Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica ed ambientale che si inserisce nei grandi temi della sostenibilità e della circolarità delle risorse
La consapevolezza circa l’importanza di ridurre la quantità di rifiuti alimentari sta crescendo tanto che, nel nostro Paese, per la prima volta nel 2020, le giornate dedicate alla sensibilizzazione dei cittadini al tema sono due: la prima è stata il 5 febbraio e la seconda sarà il 29 settembre. Quest’ultima data è stata voluta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha istituito la Giornata internazionale della Consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari, International Day of Awareness for Food losses and waste.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Swg, per la prima volta in dieci anni, lo spreco alimentare nelle case degli italiani fa registrare un calo di circa il 25%. Lo spreco settimanale in media costa 4,9 euro a nucleo familiare, per un totale di circa 6,5 miliardi euro e un costo complessivo di circa 10 miliardi euro.
In Europa, i costi dello spreco alimentare sono stati quantificati, nel loro complesso, intorno ai 143 bilioni di euro di cui 98 attribuibili a quello domestico, che rappresenta la parte più consistente dell’intera filiera alimentare, mentre le stime fatte sulla perdita economica del cibo gettato via si aggirano tra i 3,2 e i 6,1 euro per kg di cibo sprecato a settimana per nucleo famigliare.
Quest’anno, nel nostro Paese, il tema della riduzione dei rifiuti alimentari si sviluppa sull’asse cibo – salute, quindi sulla prevenzione dello spreco come un presidio concreto per la salute dell’ambiente e della persona, una consapevolezza, questa, che cresce, sembra, infatti, che il 66% degli italiani ritenga che vi sia una connessione precisa fra spreco alimentare, salute dell’ambiente e dell’uomo.
Il lavoro di sensibilizzazione e promozione di buone pratiche sta producendo effetti positivi fra i cittadini, dobbiamo però rimanere consapevoli che c’è ancora da fare, soprattutto nella direzione di un profondo cambiamento culturale fra i consumatori finali ed in particolare modo tra i più giovani, insegnando loro sin dai primi anni di scuola a ridare valore al cibo e sensibilizzandoli sul problema dello spreco alimentare e sulla necessità di prevenirlo e ridurlo.
Per raggiungere gli obiettivi 2030 dettati all’Agenda ONU, in particolare quelli legati al cibo, alla prevenzione dello spreco e alla lotta ai cambiamenti climatici, dobbiamo puntare al coinvolgimento di tutta la collettività, dagli enti pubblici alle imprese, alle scuole, con la definizione di obiettivi mirati e misurabili in termini di riduzione delle emissioni e diminuzione degli impatti ambientali.
L’UE ha stimato che in Europa, ogni anno, vengono gettati via 88 milioni di tonnellate di cibo, circa il 20% di tutto il cibo prodotto. Al tempo stesso, la FAO nel rapporto "The State of Food and Agriculture 2019. Moving forward on food loss and waste " stima che, lungo la catena di produzione degli alimenti, dal raccolto sino alla vendita, venga perso il 14% del cibo prodotto. Per lo spreco alimentare, particolarmente critiche appaiono le fasi della vendita e del consumo.
Considerando che sul pianeta ci sono 820 milioni di persone che non hanno cibo, gettare alimenti risulta immorale, senza considerare l’impatto ambientale di questo spreco: emissioni in atmosfera, perdita di suolo e consumo di acqua.
Le Nazioni Unite (NU) hanno inserito questo tema nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, l’obiettivo 12.3 propone di dimezzare, entro il 2030, il quantitativo di rifiuti alimentari prodotti sia nella fase di produzione che di vendita e consumo. Lo stesso hanno deciso di fare i paesi membri dell'UE in accordo con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle NU.
Ormai è noto come lo spreco alimentare incida sul cambiamento climatico, producendo circa 186 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, a questo devono aggiungersi gli impatti legati all’acidificazione ed eutrofizzazione, che rappresentano il 15%-16% degli impatti prodotti dalla catena di produzione alimentare.
Non tutti i rifiuti alimentari producono gli stessi impatti sull’ambiente, per esempio, la carne incide molto, gli avanzi di carne costituiscono una quota che va dal 5% al 12%, ma si stima che questi contribuiscano notevolmente all’impatto sul clima, dal 25% al 55%. Il pane e gli amidi, invece, impattano meno del 10% sull'ambiente.
Vi sono alimenti che incidono ambientalmente di più anche in fase di produzione, la carne favorisce il cambiamento climatico mentre altri, come il caffè, il cacao e certi tipi di frutta hanno un impatto sulla biodiversità.
Sempre nel rapporto della FAO possiamo leggere che gli studi fatti nei diversi paesi, relativamente alla possibilità di ridurre le emissioni in atmosfera attraverso la diminuzione dei rifiuti alimentari, mostrano che si può raggiungere un range di diminuizione delle stesse che va dall’-0,8% al -4,5% di CO 2 per kg di cibo non gettato.
I dati da prendere in considerazione per valutare la produzione di rifiuti alimentari sono svariati e devono essere selezionati con molta attenzione per evitare conteggi doppi e sovrastime. Purtroppo al momento risulta ancora difficile comparare i dati relativi alla produzione di scarti alimentari nei diversi paesi anche appartenenti alla stessa UE perché vengono usate differenti metodologie di calcolo oltre che diverse definizioni tra paese a paese.
Ad oggi quindi non c’è una modalità comune in grado di monitorare i rifiuti alimentari prodotti ma in Europa vi è l’obbligo di raccogliere questi dati e pianificare la loro riduzione, introducendo nei sistemi legislativi programmi che tengano conto di tutti gli elementi correlati allo spreco alimentare, come l’incomprensibilità delle etichette, gli imballaggi inutili, le strategie di vendita che si basano sulle multi-offerte o simili opzioni.
Le politiche di prevenzione nella produzione di rifiuti anche quelli alimentari sono quindi una priorità per tutti i paesi membri dell’UE, che li contemplano nei loro programmi nazionali o regionali incentrandosi, puntando, per lo più, sulla necessità di aumentare la consapevolezza nei consumatori.
Vi sono poi una serie di manuali e linee guida sia per le amministrazioni pubbliche che per le imprese dove si danno indicazioni su come prevenire questa tipologia di rifiuti, anche gli accordi volontari che vengono firmati tra imprese e amministrazioni o associazioni non governative sono tra le misure previste in molti programmi di prevenzione dei rifiuti.
Purtroppo molti di questi programmi sono stati redatti intorno al 2013, come il piano nazionale italiano contro lo spreco alimentare, che è del 2014, e dovrebbero essere aggiornati, visto che questo tema è al centro sia delle agende locali che internazionali di sviluppo sostenibile; è anche vero che alcuni paesi hanno già introdotto nuove misure di prevenzione anche senza aggiornare i programmi nazionali, tanto che in fase di monitoraggio sono state contate ben 91 nuove misure, tra le più ricorrenti quella relativa alla costruzione di piattaforme per la distribuzione del cibo avanzato o in scadenza.
Tutti concordano sul fatto che la prevenzione è l'unico modo per ridurre gli scarti alimentari, ma questo ha un costo, rappresentato, ad esempio,
- dalla necessità di avere un numero maggiore di addetti
- da spese legate agli investimenti per migliorare lo stoccaggio.
Tutto questo, almeno in una prima fase, potrebbe comportare un aumento dei costi anche dei prodotti alimentari e questo potrebbe costituire un disincentivo, infatti, se un attore privato, sia un consumatore o un produttore, percepisce che il costo da sostenere è superiore al beneficio, l'incentivo a investire nella riduzione della perdita e degli sprechi alimentari potrebbe risultare più debole.
Non bisogna dimenticare nell'operazione di sensibilizzazione a questo tema che la riduzione degli scarti alimentari apporta benefici alla società nel suo insieme, in grado di giustificare anche un investimento di risorse pubbliche. Per questo è importante il ruolo che giocheranno gli interventi pubblici nell'attivare e migliorare gli incentivi privati in questo ambito.
Le strategie pubbliche per ridurre la perdita e lo spreco alimentare devono quindi essere progettate attentamente, al fine di fornire efficaci benefici pubblici, come il miglioramento
- della sicurezza alimentare
- della sostenibilità ambientale.
Nel mondo i Paesi avranno priorità diverse che guideranno le loro scelte e l’uso delle risorse finanziarie per implementare la riduzione dei rifiuti alimentari.
Nei paesi a basso reddito, le strategie andranno probabilmente a concentrarsi sul miglioramento della sicurezza alimentare, della nutrizione e sulla riduzione delle pressioni ambientali sulle risorse idriche e sul suolo. Questo richiede di ridurre la perdita di cibo e gli sprechi nelle prime fasi della catena di approvvigionamento alimentare, che significa anche migliorare le infrastrutture, come le strade, che possono aiutare i piccoli agricoltori ad accedere con facilità e velocità al mercato e ridurre le perdite nelle aziende agricole.
I paesi a reddito più elevato, invece, si impegneranno a rispettare gli impegni presi con l'accordo di Parigi, concentrandosi sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
L'attuazione di questa strategia richiede anche una riduzione dei rifiuti a livello di vendita al dettaglio e nel momento del consumo. In questo caso, le campagne di informazione sulla prevenzione degli sprechi alimentari e la promozione della ridistribuzione degli alimenti possono svolgere un ruolo significativo.
Avere chiaro l’obiettivo è essenziale per identificare le politiche e le azioni più appropriate per ridurre la perdita e lo spreco di cibo. Saranno imprescindibili gli investimenti pubblici in formazione, tecnologia e innovazione, si potranno poi anche prevedere incentivi per i singoli fornitori e consumatori tesi a ridurre la perdita e lo spreco di cibo a cui affiancare politiche che incidono sui prezzi dei prodotti alimentari o sui costi di gestione dei rifiuti.
Interventi efficaci richiedono informazioni migliori di quelle attualmente disponibili sia sul quanto che sul dove il cibo viene perso o sprecato, colmare questa lacuna di informazioni è quindi una priorità. Lo sviluppo delle capacità di adozione di metodi di calcolo comuni, l'elaborazione di linee guida da parte dei singoli Paesi, i partenariati tra le parti interessate sia private che pubbliche, sia nazionale che internazionale, aiuteranno a generare dati migliori e facilitare interventi strategici mirati per i singoli Paesi.
Approfondisci: Rapporto FAO - The State of Food and Agriculture 2019. Moving forward on food loss and waste reduction
(Fonte: Arpat)
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