giovedì 27 febbraio 2025

Trieste resiste contro la guerra...


Avevamo avvisato la questura della manifestazione in Piazza Unità già il  19 febbraio, ma oggi ci hanno prescritto di svolgerla in Piazza  Goldoni. È il loro solito modo di allontanare la protesta dai palazzi  del potere e di sfibrare chi si mobilita. Non possiamo fare molto altro, attualmente, dall'accettare i loro diktat, consapevoli del fatto che hanno il coltello dalla parte del manico. 

Ci cacciano dal salotto borghese e noi manifesteremo fra la nostra gente, quella che veramente paga le scelte politiche di trascinarci progressivamente nella terza guerra mondiale. Daremo comunque voce al dissenso di chi vede, in quella portaerei, la scuola che crolla, la sanità negata, la bolletta  impossibile da pagare. A voi gli spettacoli di morte, a noi la lotta e la passione per la vita!

CI VEDIAMO SABATO PRIMO MARZO 2025 ALLE 10.00 IN PIAZZA GOLDONI! 

Coordinamento No Green Pass e Oltre
Insieme Liberi
Fronte della Primavera Triestina
Ta



mercoledì 26 febbraio 2025

4 aprile: Giornata contro la NATO....

 


Il 4 aprile 2025 la NATO compie 76 anni, costellati da guerre, operazioni di spionaggio, militarizzazione dei territori, corsa al riarmo, produzione di armamenti altamente distruttivi e inquinanti, provocazioni militari in ogni angolo del mondo, coinvolgimento in stragi di Stato, dapprima giustificati con la “lotta al comunismo” e successivamente in nome dell’esportazione di democrazia e progresso. 

Per il nostro Paese, 76 anni di NATO hanno significato finora 76 anni di collaborazione con crimini di ogni tipo e occupazione militare del nostro territorio: dalle oltre 120 basi e installazioni militari Usa-Nato disseminate su tutto il territorio nazionale agli accordi tra le università italiane e le agenzie e aziende militari pubbliche e private degli Usa e dello Stato d’Israele, dai percorsi didattici per i giovani studenti all’interno delle caserme all’uso del nostro territorio per l’addestramento degli eserciti dell’Alleanza Atlantica (che rendono, ad esempio, i poligoni Nato in Sardegna delle vere e proprie zone contaminate), il nostro Paese è un retroterra strategico della Nato, principale promotrice della guerra mondiale a cui l’Italia partecipa ogni giorno di più, impoverendo e affamando i lavoratori del nostro Paese. 

Sempre più risorse vengono destinate alla corsa al riarmo, alla conversione industriale in funzione bellica, ad accordi economici internazionali legati alle logiche di guerra che colpiscono sempre di più i lavoratori che vivono del nostro paese: dal caro energia all’inflazione sui beni di consumo, allo smantellamento di tutte quelle aziende che non fanno lauti profitti con il sistema della guerra lasciando a casa decine di migliaia di lavoratori. Di contro, i salari sono fermi al palo, la precarietà del lavoro è sempre più diffusa e le politiche sociali sono vuota propaganda del governo Meloni che fino ad oggi ha obbedito, ossequiosamente, ad ogni direttiva e indicazione di NATO e UE nell’imporre al nostro paese politiche economiche di guerra sempre gravose, pur di garantire a guerrafondai e speculatori lauti profitti nella guerra mondiale in corso.

L’attività della NATO e quindi l’ubbidienza del governo Meloni alle direttive imposte dalla NATO, contrasta infine con uno dei principi fondamentali della Costituzione, l’articolo 11, nella misura in cui esso statuisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Mobilitiamoci per dire NO alla NATO, per lottare contro il governo Meloni esecutore delle politiche di guerra imposte da USA e NATO!

Nei giorni che vanno dal 4 al 6 aprile, mobilitiamoci in ogni città con presidi, cortei, flash mob di fronte a installazioni/basi militari (ove presenti nelle città), università che hanno accordi di ricerca e didattici con la NATO e Israele, ambasciate e consolati di USA, Israele, Ucraina, oppure di istituti ad essi collegati (fondazioni, enti di ricerca privati, agenzie di sicurezza, ecc.), aziende produttrici di armi.

Ogni territorio definisca il proprio obiettivo di protesta in base a specificità del proprio contesto e obiettivi della propria lotta unendosi sotto le parole d’ordine del NO alla NATO, NO alla propaganda di guerra, NO alle politiche di guerra, dalla repressione del dissenso all’economia di guerra.

Dove non è possibile organizzare mobilitazioni di piazza, l’appello è a organizzare volantinaggi (mercati, piazze centrali, ecc.), banchetti informativi o iniziative pubbliche che facciano delle giornate del 4-5-6 aprile giornate di lotta e mobilitazione contro la NATO.

Coordinarsi è necessario!

Fare rete non è più sufficiente. Ogni singola realtà sente l’esigenza di alimentare una mobilitazione contro la guerra più generale e diffusa. Per farlo, è necessario innanzitutto coordinare in ogni angolo del paese le decine e decine di organismi che vogliono opporsi alla guerra e all’occupazione militare del nostro paese: siamo tanti, anche se sparpagliati, e dobbiamo organizzarci e coordinarci.

Per questo l’appello è a costruire assemblee, riunioni, confronti territoriali allargati a quante più realtà possibili, senza veti rispetto alla partecipazione di altri organismi, per coinvolgere in ogni territorio ogni forza disponibile a spendersi nella lotta contro la NATO, a contribuire con la propria esperienza e il proprio bagaglio politico a queste giornate di mobilitazione.

Il Coordinamento Nazionale No Nato si fa promotore di questa mobilitazione che ogni territorio può e deve far propria, con i propri simboli e striscioni di lotta, con i propri obiettivi specifici, con i propri contenuti ma che si collegano con una mobilitazione generalizzata in tutto il paese.

Dichiariamo il 4 aprile Giornata contro la NATO e la guerra!

Avanti nel fare fronte comune nella lotta contro le basi USA-NATO!



Coordinamento Nazionale No Nato <coordinamentonazionalenonato@lists.riseup.net>

Jagadish Chandra Bose e la sensibilità nel mondo inorganico e organico...



Jagadish Chandra Bose nasce a Mymensingn, , il 30 novembre 1858, nel distretto di Bikrampur nel Bengala indiano, dal 1947 Bangladesh, fisico e botanico è uno dei più importanti scienziati indiani. Suo padre, deputato, magistrato, uomo di grande cultura e amante delle scienze spingerà suo figlio verso la carriera di scienziato e dottore. J.C.Bose, nel 1869, frequenta il Collegio di S. Saverio a Calcutta (Kolkata dal 2001) presieduto da Padre Eugene Lafont, noto per una raffinata capacità didattica che influenzerà non poco l’attitudine alla ricerca del giovane. Nel 1879 J.C.Bose supera l'esame di laurea in Fisica a Calcutta e se, per andare in soccorso alle necessità finanziarie del padre, inizialmente rinvia la partenza per l’Inghilterra, in seguito, dopo aver abbandonato il suo piano di studiare medicina, vi giunge e tra 1881 e il 1885 consegue a Cambridge i diplomi in, Fisica, Chimica e Botanica, mentre a Londra quello in Scienze Naturali.

Al ritorno in India insegnerà Fisica presso il Collegio della Presidenza fino al 1916, ma già dal 1894 decide di dedicarsi alla ricerca scientifica, e in una piccola stanza del Collegio impianta il suo laboratorio. Inizia così una prolifica serie di esperienze: si interessa alle onde hertziane, costruisce un nuovo generatore d’onde, individua per primo le microonde e nel 1895, nel municipio di Calcutta mostra come queste possano essere inviate non solo attraverso l'aria, ma anche le pareti e perfino i corpi delle persone; perviene alla costruzione di un ricevitore di onde radio, il‘coherer’ (coesore), più efficiente del modello di Edouard Branly, si tratta in realtà di un diodo a semiconduttore, che chiama ‘radiometro universale’, brevettandolo in seguito senza mai sfruttarne i diritti (US Patent No. 755.840), sperimenta così 2 anni prima di Marconi la trasmissione senza fili; finisce per dedicare la sua vita alle indagini su l’elettrofisiologia delle piante.

Una menzione particolare va riservata all’invenzione del crescografo, uno strumento talmente sbalorditivo che varrà allo studioso il titolo di Sir, capace di ingrandimenti fino 10.000.000 di volte (a fronte dei 1000-2000 dei microscopi dell’epoca) e valido per mostrare in diretta la crescita delle cellule nei tessuti vegetali e la loro reazione ai vari stimoli esterni, quali la temperatura, i suoni, il metallo, le onde radio, i fertilizzanti; è evidente che questo strumento mostrando in diretta l’azione, ad esempio, delle sostanze sui vegetali può risultare utile per un’enormità di applicazioni.

Presto il genio di J.C.Bose viene riconosciuto, nonostante la sua permanenza a Londra sia spesso rabbuiata dall’atteggiamento ostile di una parte della comunità scientifica, nel 1903 riceve il titolo di Comandante dell'Ordine dell'Impero indiano a Delhi dal governo britannico, nel 1912 quello di comandante della Stella di India e nominato Cavaliere dal governo britannico nel 1916. Nel 1917 fonda il Bose Institute a Calcutta, nel 1928 diventa un Fellow della Royal Society di Londra.

Pubblica: ‘Risposta nel vivente e Non vivente’ nel 1902 e 'Il meccanismo nervoso delle piante' nel 1926 e vari altri saggi di fisica e fisiologia; ma curiosamente si mostra scrittore di talento, in lingua bengalese, anche nel filone della fantascienza. Muore il 23 novembre 1937 a Giridih in Bihar, nel Bangladesh britannico. Più autori si sono occupati della sua biografia, Pete Geddes con “The life and work of Sir Jagadis C. Bose” e D. P. Sengupta e altri con “Remembering Sir J C Bose”, sicchè sono conosciute buona parte delle vicende private e professionali dello scienziato.
Su tutte svetta un episodio memorabile, ossia la celebre dimostrazione tenutasi a Londra nel maggio 1901 nella sala centrale della Royal Society stracolma di ospiti e scienziati, dove J.C.Bose esegue il famoso esperimento nel quale mostra le variazioni elettriche a cui va incontro una pianta immersa in un recipiente contenente una soluzione di bromuro, un veleno. Lo strumento che registra la corrente, tramite un punto luminoso, indica le variazioni elettromagnetiche e descrive il lento morire della pianta, un pulsare sempre più flebile fino ai sussulti finali seguiti da un brusco arresto. Questo esperimento susciterà molta impressione, così di fatto J. C. Bose dimostra ad un vasto e qualificato pubblico, che le piante sono sensibili agli stimoli esterni, al calore, al freddo, ai suoni ecc.

Ancora più toccante è il resoconto dell’esperimento su una pianta di felce, reso vivido dall’immagine prodotta col crescografo durante la visita presso il suo laboratorio, nel Bose Institute, da parte di Paramahansa Yogananda, il quale ricorda: ‘Fissavo con grande aspettativa lo schermo che rifletteva la sagoma ingrandita della felce. Ora si distinguevano tenui movimenti di vita; la pianta cresceva lentamente dinanzi ai miei occhi incantati. Lo scienziato toccò la sommità della felce con una barretta di metallo: i movimenti si arrestarono bruscamente, per riprendere il loro sintomatico ritmo appena la barretta fu allontanata. “Avete visto come la più piccola interferenza esterna sia nociva a questi sensibili tessuti”, commentò Bose. “Osservate: ora somministrerò alla pianta del cloroformio e subito dopo un antidoto”. Il cloroformio arrestò la crescita; l’antidoto la riattivò. Il susseguirsi delle immagini sullo schermo era per me più avvincente della trama di un film. Il mio compagno, che ora impersonava la parte del cattivo, trafisse la felce con uno strumento affilato. Spasmodiche contrazioni indicarono l’intensità del dolore. Quando egli affondò nel gambo la lama di un rasoio, la sagoma si agitò convulsamente, poi si acquietò nell’arresto finale della morte’.

Va sottolineato che il rilancio critico della sua figura di J.C.Bose, specie in Occidente, è dovuto proprio al capitolo a lui dedicato in ‘Autobiografia di uno Yogi’ da parte di Paramahansa Yogananda.

Ma cerchiamo di capire perché J.C.Bose orienta la propria ricerca verso la sensibilità delle piante, tutto nasce da un osservazione che compie sulla singolarità del comportamento degli elementi di metallo posti all’interno del suo radiometro universale, il‘coherer’, infatti dopo un uso prolungato, questo sembra mostrare segni di affaticamento, tanto che dopo un po' di riposo riacquista la sensibilità iniziale, il comportamento risulta proprio simile a quello degli esseri viventi, ciò fa pensare a J.C.Bose che la materia possa avere una sorta di sensibilità e che ciò possa valere anche, ad esempio, per le piante.

E’così che, nel piccolo laboratorio di Calcutta, inizia l’indagine sulle reazioni nei viventi e non viventi e sulle proprietà fisiologiche dei tessuti vegetali e sulla somiglianza del loro comportamento con quello dei tessuti animali. Di fatto verifica sperimentalmente come determinati stimoli provochino nei metalli, nei tessuti delle piante e in quelli animali, le medesime reazioni; queste reazioni vengono rilevate attraverso il fluire di una corrente, dall’intensità e dalla forma della curva di risposta. L’attenzione in particolare alla sola risposta elettrica, quale manifestazione fondante della sua teoria sulla sensibilità della materia inorganica e organica, e quale indicatore principale della reazione agli stimoli, è ispirata, al nostro autore, dal fisiologo Auguste Desiré Waller e ai suoi studi sull’elettrofisiologia, studi dai quali J.C.Bose prende spunto e che approfondisce con la sperimentazione.

Quindi vediamo come stimoli meccanici, termici elettrici, chimici producano risposte elettriche sia nei sistemi organici che inorganici, come a mostrare una indistinta sensibilità propria della materia. Questa sensibilità secondo J.C.Bose ha la sua causa fisica in un fenomeno elettromagnetico dovuto all’alterarsi e ricomporsi degli equilibri molecolari, equilibri che perturbati dagli stimoli, all’atto del ristabilirsi generano un flusso elettromagnetico, misurato dagli strumenti appunto come corrente.

Alla luce delle conoscenze attuali potremmo spiegare più nel dettaglio questo fenomeno considerando i flussi eterici, ma per il nostro fisico, più macroscopicamente tutto dipende dall’energia che si sposta per ristabilire la condizione di equilibrio persa, a causa del disequilibrio molecolare.
In questa sede prescinderemo dagli ambiti applicativi delle scoperte di J.C.Bose, che sono innumerevoli e in buona parte misconosciuti in Occidente, e che possono essere dedotti dalle stesse considerazioni in calce ai vari esperimenti illustrati nell’opera, resta invece da speculare sulla natura di questa attitudine alla sensibilità della materia, sensibilità che rimanda ad una fascinosa immagine di un universo vitale pregno di un’intelligenza che non trascura nessuna sua, seppur minima, parte.
Come interpretare quindi queste reazioni agli stimoli presenti nell’organico e nell’inorganico, se non come presenza di una vitalità, che facilmente associamo agli esseri viventi e non certo all’inorganico? Ossia è sensato asserire che il mondo inorganico al pari di quello organico possieda un’anima senziente, ossia una coscienza, oppure in maniera più riduttiva pensare che per entrambi l’intelligenza che più o meno dimostrano di possedere sia in realtà la manifestazioni di dinamiche proprie della sola fisicità della materia?

Personalmente non me la sento di cavalcare l’ultima ipotesi, ricadendo in un sordo materialismo, quando ormai anche la stessa fisica quantistica, seppur timidamente, va riconoscendo i principi per i quali la materia e le sue manifestazioni nell’universo sono governati da un‘Intelligenza che tutto regola.

E’ ora di superare i preconcetti filosofici del recente passato che hanno dedicato a questa idea uno spazio sempre più ristretto se non addirittura nullo, nella visione di una separazione forzata tra spirito e scienza, più marcatamente dal dopoguerra, grazie al positivismo, al materialismo e ad un esacerbato ateismo; mentre in precedenza, a cavallo dei primi del 900, la fisica indagava sulla sostanza che compone la materia e i fenomeni dell’universo come materia sulla quale operava in ultima istanza un che di ineffabile riconducibile ad una concezione spirituale, diremmo divina.
Accordando una vitalità alla materia, in senso lato, che sia vivente o meno, si sposta con l’indagine il limite della ricerca dal mondo fisico verso quello metafisico, ambito quest’ultimo piuttosto delle idee o meglio dello spirito, per il quale forse le parole e ancor più i numeri, più vi ci si inoltra, più rischiano di non chiarire.

Questa diatriba è presente anche nel dibattito che il lavoro di J.C.Bose suscita, del resto non poteva essere altrimenti essendo il nostro originario di una terra dove è fortissima la componente spirituale, anche le scoperte proposte da un fisico non possono non diventare oggetto di disquisizioni filosofiche, avendo con queste indagini invaso proprio il campo della metafisica. A tal proposito proprio al termine del volume viene rigettata la teoria dei vitalisti che assegnano ad una fantomatica ‘forza vitale’ la causa dei fenomeni di sensibilità nel mondo organico, sia per la sua inconsistenza sperimentale e sia perché inadatta a spiegare la sensibilità nell’inorganico.
Piuttosto il J.C.Bose fisico, pur ponendosi la domanda riguardo quale sia il limite tra fisico e fisiologico, spinto dalla sua cultura spiritualista, inquadra i fenomeni in una visione unitaria, ove attraverso l’universalismo scompare la differenza tra vivente e non vivente e i confini tra i due mondi diventano qualcosa di indefinito.

Restando fedeli al primo assunto, ossia che tutto in quest’universo ha una coscienza, forse il compito dell’indagine in fisica può essere quello di capire quale può essere la natura materiale della coscienza, come sia fatta fisicamente, per rintracciare la sua appartenenza anche nel mondo inorganico; mentre più in generale, deve restare chiaro che se da una parte esiste una materia grossolana o sottile dall’altra c’è un Principio che la permea e la governa.

Questo contributo di indagine, oltre alla schietta sperimentazione fisica, invade l’astratto campo della metafisica per cercare di svelarne una parte di quell’inconoscibile che la fonda; senza però la pretesa di ridurre ad idea meccanicista questa materia dello spirito, l’operazione piuttosto è finalizzata alla figurazione di come l’universo funzioni, senza dimenticare che quello che osserviamo è un’emanazione della coscienza di ognuno, e universalmente della Coscienza in cui le fenomenologie fisiche e metafisiche si fondono.

Va ricordato che tantissimi ricercatori, a torto obliati, avevano già costruito sin dal finire XIX secolo e poi in quello a seguire, un sapere scientifico a riguardo delle energie sottili; oggi la ricerca su queste realtà fisiche ha reso palesi certe conoscenze attraverso le certezze sperimentali, un esempio su tutti, apparentemente fuori tema, quello delle ricerche sulla memoria dell’acqua di Masaru Emoto, che ci dimostra che l’acqua è sensibile, che ha memoria, ricorda e quindi riceve informazioni e così le rimanda, e questo come vale per l’acqua vale per tutta la materia, come non considerare quindi che questa non abbia coscienza; continuare a pensare che l’universo possa essere ridotto ad un puro schema meccanico razionale è diventato un assurdo, anche presso i filosofi e gli scienziati dell’occidente.

In ultimo, in onore alla antica e profonda cultura spirituale indiana, all’onesta etica ed intellettuale di tanti suoi concittadini, e in omaggio alla saggezza che essi ci hanno tramandato vale la pena di citare cosa dice il saggio Vasistha a riguardo delle relazioni tra mondo vegetale, animale e inorganico, in una parola nell’universo: Tutto è Braham, tutto è Coscienza, essa è Una e pervade l’intero Creato, ogni sua parte ne è parzialmente o totalmente consapevole.

Giuseppe Moscatello 




lunedì 24 febbraio 2025

Elegia del vino pescarese di Ferdinando Renzetti

 



D’Annunzio in terra vergine e in le novelle della Pescara 
è attratto dall’anima popolare che esprime la propria gioia se non attraverso la gioia di vivere fine a se stessa. Racconti paesaggi rappresentazione di fatti in stretta relazione col mondo circostante in cui gli esseri umani sono assorbiti completamente nell’ambiente, sono persone in quanto ambiente rappresentato. 

I movimenti psicologici sono collettivi e le folle sono pittoriche in quanto suscettibili solo di sentimenti elementari e naturali espressi nella gestualità e nella fisionomia spesso grottesca dipinta sui volti. D’Annunzio celebra la buona terra vergine e l’anima popolare godendo dei suoi odori nei suoi ardori e colori con cuore faunesco primitivo e pagano, cogliendo i drammi dei figli della terra nella sessualità nella bramosia a volte bestiale e nell’ardore per tutte le sensazioni estreme terrestri marine e solari piuttosto che per il pane o il focolare. 
 
 
Da un po di tempo sto mettendo a posto la libreria con tanti libri sparsi qua e la alcuni li ho buttati tante riviste le ho regalate e il resto non so ancora che farne. comunque tra i tanti libri vecchi ho trovato un oscar mondadori del 1976 le novelle della pescara di D’Annunzio letto tanto tempo fa che mi ha incuriosito. ho iniziato a leggerlo svogliatamente invece affascinato dal materiale trattato l’ho letteralmente divorato. racconta dei luoghi e dei vari personaggi di pescara piccolo paese lungo il fiume con la caserma carcere o bagno borbonico prima che fosse costruita la citta. 

Allora paesaggi naturali fluviali marini descrizioni della vegetazione dei cieli del mare dei monti delle stagioni dei campi di grano dei trasporti delle strade delle persone dei costumi modi di dire canzoni proverbi odori luoghi e personaggi caratteristici. quando ho finito di leggere il libro ho fatto anche ricerche sulla rete per capire ispirazione ed elaborazione dell opera che si svolge quasi tutta nell’ottocento dai primi anni ancora regno borbonico fino alla fine del secolo con punita d’Italia la costruzione della ferrovia e l’arrivo del treno. mi sono divertito a montare in sequenza alcuni brani e ne è venuta fuori una nuova breve novella.  
 
Siamo a pescara nella seconda meta dell’ottocento piccolo paese dove nel cinquecento venne costruita una fortezza spagnola pian piano smantellata e trasformata in caserma e in carcere borbonico. Il piccolo paese in provincia di chieti è sempre stato un piccolo porto di mare fin dall’antichità anche se le condizioni di vita sono state sempre pessime per via delle paludi e della malaria, infatti la maggior parte degli autoctoni hanno sempre vissutonei piccoli villaggi sui colli circostanti. Il fiume divideva Pescara dall’altro paese Castellammare Adriatico borgo marino di pescatori in provincia di Teramo. 

Pescara è una citta di fondazione fascista infatti i due paesi sono stati uniti nel 1928 a costituire il piccolo centro urbano con la nuova stazione e man mano si è sviluppato fino a diventare la moderna cittadina di oggi. Il paese era frequentato dai soldati della fortezza dai viaggiatori dagli avventori in cerca di fortuna e dai marinai delle imbarcazioni che per la mancanza di strade dell’epoca collegavano Pescara con Spalato e la costa Dalmata da dove arrivavano via mare la maggior parte delle merci necessarie. Comunque nella fine dell’ottocento con il chinino e le prime bonifiche delle paludi le condizioni di vita erano migliorate e si era formata una piccola borghesia di provincia, in questa nasce D’Annunzio nel 1863. 

Nello stesso paese e sulla stessa via nascerà nel 1910 Ennio Flaiano altro illustre letterato pescarese. Quindi D’Annunzio nelle novelle della Pescara descrive la vita del paese della sua infanzia e della sua giovinezza.
 
La casa molto umile aveva le mura tutte segnate di iscrizioni e figurazioni oscene. Ivi alloggiava ogni sorta di gente avventizia e girovaga. Dormivano i carrettieri di letto manoppello grandi e panciuti, gli zingari di Sulmona mercanti di giumenti e restauratori di caldaie, i fusari di bucchianico, le femmine di Città Sant’Angelo venute a far pubblica professione d’impudicizia tra i soldati, i zampognari di Latina, i montagnoli domatori di orsi, i cerretani, i falsi mendicanti, i ladri, le fattucchiere. 

Per la via turlendana domandò: ci stanno le candine? binche banche rispose: si signore, la candina di speranza, la candina di buono, la candina di ascau, la candina di zarricante, la candina della cecata di turlendana. La candina della cecata è grande e ci si vende lu meglio vino. La cecata è la femmina delli quattro mariti. Lu primo marito fu Turlendana che era marinaio e andava su li bastimenti del re di Napoli, alle Indie basse, alla Francia, alla Spagna e in America. Quello si perse in mare e non si è trovato più. Lu secondo marito dopo cinque anni di vedovanza fu l’Ortonese n’anima dannata che si era unito co li contrabbandieri a tempi di Napoleone che stava contro li inglesi. Facevano contrabbando di zucchero e caffè co li legni inglesi. Infine era morto di una schioppettata nelle reni per mano de soldati di Gioacchino Murat di notte sulla costiera. Lu terzo marito fu Biagio Quaglia che morì nel letto suo di male cattivo. Lu quarto vive ed è Verdura Bonomo che mò mestura li vini. Il vostro nome signor forestiero? mi chiamo Turlendana. Turlendana di qua? Di qua! Dunque non siete morto? Non sono morto. Dunque siete il marito di Rosalba Catena? Sono il marito di Rosalba Catena. E ora? Esclamò Verdura: siamo in due? 

Ecco qua Turlendana marinaio lu marito di mogliema. Turlendana che s’era morto. Ecco qua Turlendana! Passacantando entro sbattendo forte le vetrate malferme. Scosse dalle spalle le gocce di pioggia, poi si guardò intorno togliendosi dalla bocca la pipa. Nella taverna il fumo del tabacco faceva come una grande nebbia turchiniccia di mezzo a cui si intravedevano le facce varie dei bevitori e delle male femmine. C’era Pachiò il marinaio invalido a cui una untuosa benda verde copriva l’occhio destro infermo. C’era Binche Banche il servitore dei finanzieri omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza succo. C’era Magnasangue il mezzano dei soldati l’amico degli attori comici dei giocolieri, dei saltimbanchi, delle sonnambule, dei domatori di orsi, di tutta la gentaglia famelica e girovaga. 

Passacantando attraversò la taverna e andò a sedersi su una panca tra la pica e peppuccia contro il muro segnato di scritture e figure invereconde. la cecata padrona della candina si mosse dal banco verso il tavolo barcollando per la sua corpulenza e posò davanti a passacantando un boccale di vetro colmo di vino. Passacantandocinse con il braccio il collo di Peppuccia costringendola a bere e quindi attaccò la bocca a quella bocca che ancora teneva il sorso del vino e fece atto di suggere. Peppuccia rideva schermendosi e per le risa il vino mal tracannato spruzzava la faccia del provocatore. 

La vetrata si apri di nuovo e comparve sulla soglia l’Africana avvolta in un lungo pastrano: ehi ragazze è ora! Peppuccia la Pica e le altre ragazze si levarono di tra gli uomini che le perseguitavano con le mani e le parole e se ne uscirono dietro la loro padrona mentre pioveva e tutta la via del bagno borbonico era un lago melmoso. Turlendana amava il vino il brindisi in musica le serenate in onore della bellezza, i balli all’aperto i conviti larghi e clamorosi. 

Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva sulla fronte, gli brillavano agli orecchi femminilmente due cerchi d’argento. per il suo ritorno fu organizzata una grande festa con i due mariti e la mogliera; il maestro delle cerimonie recava le vivande in piatti dipinti, i vapori salivano come una nebbia. i vasi di vino, dalle anse bene usate passavano d’uomo in uomo, le braccia allungandosi e intrecciandosi su la mensa tra i pani cosparsi di anice e i formaggi piu tondi che il disco della luna, prendevano aranci mandorle olive. gli odori delle spezie si mescevano ai freschi effluvi vegetali e di qua e di là entro bicchieri di liquori limpidi i commensali offrivano brindisi gaudiosi. sul finire negli animi si accendeva una gioia bacchica i clamori crescevano fin che turlendana avanzandosi a capo scoperto con in mano un bicchiere colmo cantava un distico rituale che nei conviti della terra d’Abruzzi suol dischiudere ai brindisi le bocche amiche:
 
qistu vinu è dolge e galante;
a la salute di tutte quante!

Ripreso da Ferdinando Renzetti, narratore bioregionale 



domenica 23 febbraio 2025

Un nuovo mondo multipolare e multiculturale è possibile!?

 

Per orizzontarsi nel mondo di tutti!

Le espressioni che arrivano dalla Russia, dalla Cina e, in generale, dalla cosmogonia Brics dedicate al multipolarismo e al rispetto delle politiche che emergono dalle culture fiorite sulla terra, sono viste dalla parte di noi che considera la modalità ingerente irrinunciabile stella polare di quella statunitense-occidentale come mortifera, alla stregua di una promessa salvifica.

La base su cui appoggia la speranza che tale promessa possa comportare la realizzazione di un mondo più rispettoso e meno travestito di giustizia, non più governato dal padre padrone statunitense, si radica sul plinto della crescente e diffusa consapevolezza che la freccia scoccata dall’arco della modalità egemonica, appesantita da assurdità antropologica, sociologica e psicologica prima ancora che politica, geopolitica, come l’esportazione della democrazia, e ammorbata da un debito pubblico sintomo di un sistema immunitario allo sfacelo, sia prossima al suo punto di schianto, ben lontano dal centro del bersaglio di dominio assoluto che voleva colpire.

È una speranza che la storia ha fortunatamente disintossicato dall’esaltazione, quindi consapevole che ciò che verrà avrà di che essere osservato e studiato prima di conferire ai fautori del cambio di paradigma gli onori riservati agli eroi.

Sappiamo bene che la logica dell’occupazione del posto vacante, nonché quella della rotazione dei ruoli, soggiace a tutte le espressioni umano-relazionali. Ed è con questa ulteriore consapevolezza che alimentiamo e attendiamo lo sviluppo del virgulto sorto dall’Est del mondo.

La radicale avversione russa alla genuflessione davanti all’altare natico-statunitense non è, come sono soliti misconoscere i suoi detrattori, fondata sulla strumentalizzazione dell’identità valoriale storico-russo-ortodossa che Putin non manca di fare presente ad ogni suo intervento in merito alla Russia stessa. È un misconoscimento giustificato dall’inettitudine tutta materialistica di avere in sé il gene della cecità spirituale.

Per la presenza del medesimo cromosoma, l’Occidente cosiddetto non accede alla conoscenza e quindi alla forza insita nel confucianesimo taoista egida del prepensiero cinese. Un fondamento che non ammette la deroga di se stesso, pena il venire meno alla propria natura, alla propria vita.

Così, tanto il perno intorno al quale ruota la filosofia russa, quanto quello cinese, si trovano sul piatto d’argento della storia l’invito, se non la costrizione, a una reciproca solidarietà. In sostanza una muraglia geopolitica nei confronti del tentativo di invasione economica-culturale-politica occidentale.

La promessa e la speranza che implica fanno dunque leva sull’inderogabile sopravvivenza dei valori nazionali russi, cioè ortodossi – di gran lunga i più diffusi entro l’enorme bacino di culture del più esteso stato del mondo – e di quelli sino-confuciani, che emergono anche dall’indomita capacità di lavoro e di obbedienza alle istituzioni. Due aspetti assolutamente venuti a sciogliersi nell’opulenza, nell’edonismo, nell’individualismo, nella mercificazione di ogni aspetto della vita che hanno liquefatto i valori identitari dell’Occidente.

Avremo quindi a che fare con un menù del mondo senza più le voci della guerra declinate in vario modo? Con un sistema mondiale.2 non più corrotto dai bachi del Destino manifesto, dalla lobby delle armi, dalle bolle finanziarie e da quelle sanitarie, dalla disumanizzazione digitale e dallo tsunami dei diritti individuali? Non più filo rosso con cui tessere i paludamenti della presunta superiorità del pensiero occidentale?

Vedremo tutti, detrattori in buona e cattiva fede, come andranno le cose della storia, vedremo cioè se la promessa orientale della multipolarità, fondata sul rispetto identitario e sulla pari dignità dei paesi del mondo, sarà mantenuta e in che modo, o disattesa. 

Dunque rispetto per le culture che significa anche delle politiche. Come fossero consapevoli che un’ingerenza non è più possibile. Che non è che colonialismo travestito. Che ogni popolo ha il dovere e diritto di svolgere personalmente il proprio modello di evoluzione, se mai lo volesse perseguire, e come lo volesse attuare. 

A questo punto, anche se una promessa orientale è necessariamente più attendibile di una occidentale a causa del differente fattore K dell’avidità mercificante, una giravolta è ontologicamente presente e da tenere in considerazione. Essa è uno dei trucchi umani che si compiono nel momento in cui non lo crediamo possibile. Eppure, riducendo l’angolo di osservazione da mondiale a nazionale, ne abbiamo due dimostrazioni che dire eclatanti non basta. Quella del Movimento 5 Stelle e quella della Meloni hanno di che essere simili a capolavori, cioè opere fuori dallo spettro del già pensato. Due delusioni ben superiori rispetto a quella altrettanto inesorabile, ma più diluita nel tempo, della cosiddetta sinistra.

Abbiamo quindi a che fare con una speranza che, almeno per il tempo necessario alla verifica della sua attuazione, permette di calmierare l’anticapitalismo di fondo, presente in coloro che ne attendono lo sviluppo, evidentemente supportati dall’ipotesi che tra i paesi Brics possa configurarsi un capitalismo più umano, che faccia tesoro del gradiente esiziale che ha caratterizzato quello che ci sta addosso e, nonostante le sue promesse, ci nega l’idea di una vita aurea.


Lorenzo Merlo




sabato 22 febbraio 2025

“Calme di luglio” di Vittorio G. Rossi (1973), sulla plastica...





Ante Scriptum – Caro Paolo, magari lo conosci già, a me questo racconto sulla plastica mi piace molto e voglio tentare di leggerlo in una scuola elementare dove mi hanno arruolata per passare un’ora coi bambini e spiegare loro qualcosa del mondo contadino. E’ una classetta di campagna composta da tutte le classi dalla prima alla quinta e in tutto sono 18 bambini. Sono spettacolari, niente a che vedere con le scuole di città. Una bellissima esperienza. Ciao, a presto, Franca Oberti



Da “Calme di luglio” di Vittorio G. Rossi (1973), sulla plastica.

(…) Ogni volta che c’è una spiaggia, e c’è una mareggiata, io ci vado; mi piace il suono metallico dei ciottoli che strisciano sui ciottoli; mi piace quell’odore intrepido di mareggiata; mi piace cercare; non so cosa cerco, tutta la bellezza del cercare è qui; cercare qualcosa, che non si sa. 

Ma ora sulle spiagge dopo la mareggiata qualcosa è cambiato; c’è una cosa che prima non c’era; è una cosa che non è giovane, non vecchia; non viva, non morta; non animale, non vegetale, non minerale; non digiuna, non sazia; non ricca, non povera; non allegra, non malinconica; non fredda, non calda; non buona, non cattiva; non legnosa, non terrosa, non vitrea; senza memoria, senza rimpianti; senza odore, senza sapore; già conclusa definitivamente; senza ore, senza giorni, senza anni, senza secoli, perché la vita non è esserci, ma portarne il segno. E’ quella cosa che è la plastica. Ora sulle spiagge dopo la mareggiata c’è la plastica. 

Essa è l’immondizia più lavata, più risciacquata, più pulita della terra; è così pulita, che fa ribrezzo; essa ha confuso e irritato il mare con la sua esemplare condotta e incorruttibilità; è l’esempio vivente della immortale immondizia. Sono bottiglie, bottigliette, fiasche, catinelle, tazze, scodelle, scatole, scatolette, ciotole, vasi, vasetti, vaselli, vasi da notte, tubi, coperchi, ampolle, cucchiai, forchette, bicchieri, fiale, barattoli, piatti, bambole. 

Sono tutte cose che l’uomo certamente ha adoperato; ma non c’è niente dell’uomo in esse; non è rimasto niente. E neanche del mare gli è rimasto niente. Sono uscite dalla massa d’acqua intatte, inviolate; non c’è su di esse un graffio, un segno di tutto quello che l’acqua gli ha fatto; e tutta quell’acqua! Non sembra che vengano da quel mare così cattivo e traditore, come tutti i mari, pieno di sale, pieno di raffiche, pieno di pugni che picchiano, rompono, demoliscono sbrecciano, frantumano, squarciano, stracciano, sfondano, stroncano e ha la schiuma alla bocca. 

La natura è vivere, invecchiare, morire, cioè osservare le regole; la plastica è fuori dalla natura, fuori dalle regole; neanche il mare la può far morire. La terracotta, il ferro, la ceramica, il rame lavorato, il vetro, tutto ha un colore vitale: tutte le cose che possono morire, lo hanno. Su di lei anche i colori caldi, come il giallo, come il rosso, sono freddi come il ghiaccio; come un cadavere. Essa, la plastica, è un cadavere incapace di morire, e se non c’è morte, non c’è vita. 

Il mare rompe le rocce, rompe il ferro e l’acciaio; rompe il coraggio dell’uomo, trasforma un masso di pietra in un ciottolo levigato e scorrevole e continua a lavorarlo, lustrarlo, farlo sempre più piccolo, infine è un grano di ghiaia, poi un grano di sabbia, poi un granello di fango; e il fango si diffonde nell’acqua non come una cosa che è stata pietra, ma come fumo, l’alito di una mucca nella stalla. E lei la turba, la agita, la commuove, la intorbida, la scompiglia, la sconcerta, la sconvolge, la sconquassa; lei è lei. Il mare la respinge; non può fare altro. 

Tutte le cose che approdano sulla spiaggia quando c’è la mareggiata sono cariche di un racconto; di quello che sono state e hanno passato e ora sono diventate quelle che sono, e non è ancora finita, ora ci sono i loro rapporti, col sole e la pioggia, il caldo e il freddo, il giorno e la notte e l’uomo che passa. E lei non ha niente da raccontare. 

Tutte le cose portate dalla mareggiata hanno i segni della loro avventura; lei è fresca e ingenua, sempre neonata; ma la vita è scoprire e provare, avere e non avere, perdere e vincere, piangere e ridere, inghiottire e sputare, zucchero ed erba ruta. Lo scroscio che fa una cosa di vetro che cade e va in pezzi, è come un grido animale, è sgomento e disperazione. Lei è indifferente a tutto quello che le fanno e le succede; lei è lei. 

Dicono che ora hanno inventato una plastica che si disgrega; la può disgregare il sole; ci mette qualche mese, ma ci riesce, così dicono. Tutto quello che vive lo ha fatto il sole; è il sole che si è trasformato in piante, in animali di terra e d’acqua. Forse soltanto il sole può dare la morte a quella disgraziata che non riesce a morire; e così ristabilire l’equilibrio.




venerdì 21 febbraio 2025

LOTTA PER LA PACE CON UNA NUOVA YALTA...

 


In vista del terzo meeting degli Stati parti del Trattato di proibizione delle armi nucleari (Conferenza ONU a New York, 3-7 marzo 2025, preceduta, il 2 marzo, dall'assemblea di ICAN).

Interventi del team che lavora per la delegazione Disarmisti esigenti+Costituente Terra: Alfonso Navarra (introduzione e coordinamento), Luigi Mosca, Paola Paesano, Giovanna Cifoletti, Alessandro Capuzzo, Ennio Cabiddu, Antonella Nappi, Monica Bertino. 
Partecipazione straordinaria, tra il pubblico, di Olga Karatch.  

Nell'incontro online, vengono affrontati 2 problemi:
1- la "brutta pace" della nuova Yalta Trump-Putin-Xi è sempre meglio della "bella guerra" per la "pace giusta" in Ucraina (cioè la continuazione del conflitto armato in disputa sui confini): ci dà tempo e spazio per lavorare alla "bella pace", alla pace positiva, che come antimilitaristi nonviolenti sogniamo
2- l'Europa che vuole farsi valere non è quella che recrimina perché stanno facendo una "brutta pace" alle sue spalle, volendo la continuazione della guerra che la sta affossando, e volendo attrezzarsi per una economia di guerra e per le guerre: è invece quella (se esiste, dia segni di vita) che si batte perché da una brutta tregua si passi a una "bella pace". Si tratta di lavorare per la sicurezza multilaterale superando la cultura del nemico e riprendendo i rapporti energetici ed economici con la Russia.

Il working paper che abbiamo incardinato per la conferenza di New York, Disarmisti esigenti e Costituente Terra, con la collaborazione di altri soggetti, individua tre sentieri strategici per passare dalla proibizione alla eliminazione effettiva delle armi nucleari:
1) il tavolo delle potenze nucleari per adottare il NO FIRST USE
2) Helsinki 2 legata anche alle campagne per le denuclearizzazioni e smilitarizzazioni regionali, contro l'installazione dei nuovi euromissili (bisogna imparare dal movimento che negli anni '80 ebbe come città simbolo Comiso!).  A New York la nutrita delegazione della Pagoda per la pace di Comiso proporrà la sua performance: MAI PIU' AUSCWITZ! MAI PIU' HIROSHIMA!
3) il progetto di Costituzione della Terra, spiegato in questo incontro da Paola Paesano.

Alfonso Navarra
alfiononuke@gmail.com


giovedì 20 febbraio 2025

“Seduto senza far niente. Viene la primavera e l’erba cresce da sé”...

 


“Seduto senza far niente. Viene la primavera e l’erba cresce da sé”. Così recita un famoso detto zen, per significare che in natura le cose succedono senza doversi affaticare né preoccupare.  Però nella società mondana, fatta di regole e impegni amministrativi, di funzionamento delle strutture, etc. qualche piccolo intervento -magari una volta all’anno- tocca prevederlo.

Ad esempio  ieri, al  baretto di Treia, è venuto fuori il discorso dell’erba che comincia a  trasbordare sulle strade. Sì, è vero che sembra un miracolo che l’erba cresca “ancora” da sé ma alcuni viaggiatori non sono proprio contenti dell’invasione.

Ma -secondo me- anche se l’erba coprisse tutte le vie asfaltate del mondo sarebbe persino meglio per tutti… e magari sarebbe addirittura meglio se invece di viaggiare in città con le puzzolenti automobili tornassimo a muoverci a piedi, o a dorso di mulo, asino, cavallo e bue... Almeno così le bestie durante il viaggio avrebbero da satollarsi a gratis, e noi saremmo esentati da spese di benzina, bollo, assicurazione, olio, usura gomme, manutenzione meccanica, etc. etc. Però, si sa, viviamo in questo mondo e non “nell’altro” (quello dello zen) ed inoltre i media e le istituzioni recepiscono solo segnalazioni utili a questa società.

E qui inserisco una serie di consigli, rivolti agli amministratori locali per amministrare ecologicamente il territorio in cui viviamo:
Vietare l’uso di Pesticidi e di concimi chimici (che distruggono i terreni) oggi ormai inutili, in quanto sostituibili con tecniche biologiche. Anche in base al Reg. Cee “Reach” ed ai diritti costituzionali inviolabili alla salute, alla salubrità dell’ambiente ed al progresso dell’agricoltura (Art 32, 9, 44 della Costituzione Italiana).

I Sindaci possono, in qualità di responsabili della salute pubblica, dichiarare i territori Biologici. Ciò è possibile grazie ai Pagamenti Agroambientali, previsti dalla Comunità Europea nei Piani di Sviluppo Rurale regionali che, per legge, devono compensare tutti i mancati redditi e maggiori costi delle produzioni biologiche, quale servizio alla collettività, più un 20%, rendendo pertanto l’agricoltura biologica “conveniente per tutti gli agricoltori” e non solo per i consumatori. 

Agricoltura Biologica che dovrebbe essere controllata e certificata a spese della collettività e non degli agricoltori (come avviene oggi), con rischi di conflitti di interesse. Dal momento che i costi della certificazione biologica oggi vengono rimborsati agli agricoltori dalla comunità europea attraverso gli stessi Piani di Sviluppo Rurale, creando una doppia burocrazia inutile.

E’ necessario Utilizzare immediatamente al meglio le risorse economiche previste dai regolamenti europei “agroambientali” che possono interessare fino al 70% del bilancio complessivo dei Piani di Sviluppo Rurale regionali.

Bene, anche questa è fatta…

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana