giovedì 24 maggio 2012

Essere incondizionato nella spiritualità laica e "maschere" che velano il Sé secondo l'Advaita Vedanta

Sagoma indistinta di Paolo D'Arpini




Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico  sull’Assoluto non duale, detto “Brahman”  nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici (posteriori ai Veda).

Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e si allontanano moltissimo da quanto affermato dagli storici europei. Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza). 


La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità.  L'Assoluto non duale è  tra l'essere ed il non essere. Esso è il  Sé (Atman), ovvero la  Consapevolezza priva di attributi,  che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta,  autoesistente, e contemporaneamente   aldilà di ogni manifestazione e pensiero.  


Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e -secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso  cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).

Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.

Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.

Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana” e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”). Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.

Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi di conoscenza: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.

Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).

Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della trasmigrazione, Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.


Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:

1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;

2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto  (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);

3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.


E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo.

L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.

Come diceva il filosofo  M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?…Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”

Paolo D’Arpini



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Commento ricevuto:

Ringrazio Paolo D'arpini, per questo commento-esposizione in merito ad un argomento ostico ai più in questo nostro mondo occidentale,  che si affida a più rassicuranti e altrettanto illusorie dogmatiche forme-pensiero, tralasciando intuizioni e conoscenze che implicano un più profondo e faticoso lavoro di scavo e di ricerca interiore, oltre che, naturalmente, di dare spazio, tanto spazio ad "una Visione" veramente senza confini, come senza confini e senza tempo è l'Essenza stessa dei Veda, e dell'Infinito, nell'interazione con l'Atma in noi e nell'Assoluto tutto. 
Franca Chichi

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