione economico-familiare (ad esempio per chi è singolo, sposato, con figli, con persone a carico ecc….)

  • Qualora l’affittuario risultasse inadempiente rispetto ai requisiti sopraelencati la Regione recide il contratto e rende il bene disponibile per altri. Fino a che nessun altro ne facesse domanda, però, la Regione può lasciare il bene stesso al precedente affittuario con un contratto a breve termine rinnovabile e secondo le correnti condizioni di mercato.

  • In qualsiasi momento l’affittuario può recidere il contratto e rilasciare il bene assegnatogli senza con ciò aver diritto a pretendere alcunché per le migliorie apportate al bene pubblico di cui ha avuto fino allora disponibilità. In questo caso i suoi conviventi residenti (qualora ce ne fossero) hanno dritto di prelazione a succedergli nella titolarità del contratto di affitto in ordine di anzianità di residenza.


Una nota a margine

Il precedente paragrafo sulle modalità d’applicazione va considerato solo come uno schema indicativo generale.
E’ importante comunque prevedere possibili controlli in modo abbastanza severo sia per far sì che una tale legge invogli solo chi è già convinto di voler fare una precisa scelta di vita, ma gliene manca solo l’occasione, sia perché la proposta possa apparire, per così dire, degna di fiducia agli occhi di chi si trova ad amministrare la cosa pubblica e alla cittadinanza in generale – che è poi il proprietario finale della cosa pubblica.
Si tratta certo di un’idea che va controcorrente e che può apparire antieconomica – e lo è nel senso convenzionale – ma credo vada invece riconosciuta la sua “convenienza” in una prospettiva più lungimirante e globale.
Del resto, anche in passato, ci sono state proposte che andavano in una direzione simile; come ad esempio il dibattito che era stato avviato nei primi anni ’90 da parte di un gruppo consiliare della Comunità Montana di S. Venanzo sull’idea di un Parco Bioregionale, il cui progetto comprendeva (insieme ad altre proposte che potrebbero essere recuperate come allevamento di selvaggina con colture a perdere, osservazione, eventuali cure e censimento degli animali in cui coinvolgere i cacciatori insieme ai guardiani del parco in cambio di un prelievo venatorio programmato degli animali divenuti troppo numerosi; proposte di didattica ambientale e turismo sociale con raccolta guidata di piante e funghi; creazione di strutture agrituristiche ed itinerari a piedi e a cavallo)… affitto di lungo termine di casolari abbandonati in cambio delle spese di ristrutturazione; contratti di lungo termine con la popolazione rurale per i servizi turistici e di manutenzione.


E’ essenziale, comunque, che, qualora un giorno una proposta come quella appena esposta potesse prendere forma concretamente come disegno di legge vero e proprio, ne sia rispettato lo spirito fondamentale cioè quello di puntare in primo luogo ad un recupero ecologico, sociale, paesaggistico e di gestione/salvaguardia del territorio dei beni rurali abbandonati e delle zone in cui questi si trovano e non (sebbene ciò non sia per principio incompatibile o da escludere) quello di cercare una improbabile via di sviluppo economico di queste zone o di una valorizzazione economica di questi beni. Di conseguenza i controlli o le limitazioni da porre agli affittuari potranno essere coerenti con lo spirito che informa la proposta, ma non potranno limitarsi ad entrare nel merito di quale incremento le loro attività portino o meno all’economia della zona, quali prospettive esse abbiano di inserirsi con successo nel mercato e la sua competitività o quanto siano credibili da un punto di vista imprenditoriale e produttivo. In quanto cose di questo genere restringerebbero la valutazione a problematiche estranee e perfino antitetiche alla prospettiva di una sostenibilità molto più ampia in cui la proposta è concepita.



- Interessamento della Regione presso i proprietari privati:

Nella stessa ottica di favorire un ripopolamento ecosistemico delle zone rurali la Regione può adoperarsi anche perché gli stessi proprietari privati di beni (casolari e terreni) abbandonati o non utilizzati li possano mettere a disposizione. Questo potrebbe essere fatto attraverso incentivi quali sgravi fiscali a chi affitta, ad esempio:
- con contratto agrario (legge 203/82) per un uso agricolo definito come “contadino” (secondo la definizione che verrà data in seguito);
- in Comuni con popolazione inferiore ad una data cifra (per es. 5000 abitanti);
- in zone rurali di qualsiasi Comune, ma al di sopra di una certa altitudine (per es. 300-400 mts. slm).

Ed anche potrebbe comprendere l’interessamento della Regione al formarsi di Associazioni Fondiarie, che sono uno strumento (molto diffuso in Francia) particolarmente adatto a favorire l’aggregazione di proprietari di appezzamenti molto piccoli – magari marginali ed abbandonati - per metterli tutti insieme a disposizione affittandoli a chi voglia coltivarli e/o usarli come pascolo con una ricaduta positiva in termini sia paesaggistico-turistici del territorio che con possibili eventuali sviluppi microimprenditoriali/occupazionali. Una esperienza in questo senso sta prendendo forma, ad esempio, nel piccolo Comune piemontese di Avolasca (Allessandria) i cui referenti, quanto a questo progetto, sono il sindaco, Walter Raimondi ed il professor Andrea Cavallero dell’Università di Torino (per avere un’idea http://www.youtube.com/watch?v=CS0OIC7Co00).



- Iniziative legislative per favorire sviluppo e diffusione di microimprenditorialità agricole contadine

Nell’ottica di un recupero e di un ripopolamento rurale che sia anche una forma di salvaguardia ecosistemica è imprescindibile che a ciò si accompagnino condizioni che permettano, a coloro che hanno la volontà di farsi parte attiva in prima persona di un tale progetto, di avere il modo di guadagnarsi da vivere. Nel caso di agricoltori su piccola scala ciò significa aver la possibilità di produrre, trasformare e vendere alimenti secondo modalità e regole adeguate alla propria specifica tipologia produttiva. Purtroppo, allo stato attuale delle cose, questo è molto difficile per i piccoli produttori in quanto le leggi europee e (ancor più) nazionali sono concepite a misura dell’industria agroalimentare, richiedendo attrezzature e strutture che comportano costi eccessivi dei quali una piccola azienda non potrà mai rientrare – cosa che ha contribuito non poco all’estinzione delle aziende contadine ed allo spopolamento delle campagne, con la perdità di qualità del cibo e di salvaguardia di paesaggio e territorio che è sotto i nostri occhi. Le motivazioni addotte nel porre requisiti di legge così inarrivabili sono spesso quelle della sicurezza igienico-sanitaria, ma non si considerano abbastanza a questo proposito le reali potenzialità di rischio delle produzioni artigianali se confrontate con quelle della grande industria ed il fatto che i grandi scandali alimentari degli ultimi decenni sono sempre venuti da quest’ultima.
Ciò che occorre perché giovani e meno giovani tornino a prendere in considerazione la possibilità di vivere e lavorare in campagna (e non solo nelle pianure più produttive – e inquinate) sono normative pensate appositamente per un’agricoltura sostenibile e su piccola scala che possa di nuovo – ed orgogliosamente – chiamarsi contadina.

Dal momento che l’agricoltura è una materia attualmente affidata alle Regioni, concepire ed implementare tali normative è compito del governo Regionale. Anche nella legislazione sull’alimentazione, del resto, le Regioni concorrono con il loro ruolo.
I Regolamenti europei di riferimento lasciano spazio aperto per quanto riguarda le produzioni su piccolissima scala:
Nel Considerando 9 del Reg. CE 852/04 viene detto:

Le norme comunitarie non dovrebbero applicarsi alla produzione primaria per uso privato domestico, né alla preparazione, alla manipolazione o alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo privato domestico. Inoltre, esse dovrebbero applicarsi solo alle imprese, concetto che implica una certa continuità delle attività e un certo grado di organizzazione.

Inoltre, all’articolo 1 paragrafo 2 dello stesso Regolamento CE:

Il presente regolamento non si applica:
a) alla produzione primaria per uso domestico privato;
b) alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato;
c) alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale.

Il Reg. CE 853/04, ripetendo la stessa formula, include anche la vendita diretta

ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono direttamente il consumatore finale.

Il Reg. CE 2074/05 si occupa di una serie di deroghe ai regolamenti di riferimento previste per gli alimenti cosiddetti “tradizionali” e dice (art.7):

1. Ai fini del presente regolamento, s'intende per «prodotti alimentari che presentano caratteristiche tradizionali» prodotti alimentari che, nello Stato membro in cui sono tradizionalmente fabbricati, sono:

a) storicamente riconosciuti come prodotti tradizionali; o

b) fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali; o

c) protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale.

Attualmente, in Italia, esistono una serie di prodotti classificati come STG (Specialità Tradizionali Garantite) – ma anche altri con altre denominazioni – che godono di una serie di deroghe alle leggi igienico sanitarie europee (peraltro, le più severe del mondo). Ma, nell’attuale interpretazione italiana di questa norma, si può trattare solo di ben precise specialità con un nome ed una tecnica di produzione rinomata e codificata. Non quindi di un’agevolazione applicabile alla generalità delle produzioni di qualità, ecorispettose e su piccola scala, prodotte come si faceva una volta (prima dell’avvento dell’agricoltura industriale) e perciò, in questo senso “generico”, tradizionali .

Il terzo punto dell’articolo sopracitato, però, ci dice che è a discrezione delle Regioni (e, stando al testo, forse perfino dei Comuni) stabilire cosa va protetto come ‘prodotto alimentare tradizionale’ o meno. E va osservato che i tre punti a), b) e c) non sono separati dalla congiunzione e, ma da o. Ciò implica che non si tratta di tre caratteristiche che debbano essere presenti tutte insieme, ma anche in alternativa.
Inoltre, in un’ottica più ampia e non limitata al solo punto di vista della commerciabilità e del mercato, il focus dell’attenzione potrebbe essere spostato/allargato dall’elemento del prodotto in sé – come avviene nel caso di tutte le varie denominazioni STG, IGP, IGT, DOC, DOP, PAT ecc… - ad un concetto più ampio che definisca, in un insieme coerente ed organico, tanto il produttore/l’azienda, che la modalità di produzione, che il prodotto finale.
Questa considerazione complessiva potrebbe delineare il profilo di ciò che, aggiornandola, potremmo di nuovo chiamare azienda/produzione contadina. Definita dalle seguenti caratteristiche:

- è su piccola scala: va definita una soglia bassa di superficie massima ammissibile di terreno per addetto relativa alle diverse colture; lo stesso per i capi di bestiame (il cui numero deve essere proporzionato anche alla superficie disponibile a pascolo essendo inaccettabile in questo caso l’allevamento totalmente al chiuso); non va prevista invece una soglia minima, potendo includere in questa tipologia anche attività quali l’apicoltura e la raccolta di erbe spontanee;
- è a basso tasso di meccanizzazione : il lavoro manuale deve mantenere una parte importante nel processo di produzione; i macchinari dell’azienda devono corrispondere a ciò che la sua estensione e le sue colture/allevamenti oggettivamente richiedono (non è possibile passare come azienda contadina e lavorare poi come contoterzista con macchine sproporzionate ad un’azienda di piccole dimensioni. Gruppi di aziende contadine potrebbero invece dotarsi collettivamente di macchinari relativamente più grandi per un uso comune solo tra aziende di questa stessa categoria e ad esse comunque proporzionati);
- fa produzioni e segue tecniche di coltivazione/allevamento esclusivamente biologiche anche senza certificazione da parte di ente terzo, autocertificate o garantite da metodi di certificazione partecipativa;
- la vendita dei prodotti è esclusivamente diretta, senza pubblicità e solo su base locale (regionale ed eventualmente nelle province confinanti alla propria, previa il consenso delle autorità localmente competenti) ed esclude prodotti di provenienza extra-aziendale (totalmente e non solo oltre il 49% come secondo il “principio di prevalenza” attualmente vigente per le altre aziende); viene considerata vendita diretta anche la consegna/spedizione direttamente a casa del consumatore finale (anche se fuori regione) in seguito ad ordinazione diretta online sul sito aziendale;
- non ha dipendenti ad eccezione di eventuali avventizi per occupazioni occasionali con un limite massimo molto contenuto di giornate annue;
- il reddito complessivo dei titolari è contenuto , sia quello proveniente dall’attività contadina (che non necessariamente deve essere quella principale) sia sommando questo alle altre eventuali fonti di reddito. Si può stabilire un limite per il reddito delle attività contadine nel caso in cui queste siano quelle uniche o prevalenti ed uno diverso qualora non lo siano. Il reddito può essere anche verificato dagli organi di controllo fiscale confrontandolo con il tenore dei consumi;
- non svolge parallelamente altre attività agricole non definibili come contadine;

Tali caratteristiche, a fronte di alcune facilitazioni rispetto alle attuali normative, impongono determinati limiti e circoscrivono un preciso ambito anche commerciale tale da poter evitare un’accusa di concorrenza “sleale” verso altre tipologie di produttori.

La Regione potrebbe ritenere opportuno proteggere le produzioni contadine così definite a causa del riconoscimento delle molteplici ricadute ecosistemiche della loro presenza sul territorio rurale (salvaguardia ambientale, territoriale, paesaggistica, idrogeologica, della biodiversità, vantaggi per il turismo e per l’offerta gastronomica, fonte di occupazione giovanile…) ed allargare il concetto di “tradizionale” intendendolo in senso “generico” al di là delle specialità particolari rinomate, ma in realtà niente affatto generico in quanto ben definito dalle carattistiche appena elencate.

La Regione potrebbe istituire su tale base una categoria di aziende/produzioni contadine con una normativa ad hoc in deroga rispetto a quelle previste per gli altri tipi di produzioni agroalimentari.

In Italia già esistono esempi di leggi già attualmente vigenti alle quali ispirarsi che vanno in questo senso:

- Il Decreto del Presidente della Provincia di Bolzano del 26 settembre 2008, n. 52;
Che è stato anche ripreso dalle Giunte della
- Comunità Montana della Valle Stura (Cuneo) n. 97 del 1/12/2011
- Comunità Montana delle Valli Grana e Maira (Cuneo) n.119 del 4/10/2011
- Comunità Montana della Langa Astigiana e Val Bormida (Asti) n.45 del 28/11/2011
- Comunità Montana delle Terre del Giarolo (Alessandria);


- La Legge Regionale dell’Abruzzo n. 8 del 11/6/08 e successive modifiche (n. 45/2010)
- Anche la Giunta Regionale del Veneto ha promulgato una normativa che va menzionata (sebbene molto meno centrata nel senso che intendiamo qui) con la Deliberazione n.2280 del 28 settembre 2010.
Ci sono inoltre proposte di leggi regionali che stanno attualmente seguendo il loro iter e sembra abbiano buone probabilità di essere approvate; una delle più interessanti è la:
- PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE ALLA REGIONE PIEMONTE.
Primo firmatario consigliere Mercedes Bresso. Presentata il 13 agosto 2012
Disposizioni per la lavorazione, trasformazione e vendita di limitati quantitativi di prodotti agricoli nell’ambito della filiera corta e produzione locale”
Una volta adottata a livello regionale una normativa sulla trasformazione dei propri prodotti in azienda e la vendita diretta su base locale degli stessi che metta in condizione i contadini di lavorare, sarebbe inoltre necessario dare disposizioni che facilitino o anche sanciscano il diritto degli stessi a vedersi riconosciuti da parte dei sindaci degli spazi di mercato riservati in cui poter vendere – anche qui, con normative adeguate. Tali spazi dovrebbero essere concessi con cadenza almeno mensile in luoghi convenientemente centrali e facilmente raggiungibili per mercati contadini non aperti anche a commercianti o a grandi aziende agricole, bensì solo a produttori definibili contadini per la corrispondenza ai requisiti sopra elencati. La partecipazione a tali mercati non dovrebbe essere condizionata all’appartenenza a categorie professionali o all’iscrizione ad associazioni di categoria o d’altro genere, ma solo al produrre e vendere nel territorio regionale secondo le caratteristiche “contadine” sopra descritte, quindi a vendita diretta e su base locale esclusivamente dei propri prodotti aziendali. Il controllo della qualità – biologica, ecologica, etica ed igienico-sanitaria – di prodotti ed aziende potrebbe essere affidato a sistemi di certificazione partecipativa ad opera di appositi comitati di garanti del mercato costituiti da rappresentanti dei produttori/venditori, dei consumatori e da un tecnico della ASL.


- Iniziative collaterali
Le iniziative legislative utili a dare spazio ed agibilità legale a nuovi insediamenti contadini ed ecosistemici per un ripopolamento delle campagne che possa camminare con le proprie gambe e non sia reso impossibile da mancanza di reddito/occupazione, né divenga una realtà dipendente cronicamente dal sostegno pubblico, comprendono una serie di altri aspetti a cui occorre pensare. Una proposta di legge che fornisce delle linee guida utili ad una visione complessiva dei diversi aspetti è quella su cui convergono diverse organizzazioni contadine italiane di base e che si può trovare integralmente sul sito dedicato www.agricolturacontadina.org - e che comunque aggiungo in allegato a questo testo.
Altre opportunità ad un tempo di autosostentamento economico e di salvaguardia ambientale, culturale e della biodiversità possono venire dall’adottare leggi che favoriscano la conservazione e coltivazione del patrimonio genetico delle varietà tradizionali locali di piante ed animali. Un esempio fra gli altri che ci sono già oggi in Italia è la Legge Regionale della Regione Toscana LR 64/04 (modifica della n.50/97) che si occupa di questa materia istituendo tra l’altro la figura dei Custodi dei Semi.
Infine, un’attenzione speciale andrebbe rivolta all’ospitalità rurale ed al turismo sostenibile, d’incontro, lento e di qualità come attività collaterale di autentiche realtà agro-rurali (dimensioni di vita da condividere e non ricostruzioni finte e di maniera che imitano luoghi comuni pseudo-contadini a fini d’immagine commerciali). Naturalmente senza rinunciare a standard dignitosi di qualità degli alloggi e dei servizi offerti. Anche a questo scopo occorrono normative adeguate alle attività su piccola scala. Una ipotesi in questo senso potrebbe essere data dall’unione:
- per quanto riguarda l’alloggio, delle normative sui Bed & Breakfast, che richiedono requisiti non troppo esigenti, ragionevolmente realizzabili in strutture abitative di campagna dignitose, ma senza richiedere investimenti eccessivi,
- con, per quanto riguarda la preparazione e la somministrazione di pasti (normamente non consentita ai B&B, ma importante in un alloggio rurale, magari in zone isolate), la limitazione ad un numero molto contenuto di coperti (o eventualmente ai soli ospiti) e con il vincolo che i pasti siano realizzati con prodotti dell’azienda. Come per il laboratorio di trasformazione (secondo le leggi vigenti e proposte di legge citate), la cucina dell’abitazione usata per i pasti della famiglia ospitante (posto che abbia dei requisiti minimi) dovrebbe essere considerata sufficiente. Altrimenti, un modello legale a cui ispirarsi relativamente ai locali per la preparazione dei cibi, potrebbero essere anche le normative attuali che regolano questo aspetto per i rifugi alpini ed escursionistici e/o i requisiti previsti per le cucine degli affittacamere, anche, eventualmente, nella modalità autogestita da parte degli ospiti. Si può vedere in proposito, a puro titolo esemplificativo, la Legge Regionale dell’Emilia Romagna del 28 luglio 2004, n. 16.

Nessun commento:

Posta un commento