Ho letto su quotidiano che un giovane chef ha ricevuto le due stelle michelin, in danimarca, poco tempo dopo l’apertura del suo nuovo locale. Dice che all’inizio faceva cucina New Nordic, metodo molto semplice per creare un piatto quando non si è ispirati: si prendono un paio di ingredienti da una fattoria locale, si raccoglie qualche erba nella foresta - e si condisce con un po’ di storytelling.
Alchemist non è solo un ristorante - non proprio - e rifugge ogni descrizione sintetica. Per cominciare, non propone un menu degustazione, bensì “un’esperienza olistica” dove la gastronomia occupa un ruolo centrale a fianco di arte, teatro, musica e stimoli sensoriali. Non serve “piatti” bensì “impressioni” (50 in totale). Se queste scelte lessicali sembrano misteriose, è perché lo sono: quelli di Alchemist hanno arruolato uno storico del cibo e due filosofi (sic!) per descrivere sé stessi nel modo più esatto possibile. È anche il primo ristorante al mondo a impiegare un drammaturgo: “Prima dell'apertura ho preso lezioni di teatro per un anno” spiega il giovane chef “e ho visto quanti paralleli esistano tra queste due esperienze. Quindi abbiamo deciso di creare una struttura drammatica per la cena: divisione in atti, climax, punto di non ritorno...”
Ieri mia madre diceva preoccupata che tutti i ristoranti sono vuoti cosi i cinema i teatri gli stadi i trasporti, e che l'economia rischia la paralisi... Le ho risposto che sono cose che ci mette a credere la televisione, assurdo che noi umili ci preoccupiamo della loro economia... intanto preoccupiamoci della nostra salute e ho concluso dicendole, che ogni volta che apriamo il rubinetto ed esce l’acqua, possiamo ringraziare dio, il cielo e la natura, cosi il gas per cucinare e riscaldarci e l'elettricità. Se ci fosse una crisi energetica grave rimarremmo senza elettricità e gas, le nostre case sarebbero bloccate e il nostro confort azzerato, con un evidente disagio generale e conseguente caos. Consumiamo acqua in eccesso continuamente, quando la meta della popolazione mondiale vive in condizioni senza spesso neanche il minimo di acqua e cibo per la sopravvivenza stessa. E quindi per concludere pensando al the alchimist e a quanti altri noti ristoranti olistici rimangono vuoti, rispondo che è poco importante se tutto questo può essere utile a farci essere meno consumisti, più coscienti, consapevoli e aperti al dialogo tra le generazioni e con il futuro.
E’ suggestivo il ristorante con il drammaturgo. Non vi si entra solo per soddisfare il bisogno della fame e fuggire bensì per immergersi attraverso il teatro in una dimensione altra, che e' sogno e vita. Sarebbe bello se si rallentasse le vite dei globalizzati, se si vuotassero tutti i locali e i social e ci ritrovassimo in piazza a parlare tra di noi, come si fa tra esseri davvero umani
Veteris, il Parmigiano reggiano “da ricchi”
Hanno prodotto pure un formaggio da meditazione, 15 anni di invecchiamento 1500 euro al chilo, 15 euro al grammo, anche se non è roba per le nostre papille gustative, cosi le 50 impressioni sensoriali di alchimista non sono roba per noi umili. Possiamo permetterci un buon piatto di pasta e fagioli, per dirla alla bud spencer, anche gli angeli mangiano fagioli, solo che abbiamo perso, pure in questo contesto, parte della nostra cultura di appartenenza. Abbiamo perso le nostre storie e il nostro saper fare legati alle farine di un tempo, al fare la pasta e il pane a casa; pure di questo si è appropriata la cultura egemone, a noi tocca la pasta industriale, con farine di grani che non si sa da dove arrivano. Abbiamo perso le storie legate a tutte le varietà di fagioli che c’erano un tempo e ora spesso ci toccano quelli nei barattoli e non quelli che si compravano al mercato e si sgranavano in compagnia chiacchierando sul tavolo della cucina. Quei tavoli col piano di marmo che avevano le cucine degli anni 60, dove sotto al tavolo c’era la spianatora e in un foro era infilato il mattarello. Era tutto funzionale ed ergonomico al lavoro delle donne italiane di quel periodo: fare la pasta. Ricordo poi che nel periodo di natale si giocava a carte e a tombola, su quei ripiani in marmo le carte scivolavano bene, anche se in verità un po freddi e i fagioli si usavano anche per segnare numeri sulle cartelle della tombola. A volte si usavano pure le bucce dei mandarini, con quell’aroma caratteristico, che veniva fuori dai pori della buccia che inondava la stanza, tra le risate il chiacchiericcio e i numeri. The alchimist non è roba per noi!
Credevo fosse un locale per tutti. Allora si rovescia tutto. Si lavora per le élites; gli altri si arrangino. Di pasta e fagioli buona non se ne trova piu’; chissà cosa ci mettono nei cibi nelle verdure e nella frutta. Ricordo anch'io che da bambino mi divertivo a sgranocchiare i fagioli. Ho ancora lu"stennamasse" con cui mamma e nonna lavoravano la pasta. Mi hai ricordato la tombola giocata con i fagioli; a me cadevano spesso e richiedevo i numeri già usciti per rimetterceli sopra. Era un rito.
Bello e interessante quanto scrivi, anche a me fin da bambino piacevano le poesie di leopardi il sabato del villaggio la mia preferita, l'attesa del piacere è già di per se il piacere stesso, poi più in la ho scoperto altri canti l infinito canto alla luna la ginestra. In quanto a quello che dicevo era troppo bello negli anni 60 vivere in quelle cucine, ricordo che c’era una grande stufa a legna che amavo più di ogni altra cosa, come unica fonte di riscaldamento. Vivevo in una casa al limite della periferia urbana, subito dopo iniziava la campagna; dormivo in una camera con mio padre mia madre e mia sorella e i nonni in un altra camera, poi sala, cucina, pianerottolo, rialzato verso sud, da dove si scorgeva la campagna, la majella e il gran sasso. Si scendevano un po di scalini e prima dell'orto giardino una piccola aja. Qui le varie famiglie si riunivamo per fare le passate di pomodoro, vendemmiare e altri lavori. Il nonno accendeva sempre la callara a legna per cuocere il vino cotto o le bottiglie di pomodoro, e metteva sempre le patate nella brace. Fino a otto dieci anni, poi tutto è cambiato. Crescendo la sfera del magico, man mano si è assottigliata, sempre di più fino a scomparire del tutto, anche perché i rapporti tra le famiglie sono cambiati. La vendemmia non si è fatta più, le bottiglie di pomodoro pure; le riunioni delle famiglie per natale, sono cambiate. Crescendo molte persone sono scomparse, forse le più importanti, per la piccola comunità, ed è mancata una figura centrale che avesse il carisma di raccogliere tutti i componenti del grande nucleo. Oggi con cugini e parenti dell’infanzia non ci si frequenta da tempo; un po per la diversità culturale che si è accentuata nel corso del tempo, un po per responsabilità mia e anche appunto per mancanza di un posto e di una figura familiare che raccogliesse tutti. Si incontrano tra di loro solo a festicciole per ristoranti per battesimi matrimoni e non mi sento più di far parte della comunità.
Comunque tutto travolto dal consumismo, anche nessuna determinazione da parte di un gruppo familiare nel riconoscersi in un lessico comune, per citare natalia ginzburg e mantenere una specifica appartenenza; tutti quanti ci siamo rifugiati nel contesto della famiglia amorale alla bansfield, dove solo all interno del micro nucleo familiare viene riconosciuto il valore di bene e male, di gioia e dolore: i panni sporchi si lavano nel chiuso ristretto della famiglia. Negli anni 60 la famiglia era allargata e si viveva tutti assieme, anche più famiglie. Per esempio, al piano di sopra della casa dove abitavo con i miei nonni e i miei genitori, con quattro stanze e un bagno vivevano le due famiglie dei fratelli di mio padre, con mogli e figli e nella casa vicina, le sorelle di mio padre, con le rispettive famiglie. Questo era il grande nucleo, composto nei periodi più belli, almeno da dieci dodici bambini che facevano casino. Stavamo tutto il giorno tutti assieme, anche a giocare sulla strada, maschi e femmine: campana uno due tre stella, mosca cieca, nascondino. Le merende di pane olio e pomodoro o pane ricotta e zucchero, col cacao spolverato sopra e si andava pure al mare come una grande tribù. I compleanni con la pizzadolce fatta in casa, festeggiati sempre tra di noi, il dolce più buono che abbia mai mangiato. Infatti se mi capita di assaggiarne una fetta ancora oggi, anche se difficile trovarla fatta allo stesso modo, mi sembra veramente di assaggiare o mangiare il sapore del tempo.
In verità tra i luoghi più interessanti che ho frequentato negli ultimi anni ci sono gli ecovillaggi, e anche tra numerosi disagi questo senso comunitario e di appartenenza si vive ancora, anche come forma di sperimentazione sociale: coltivare, costruire oppure cucinare in gruppo, facendo la pasta, il pane, accentuando il discorso sulle storie dei legumi, delle farine e dei grani antichi, i lieviti madre, le ricette naturali, i ricordi, le tecniche di coltivazione e conservazione dei cibi nella tradizione. Insomma tutto quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto all interno di quella grande famiglia che si è adattata al confort del comodo consumismo senza mantenere legami specifici con il passato e la specifica appartenenza culturale, anche perché, come dicevo, senza una figura guida di riferimento, pian piano le comunità affogano nell’indifferenza e nel non essere, una scelta pure questa: seguire il flusso degli eventi.
Ecco sarebbe fantastico creare gruppi omogenei ed eterogenei veramente forti, che riescano ad autodeterminarsi, anche senza figure di riferimento e questo manca anche negli ecovillaggi, nonostante si sia diffusa la pratica dei cerchi di parola e consapevolezza, dove ognuno può manifestare il suo essere, come vuole e come si sente; ci sono sempre persone delegate al comando e alle decisioni e la vera forza del cerchio decisionale non è ancora venuta fuori, se non in casi isolati e di breve durata.
Ferdinando Renzetti
ferdinandorenzetti@libero.it |
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