Le principali cause dei rifiuti galleggianti in mare sono la cattiva gestione dei rifiuti urbani
e dei reflui civili, oltre che l’abbandono consapevole (29%) e le
attività produttive, tra cui pesca, agricoltura e industria (20%)
Allo Spazio Alfieri, il 14 settembre 2017, Legambiente ha organizzato un’iniziativa sulla Marine Litter, ovvero sull’inquinamento marino causato dalle plastiche. Ha introdotto e moderato Enrico Fontana – Responsabile Nuova Ecologia, a cui sono seguiti gli interventi di Giorgio Zampetti – Responsabile scientifico di Legambiente, Francesca Gatteschi – Unicoop Firenze, Giulia Gregori – Novamont. Ha chiuso la sessione Silvio Greco – Presidente del Comitato Scientifico Slow Food, che ha esposto il problema della biodiversità marina a rischio nel Mediterraneo.
Gli interventi dei relatori evidenziano una situazione complessa che va affrontata lavorando su più fronti, principalmente:
- informazione puntuale su come effettuare la raccolta differenziata
- corretta depurazione dei reflui urbani
- innovazione tecnologica dei materiali, soprattutto quelli in plastica
- implementazione della normativa, ad esempio introduzione della fishing for litter
- messa al bando definitiva di taluni materiali.
La tendenza è universale ed i singoli paesi non possono fare nulla da soli, è necessaria una strategia comune. Per questo, lo scorso giugno Legambiente ha portato all’attenzione delle Nazioni Unite la questione delle plastiche abbandonate sui litorali e in mare, ricordando come, grazie ad iniziative di volontariato quali Clean Up the Med e Beach Litter, sia stato possibile monitorare i rifiuti e verificarne la tipologia. Infatti, nel 2017, i volontari di Legambiente hanno ripulito 62 spiagge ed i rifiuti raccolti sono stati 670 kg per ogni 100 metri, tra cui molte reti per la miticoltura, lenze, cassette di polistirolo, tappi, coperchi e contenitori vari in plastica.
In mare si trovano anche molte buste “usa e getta”, per questo è necessario estendere la messa al bando delle buste di plastica non biodegradabili e compostabili con spessore inferiore ai 100 micron (norma già in vigore in Italia) anche ai paesi dove il bando si limita ai 50 micron come, ad esempio, Francia e Marocco.
Esemplare in tal senso la decisione di Unicoop Firenze di aderire, sin dal 2009, alla campagna per la riduzione delle buste della spesa in plastica, invitando i propri soci e clienti al riuso. Da allora sono stati raggiunti risultati importanti: oltre il 70% dei soci e clienti fa la spesa portando la borsa da casa. Di recente Unicoop Firenze, tra le prime in Italia, ha esteso l’utilizzo della bio/plastica di mater bi anche ai sacchetti ed ai guanti del reparto ortofrutta.
In mare sono presenti, in quantità notevole, anche le micro o nano plastiche, che sono piccolissimi frammenti di plastiche che giungono per lo più dagli scarichi domestici; ad esempio, i capi sintetici, che laviamo a mano o in lavatrice, disperdono nell’ambiente dei minuscoli frammenti di plastica che spesso finiscono in mare. Per arginare questo problema è importante lavorare sulla ricerca e l’innovazione tecnologia nel settore delle plastiche.
A questo proposito, Il World Economic Forum di Davos, appuntamento annuale che richiama giornalisti, economisti e industriali da tutto il Mondo, affronta le tematiche legate alle politiche ambientali ed alle innovazioni nell’industria della plastica.
Secondo le sue stime, al momento solo il 14% degli imballaggi in plastica viene riciclato. Il resto viene incenerito, gettato nelle discariche o, peggio ancora, finisce in mare.
Per questo nella recente edizione si è dato via alla New Plastics Economy, un insieme di azioni e strategie atte ad aumentare significativamente la quantità di materiali plastici riciclati. Lo scopo del progetto è lavorare insieme, puntando la rotta verso un sistema plastico globale più efficace.
(Fonte: Arpat)
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