sabato 23 marzo 2013

Global Warming - "Se il riscaldamento globale è un dato di fatto... allora bisogna cambiare sistema, ora (prima che sia troppo tardi..)!"



Ci sono voluti quasi vent'anni per comprendere che il fenomeno de global warming era una realtà e non una fantasia dei soliti ambientalisti e poi dieci anni per accettare che fenomeni estremi indotti dai cambiamenti climatici potevano (e possono) produrre danni anche alle economie sia dei Paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo.

L'IPCC all'inizio della sua attività, al fine di bloccare il trend negativo dell'innalzamento della temperatura sul globo, prospettò alle nazioni e ai popoli della Terra tre passaggi importanti, il primo: la conoscenza del problema; il secondo: una strategia di lotta politica e scientifica compatta a livello planetario per bloccare il fenomeno e il terzo, qualora gli sforzi per bloccare il fenomeno non fossero andati in porto: l'adattabilità. Ora la prima fase, quella della sensibilizzazione al problema è stata abbondantemente acquisita a tutti i livelli: da studi, documentari televisivi, pubblicazioni, corsi e quant'altro. La seconda fase, quella della lotta ai cambiamenti climatici, dopo una serie di incontri internazionali dal 1997 ad oggi si è fatto ben poco, lo stesso accordo sul protocollo di Kyoto, che cerca di ridurre in maniera insignificante l'emissione di gas serra nell'atmosfera, ha corso il rischio di fallire più volte. Morale: la percentuale di CO2 in atmosfera dai 280 ppm dell'inizio 1900 è oggi passata a circa 400 ppm, determinando un aumento della temperatura media della Terra di 1 grado. Quindi fallita questa fase ora non resta che l'adattabilità agli eventi, quindi prevedere i fenomeni che stanno alla base dell'aumento della temperatura globale e agire di conseguenza. Ad esempio se a causa dell'aumento dei livelli del mare la pianura Pontina venisse allagata come parte della Val Padana, allora tre sono le decisioni da prendere: alzare grandi dighe, come in Olanda, lasciare che le acque del mare invadano le pianure e, magari, organizzare in più punti la pescicoltura e, infine, abbandonare le zone invase dal mare e ritirarsi in collina. Non sono fantasie queste illustrate, sono una triste realtà tra l'altro presentata 10 anni fa dall'ENEA in un suo dettagliato studio sugli effetti dell'innalzamento dei mari a causa del global warming.

Tutto questo, oltre ad avere un pesante impatto sulla società, avrà un più pesante e drammatico impatto sull'economia della nazione e, quindi, sul PIL.

A parlare del collegamento diretto tra economia e disastri ambientali in maniera più estesa, studio richiesto dal governo inglese, fu nel 2006 Sir Nicholas Stern attraverso il suo famoso rapporto "economia mondiale minacciata dai cambiamenti climatici". Rapporto in parte contestato da economisti a digiuno dei fenomeni connessi al global change e in parte osannato dagli ambientalisti. La conclusione di questo studio può essere sintetizzata in una frase di Stern contenuta nella conclusione della sua relazione: " Se l’economia viene usata per progettare politiche efficaci dal punto di vista della prevenzione, allora, l’azione per affrontare il cambiamento climatico consentirà alle società di crescere molto più rapidamente nel lungo termine di quanto faccia il non agire; noi possiamo essere ‘verdi’ e crescere. Se non saremo ‘verdi’, alla fine costituiremo una minaccia per la crescita, comunque la si misuri".

Ora molti Paesi, tra cui il nostro, nei loro programmi finanziari ed economici di previsione non tengono ancora conto di quanto sta accadendo di non positivo sul nostro pianeta. Se prendiamo in considerazione gli studi del NOAA circa le incidenze delle tempeste tropicali, degli uragani e dei tifoni notiamo che dal 1950 ad oggi sugli oceani sono aumentate in maniera vistosa. Solo sull'Atlantico da 5 o 6 uragani annuali di una certa importanza fino al 1980 siamo passati oggi dai 15 a 20 fenomeni estremi alcuni dei quali sono poi impattati sulla terra ferma. Oltre all'aumento del numero degli uragani, abbiamo dovuto registrare l'aumento dei livelli di energia che li contraddistinguono; nel passato raramente superavano livello 2 oggi siamo passati anche a livello 5, il massimo della scala uragani. Katrina è un esempio. Ma perché accade questo? Semplice, Uragani e Tifoni sono i regolatori del calore degli oceani, sono per fortuna le valvole di sfogo dell'eccessiva temperatura dei mari. Essi hanno il compito di scaricare l'energia calorica in eccesso dalle aree equatoriali e tropicali verso quelle temperate e polari. Sono fenomeni che regolano la stabilità climatica del pianeta. Quindi più fa caldo più intensi e continui saranno questi fenomeni. 

Da qui un completo sconvolgimento delle aree climatiche del pianeta dove si acuiranno le precipitazioni piovose e di conseguenza gli allagamenti, le frane e gli smottamenti e come contraltare lunghi periodi di siccità e incendi colossali sulle ultime foreste del pianeta.
Questa situazione, certamente non allegra, che sta coinvolgendo il clima del pianeta è dovuta all'innalzamento di appena un grado di temperatura globale. Cosà avverrà quando raggiungeremo i 2 gradi e più di aumento della temperatura media del pianeta?
Tutto ciò avrà, ma già oggi, ha un pesantissimo impatto sulle economie dei Paesi vittime di questi fenomeni meteo.
I disastri naturali stanno diventando una normale consuetudine, non passa anno in cui apprendiamo dai mass media di eventi catastrofici che passando dalla Cina, arrivano nel continente americano e poi in Australia, Africa e infine in Europa. Purtroppo ci stiamo facendo l'abitudine, come in estate per la presenza della fastidiosissima zanzara tigre o delle meduse urticanti nei nostri mari, regalini questi dateci proprio dai cambiamenti climatici. Per i grandi disastri climatici, oltre alla perdita di vite umane, si ha un pesantissimo colpo sulle nostre economie. Secondo il prestigioso Economist, cinque dei dieci disastri naturali che hanno avuto il maggior costo economico negli ultimi trent’anni sono avvenuti tra il 2008 e oggi. Questo cambiamento, spiega il settimanale britannico, ci dice qualcosa sull’organizzazione dell’economia mondiale, sempre più concentrata e interconnessa, sugli spostamenti della popolazione, dalle campagne ai centri urbani, e sui modi con cui è stata gestita la prevenzione dei disastri naturali.
Il 2011 è stato l’anno peggiore dopo il 2004 a causa delle alluvioni in Thailandia, Cina e Australia, dello tsunami in Giappone e dei terremoti in Nuova Zelanda.
A livello di prevenzione soprattutto per gli tsunami e gli uragani si sono fatti passi da giganti, soprattutto lo si è visto con l'Uragano Sandy che ha investito recentemente la stessa New York, e dove i piani di evacuazione hanno funzionato molto bene e si sono risparmiate molte vite umane, però tutto questo è costato alle casse USA oltre 300 milioni di dollari. Purtroppo i Paesi più poveri non hanno disponibilità economiche per fare quello che farebbero i Paesi occidentali per cui sono i più esposti a disastri e di conseguenza a perdite umane. Infatti i Paesi dove i disastri naturali hanno ucciso più persone sono quelli più arretrati e isolati, che non hanno fatto nulla o quasi per la prevenzione: tra questi, il devastante terremoto di Haiti del 2010, i cui numeri non sono stati definiti con chiarezza due anni dopo il disastro ma che ha sicuramente ucciso diverse decine di migliaia di persone.
I costi economici legati alla prevenzione e alle azioni di intervento umanitario dopo un disastro sono in crescita. Questo è dovuto, scrive l’Economist, al fatto che «una parte crescente della popolazione mondiale e dell’attività economica si va concentrando in luoghi a rischio di calamità naturali: coste tropicali e delta dei fiumi, vicino alle foreste e lungo faglie a rischio sismico». Un esempio esaminato dal settimanale è quello della Thailandia. Dopo le ultime alluvioni molto serie, nel 1983 e nel 1995, i distretti industriali più orientati all’esportazione si sono concentrati intorno a Bangkok e nelle pianure alluvionali più a nord, lungo il fiume Chao Phraya, che fino ad allora erano coltivate a risaia proprio perché erano regolarmente esposte ad alluvioni. Nelle ultime alluvioni, le acque hanno superato le dighe di sei metri intorno al distretto industriale di Rojana, allagando le fabbriche di importanti produttori di automobili e materiale tecnologico, tra cui Honda e Western Digital, un’azienda di dischi rigidi. I prezzi dei dischi rigidi hanno subito un aumento in tutto il mondo, mentre le alluvioni hanno causato complessivamente una diminuzione della produzione industriale stimata da J.P. Morgan in un 2,5 per cento, con un costo per il paese di circa 40 miliardi di dollari, il più costoso della storia della Thailandia.
L’evoluzione urbanistica e la crescita economica nei paesi in via di sviluppo rendono più probabili disastri con un grande impatto economico: secondo uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico pubblicato nel 2007, nel 2050 sette dei dieci maggiori centri urbani del mondo esposti al rischio di inondazioni si troveranno nei paesi in via di sviluppo, mentre nel 2005 non ce n’era nessuno. Il processo sembra inevitabile, dice l’Economist, e i paesi del mondo dovranno prendere le contromisure adeguate:Da una parte, l’urbanizzazione toglie alle città le difese naturali contro i disastri ed espone più persone alla perdita della vita o delle proprietà in caso di terremoto o di ciclone, ma dall’altra parte, l’urbanizzazione offre ai meno abbienti l'opportunità di vivere o sopravvivere. La densità e le infrastrutture delle città rendono le persone più produttive e più capaci di permettersi le misure per mantenersi sicure. Le misure per mitigare l’impatto dei disastri non devono scoraggiare la gente dall’ammassarsi nelle vulnerabili città, ma piuttosto devono essere un incentivo per le città e i loro abitanti a proteggersi ancora meglio.
Alcuni economisti hanno cercato di stimare i costi economici aggregati netti dei danni causati dai mutamenti climatici. Tali stime sono lontane da presentare conclusioni definitive: su circa un centinaio di stime, i valori variano da 10 $ per tonnellata di carbonio (3 dollari per tonnellata di anidride carbonica) fino a 350 dollari (95 dollari per tonnellata di anidride carbonica), con una media di 43 dollari per tonnellata di carbonio (12 dollari per tonnellata di anidride carbonica).
Gli studi preliminari suggeriscono che i costi e i benefici della mitigazione del fenomeno di riscaldamento globale sono a grandi linee attorno alla stessa cifra.
In base al programma ambientale delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme - UNEP), i settori economici che dovranno affrontare con maggiore probabilità gli effetti avversi del cambiamento climatico includono le banche, l'agricoltura e i trasporti. Le nazioni in via di sviluppo che sono dipendenti dall'agricoltura saranno particolarmente colpite.
In tutto questo Lo Stern Review, ha ipotizzato una riduzione del PIL globale di un punto percentuale a causa degli eventi meteorologici estremi e nello scenario peggiore la riduzione del 20% dei consumi globali pro capite.
E allora cosa stiamo aspettando? Potrà il nuovo governo e parlamento italiano affrontare e cercare di trovare una soluzione a questa incombente realtà che già è tra noi, oppure si continuerà a parlare di aumentare le tasse per far contenti gli istituti finanziari tedeschi e USA?
Questo è un compito serio che dovranno affrontare i nostri parlamentari, però ognuno di noi può già contribuire a bloccare questa corsa verso l'ecocatastrofe. Non ci rimane che avviare una vera rivoluzione culturale. Trovare in noi una nuova coscienza in grado di ricostruire il rapporto tra uomo e ambiente e limitare il danno indotto da una società consumistica che, in nome del profitto di pochi, induce le persone a comprare cose voluttuarie e a disfarsene dopo poco tempo, aumentando così la mole dei rifiuti che poi impattano con l'ambiente e nel contempo tolgono ancora risorse al nostro pianeta. Pensiamo e viviamo oggi troppo alla giornata, non ci poniamo il problema di ciò che lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Nel parossismo del nostro egoismo umano finalizzato al piacere d'avere subito e godere oggi stiamo distruggendo il futuro dell'umanità. Se non ci sarà una profonda inversione di marcia nel pensiero e nelle coscienze verso un progresso responsabile e sostenibile, poco resterà alle popolazioni del futuro per sperare di vivere su questo pianeta almeno con un minimo di dignità.

Ennio La Malfa

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