sabato 6 agosto 2022

Biodiversità ad un bivio. Meglio la vita o il denaro?



Repubblica Democratica del Congo, il 28 e il 29 luglio 2022 il governo congolese ha messo all’asta 27 siti per esplorazioni petrolifere che includono un milione di ettari di torbiere, 11 milioni di ettari di foresta fluviale e parte del parco dei Virunga, dove vivono alcuni degli ultimi gorilla di montagna. Il governo stima che questi 27 siti contengano circa 22 miliardi di barili di petrolio per un valore, ai prezzi attuali, di circa 650 miliardi di dollari. Circa 12 volte il Prodotto Interno Lordo congolese di circa 54 miliardi di dollari all’anno. Altri tre siti, anch’essi all’asta, conterrebbero circa 66 miliardi di metri cubi di gas. Le torbiere rimuovono anidride carbonica dall’atmosfera aiutando a regolare il clima.


Le torbiere sotto le quali si trova parte del petrolio e del gas congolese imprigionano anidride carbonica pari a quella prodotta da circa tre anni di emissioni di gas serra. Questa anidride carbonica potrebbe essere liberata nell’atmosfera dalle trivellazioni. Si capisce, quindi, perché scienziati e ambientalisti siano contrari allo sfruttamento di questi siti.

Anche nella vicina Uganda scienziati e ambientalisti mettono in guardia e protestano contro la progettata costruzione di un oleodotto lungo circa 1.400 Km che dovrebbe trasportare il petrolio trovato in Uganda, nei pressi del Lago Alberto, fino al porto di Tanga in Tanzania.

L’anno scorso l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha affermato che, per tentare di contrastare i cambiamenti climatici, nessun nuovo giacimento di carburanti fossili dovrebbe essere messo in funzione, in nessun paese del mondo. Ai paesi africani viene chiesto di non sfruttare gas e petrolio, per contrastare i guasti climatici che i paesi ricchi hanno provocato e continuano a provocare sfruttando,
precisamente, gas e petrolio. Come sempre, la questione è complessa.

Perché mai la Repubblica Democratica del Congo e altri paesi africani dovrebbero rinunciare a potenziali ingenti ricchezze per guasti causati dai paesi ricchi? Perché, rispondono gli esperti, l’Africa, pur emettendo solo il 4% dei cosiddetti gas serra, è il continente che maggiormente risente dei cambiamenti climatici, con siccità prolungate, alluvioni ripetute, cicloni devastanti. Altri aggiungono che lo sfruttamento di queste risorse non andrebbe, comunque, a beneficio della popolazione. La cosiddetta “maledizione delle risorse naturali” che, in molti paesi africani, dalla Nigeria all’Angola, dalla Guinea Equatoriale alla Repubblica Democratica del Congo, dal Mozambico al Ciad, hanno arricchito pochi a discapito di molti. Circa 60 degli 80 milioni di congolesi vivono al di sotto della soglia di povertà nonostante l’enorme ricchezza mineraria del paese, il cui sottosuolo contiene di tutto: oltre a gas e petrolio, cobalto, rame, zinco, diamanti, oro, coltan, uranio.

Nel 2009, i paesi del G7 hanno promesso 100 miliardi di dollari all’anno ai paesi poveri per aiutarli nella lotta ai cambiamenti
climatici e compensarli per eventuali rinunce come quelle chieste alla Repubblica Democratica del Congo. Una infima frazione di quei fondi si è materializzata. Un altro esempio significativo che viene dall’America Latina: nel 2007 l’Ecuador fu esortato a non trivellare siti petroliferi nel Parco Nazionale dello Yasuni in cambio di adeguate compensazioni. Le compensazioni furono valutate, dal governo ecuadoregno, a 3 miliardi e 600.000 dollari. Sei anni dopo, nel 2013, solo il 4% di quella somma era stato erogato.

Risultato: nel 2016 sono iniziate le trivellazioni. Il rincaro dei prezzi dei carburanti, l’incertezza dei rifornimenti di gas provenienti dalla Russia, hanno portato alcuni paesi ricchi, come Regno Unito e Germania, a riattivare centrali a carbone. Il Presidente americano Biden e quello francese Macron hanno recentemente chiesto all’Arabia Saudita (per ora senza successo), di aumentare la sua produzione di petrolio. Di fronte a questi fatti, è difficile pensare che i paesi poveri rinuncino alla possibilità di sfruttare i loro giacimenti di carburanti fossili.

In margine a questa storia, notiamo che il 28 luglio scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con 161 voti a favore e 8 astenuti, ha dichiarato che l’accesso ad un ambiente pulito, sano e sostenibile, è un diritto umano universale. Resta da vedere quanto questa risoluzione inciderà sulla realtà.

Maurizio Murru *

* Medico, con decenni di lavoro in Africa ed altrove - http://www.centrocabral.com/1993/Tamburi_lontani

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