lunedì 4 novembre 2019

Sostenibilità ambientale e cambiamenti climatici


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Cosa intendiamo per sostenibilità? Il modello di sviluppo a cui siamo abituati e che ha caratterizzato il nostro Paese dal secondo dopoguerra in poi non è più sostenibile, non solo dal punto di vista economico; stiamo infatti assistendo e vivendo una perdurante crisi economica, che è anche una crisi sociale, che pone problemi di equità e giustizia. Le risorse si sono ridotte per tutti ma chi ne soffre di più sono le fasce più deboli. Questo problema non riguarda solo il rapporto tra paesi ricchi e poveri del mondo, ma si ripropone negli stessi termini anche nelle nostre città e nei nostri quartieri. In particolare la questione travolge le nuove generazioni, che  stanno protestando e sottolineando come le precedenti generazioni, con il loro comportamento e le loro scelte, abbiamo rovinato loro il futuro, anche incidendo sulla qualità dell'ambiente. La crisi ambientale, di cui i cambiamenti climatici rappresentano l'espressione più forte ed emblematica, sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Le tre componenti, crisi economica, sociale ed ambientale, sono strettamente connesse, quindi, le risposte devono essere strategiche. Non ha senso fare una politica economica che non tenga conto della componente ambientale e/o sociale, bisogna ragionare delle tre crisi se vogliamo affrontarle seriamente e dare delle risposte.
Partiamo dall’economia; come preserviamo il capitale? La gestione del capitale richiede di non intaccare lo stock ma di agire sui flussi. Lo stesso vale per la componente sociale e ambientale.
Il capitale sociale è un sistema di relazioni che creano fiducia, che sono in grado di mantenere e migliorare una certa qualità di vita in un territorio, coinvolgendo diversi attori. Oggi anche il capitale sociale è più fragile e bisogna trovare il modo per ricostruirlo perché le conseguenze negative ricadono soprattutto sulle nuove generazioni, per la prima volta, infatti, ci troviamo davanti ad una situazione in cui i figli stanno peggio dei padri.
Il capitale naturale o ambientale, invece, costituisce una novità, ma bisogna applicare la stessa logica, ovvero non intaccare lo stock. Pensiamo alla risorsa idrica, che fa parte dello stock, ed è il risultato di un ecosistema che funziona in un certo modo da sempre; compromettere quell’ecosistema significa intaccare lo stock e quindi avere a disposizione una qualità della risorsa peggiore. Se ci pensiamo questo già sta accadendo, abbiamo già intaccato lo stock !
Oggi il mondo è insostenibile, infatti, consumiamo molte più risorse di quelle che sono disponibili; se vogliamo tutti insieme lavorare per la sostenibilità, anche l’impresa deve porsi in questa prospettiva, mettendo insieme questi tre valori, solo in questo modo ci poniamo in un’ottica inter-generazionale, cioè ci poniamo il problema di cosa facciamo per il futuro, per i nostri figli e per i nostri nipoti. Se, ad esempio, vogliamo realizzare delle strategie contro il cambiamento climatico che coinvolgano tutto il mondo, dobbiamo trovare soluzioni che fanno stare meglio tutti i paesi, non solo quelli che già stanno bene, come i paesi europei, ma dobbiamo proporre politiche che garantiscano un benessere economico e sociale agli altri paesi che altrimenti non ci seguiranno nel cambiamento.
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Cosa si deve fare?  Ci sono diverse risposte possibili.
La prima risposta, maturata negli ultimi 10 anni, codificata dalla Conferenza di Rio, nel 2012, è incentrata sul modello di green economy, ovvero un’economia in grado di creare un benessere, ciò significa trovare soluzioni che ci facciamo stare bene, non decrescere.
Allora dobbiamo chiederci se il modello economico, che abbiamo acquisito dal dopoguerra, ora ci fa stare bene oppure no. Domandiamoci se ci fa stare bene
  • possedere più di 25 elettrodomestici per famiglia
  • pensare che nella nostra casa ci sono più di un migliaio di oggetti in plastica, molti dei quali inutili
  • avere una serie di telefoni, che non utilizziamo più, abbandonati nei cassetti delle nostre abitazioni.
Finora abbiamo operato nell’ambiente senza farci caso, intaccando il capitale naturale, quel terzo capitale che deve, invece, essere tutelato se vogliamo creare qualità della vita e benessere. Oggi ci rendiamo conto che non possiamo depredare l’ambiente, che non è un capitale illimitato, anche le aziende cominciano a capirlo; ad esempio la Findus qualche anno fa è entrata in crisi perché c’era over-fishing, non c’era più pesce a disposizione.
Oggi sappiamo, il rapporto GreenItaly lo conferma, che le imprese green, impegnate nel rispetto nell’ambiente, fanno meglio delle altre. I numeri sono ancora piccoli ma sono in crescita e dimostrano che queste aziende, anche piccole, sono più innovative, hanno più margine di profitto, hanno migliore occupazione, esportano di più e lo fanno puntando sul prodotto, e non sul processo, che per lo più è quello che si tende ad migliorare dal punto di vista della sostenibilità ambientale a scapito del prodotto.
La seconda risposta focalizza l’attenzione sul ruolo dell’impresa, la svolta verso la sostenibilità non è un affare solo dello Stato e delle Pubbliche amministrazioni.  In quest’ottica è da leggere quanto fatto dal Segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che si è presentato, dieci anni fa, a Davos, dai grandi dell’economia, chiedendo di fare un patto con le imprese per la sostenibilità.
Questo patto si è tradotto, alcuni anni dopo, nel Global Compact, ovvero 10 principi per favorire un’economia più inclusiva e più sensibile alla sostenibilità ambientale. Con il Global Compact si chiede alle aziende di integrare la sostenibilità nelle proprie strategie, ma anche di impegnarsi nell’attuare quelle sfide che non sono solo di competenza di organi superiori come gli Stati, le istituzioni pubbliche.
La terza risposta è rappresentata da Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che è il risultato di un percorso di diversi anni, in cui le Nazioni Unite hanno coinvolto molti portatori di interessi sul tema della sostenibilità, considerato il driver strategico dei prossimi 15 anni. L’agenda contiene gli obiettivi da raggiungere e gli indicatori per misurare i progressi verso la sostenibilità.
L’Italia ha una serie di indicatori positivi ed altri negativi che vengono messi in luce, ogni anno, dal rapporto curato da Asvis.
A livello globale, viene confermato che si sta contribuendo molto poco al raggiungimento degli obiettivi ambientali contenuti in Agenda 2030. Le istituzioni e le imprese possono fare molto di più in questa direzione, dove ci sono importanti margini di crescita. Gli attori economici, per fortuna, stanno prendendo coscienza che la mancanza di risposte concrete di tipo adattativo al cambiamento climatico corrisponde ad un aumento del rischio d’impresa, che va contabilizzato nei bilanci e richiede di essere valutato nella strategia aziendale.
Se le potenzialità per le imprese in questo ambito sono grandissime, non dobbiamo dimenticare che è necessario anche il coinvolgimento dei cittadini, infatti, ciascuno di noi deve cambiare il proprio comportamento attraverso scelte di consumo che tengano conto della sostenibilità.
Marco Frey della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
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(Fonte: Arpat)

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