lunedì 10 febbraio 2025

L'industrializzazione ed il precipitare della civiltà umana...

 


Sebbene il bottone rosso dell’allarme sia stato pigiato fin dagli albori dell’industrializzazione – mi riferisco a Ralph Waldo Emerson a Henry David Thoreaue a Walt Whitman – per segnalarne l’implicito potenziale nefasto, il pazzo treno dell’ingordigia non è stato fermato. Non solo, la sirena non ha mai cessato di diffondere l’avvertimento per tutto il tempo che ne è seguito fino a noi. Mi riferisco a Spencer, Heidegger, Jünger, Guénon, Nietzsche, Debord, Pasolini, Næss, Ceronetti, Gaber, De André e, per ultimo Todd (1), per ricordare tra tutti quelli al momento affacciati alla mia memoria. Ma anche la loro voci, le loro poesie, le loro canzoni e le loro argomentate critiche sono cadute nel liquamoso pozzo nero del pensiero unico. Un sito oscuro in cui tutto l’umanesimo non è che cibo per i caimani del profitto e del controllo che vi sguazzano. Il totem dell’uniformizzazione emerge al centro come un faro nella nebbia. Intorno ad esso nuotano i resti umani degli uomini. Dal bordo del pozzo ne si sente il vociare disperato e le urla strazianti. Sono le loro speranze e loro preghiere di salvezza. I due sintomi terminali del si salvi chi può.

Grida, questa volta, dal basso e corifere, non più solo intellettuali e raffinate, tutte di carne, per nulla organizzate e neanche razionali, ma spontaneo e irreprimibili che, più di quanto possa un discorso, un proclama o un intento, corrono su ponti emozionali, diffondendosi e raggiungendo per simpatia, prima delle orecchie, i cuori di molti.

Se l’edonismo, con la sua nostrana Milano da bere, aveva rotto gli argini di un modo di pensare economico, politico e privato di tipo analogico, quindi umano, e la foga globalistica ha invece avuto il nefasto merito di inondarne i solchi tradizionali, in cui la vita trovava il suo senso e il suo scopo, annegando le ragioni di identità individuale e comunitaria, è stata la digitalizzazione a frantumare l’orizzonte di terra, sostituendolo con uno virtuale così ben fatto e soddisfacente da entusiasmarne i nativi. Perché digitale significa senza alcuna possibilità di relazione umana, millimetrico controllo fisico e psicologico da remoto, al fine dell’elaborazione di algoritmi sempre più preveggenti dei nostri gusti consumistici e dei nostri intenti di potenziale fastidio dell’ordine imposto. Due momenti sostanziali per mantenere la rotta egemonica che i potentati occidentali cercano di non perdere.

Lo smarrimento nei confronti del futuro è generale, in quanto è chiaro che in esso non siamo previsti se non come carte di credito da consumi. Il progetto di ciò che verrà non ha spazio se non per qualsivoglia strategia obbediente al solo comandamento di ridurre il costo del lavoro al fine di tenere testa alle flotte del mar giallo d’oriente, in navigazione verso occidente, e contemporaneamente cercare di arginare quelle acque per evitare diventino il solo oceano del mondo.

Per questo e nessun altro motivo siamo arrivati al 24 febbraio 2022, alla conseguente criminalizzazione della Russia, orso da abbattere al più presto per poi occuparsi dei panda ancora più a est. Per questo motivo l’opera immonda di Israele, peggiore di quella hitleriana, in quanto venuta dopo, non ha motivo d’essere contrastata. Come rinunciare all’occasione ben provocata, di istituire una più solida base occidentale nel cuore del Medio Oriente?

Alla digitalizzazione, quale discendenza spontanea ha fatto seguito l’intelligenza artificiale, portatrice sana dei virus più devastanti di un’atomica, geniale arma di innocente distruzione di massa, formidabile strumento fratricida, i cui untori inconsapevoli siamo noi, cavallette devastatrici dell’ultimo campo esistenziale in cui si potevano coltivare gli ultimi nutrimenti umani.

Il valore della solidarietà, il senso di umanità, la percezione di essere misteriosi miracoli cosmici non poteva che perire sotto il fuoco che una volta, fino a pochi anni fa, era amico, cioè sparato dai tanti invaghiti che, come al tempo delle dittature, hanno scelto di adeguarsi per cercare di raggiungere un posto al sole.

Ma la caduta del plinto storico sul quale gli uomini poggiavano se stessi e il loro immaginario già indebolito, è dovuto anche ad altre crepe demolenti. Anche se l’elenco di ciò che ha insistito sul plinto fino a farlo cedere è ben più consistente, esso è crollato anche per l’insostenibile peso della finanziarizzazione dell’economia, dell’immigrazione sconsiderata, della prostrazione dei sindacati, primi fautori della vittoria del precariato nella sua sarcomerica forma liberistica.

Il vorticoso precipitare è simile a una orgiastica festa eticamente blasfema, bagnata da rovesci di coriandoli e cascate di champagne, come quelle dei campioni sul podio, alla quale la sinistra, mossa dalla convinzione di trovare di che rinnovare sé stessa, ha partecipato con entusiasmo. Nell’ebbrezza del nuovo corso, ha dimenticato che l’aggiornamento di sé avrebbe dovuto quantomeno non ripudiare la propria missione popolare. Così si è data svendendo, se non regalando anima e corpo, abbracciando le nuove politiche economiche e dei diritti individuali, con le quali, credendo di stare al passo dei tempi, di fatto ha reciso il canapone che la teneva ormeggiata alla banchina sociale che l’aveva varata.

Il progressismo, idolatria dei progressisti assolutamente europeista e occidentale, sembra il protagonista di uno psicothriller artefatto, ma invece è vero ben più di quanto potesse esserlo 1984 di George Orwell. L’Unione Europea, ora con le pazze donne che la guidano, quell’entità nata per calcolo economico, abortita da subito per mancanza di un’anima comunemente sentita e riconosciuta da nessuno se non dai commercianti e dai non eletti che ne ciucciano denaro seduti al più autoreferenziale parlamento della storia umana, tenuta in vita da un accanimento ideologico pari alle opere d’ingegno umano tra le più mirabolanti e per la quale nessuno è disposto a staccare la spina. È questo il cuore freddo dell’Unione Europea, un protostato dello spessore del domopack, senza una politica degna di questo nome, che non sia fare i desiderata di pochi e essere sorda alla voce dei molti. Un comandante arrogante e repressivo, ma senza seguito, sta conducendo una battaglia, prima che contro il nemico che ha inventato, o che gli è stato indicato, contro i suoi popoli, che sa essere ammutinati in fieri.

Come se non bastasse il presente, nel passato il calcolo della maternità surrogata dalla quale è nata la Comunità Economica Europea, poi Europa Unita e oggi Unione Europea era errato. E c’è da credere lo sapessero. Se Prodi e i suoi amici dicevano che il cambio lira/euro sarebbe stato a favore degli italiani, se diceva che avremmo perciò potuto lavorare meno e guadagnare di più, siamo ora – e da tempo – alla resa di impietosi conti, il cui totale tecnico lascio agli esperti, ma la cui somma negativa è un fatto, ovvero l’allargata e crescente fascia sociale sempre più vessata, sempre più povera, sempre più larga, sempre più precarizzata e sempre più odiata, proprio e in primis da quella sinistra che l’aveva avuta come madre. Ma sempre meno tollerante.

Mentre precipitiamo aumenta il numero di chi finalmente sta vedendo l’onda lunga, quella che a star dietro al gossip del mondo non ha modo di sorgere all’orizzonte della consapevolezza. Così, la ricchezza mondiale, sempre più concentrata nelle mani di infime percentuali di entità e di uomini, che fa quadrato e spontaneo cartello contro il resto del mondo per costringerlo entro il paddok e seguitare a mungerlo, non è più identificata come una notizia bufala, da complottista, ma qualcosa a cui prestare attenzione, qualcosa per cui prendere le distanze dal divano. Cosicché, siamo al punto che i privati controllano il mondo, più di quanto non possano i nostri voti, in particolare quello cosiddetto occidentale e democratico. Spadroneggiano con il presunto diritto di uccidere e con quello di decidere le sorti politiche degli stati e di miliardi di persone. La storia nell’epoca del digitale sanguina assai di più di quanto non accadesse in quello analogico dell’arma bianca.

Dunque l’urlo corifero – dicevamo in apertura – come ad ogni tornata, cioè ad ogni volta che si ritorna a fare mente locale di quanto sta accadendo, del buco nero in cui stiamo precipitando, dovrebbe ora condensarsi in azioni di contrasto, almeno fino a quando un altro diversivo, come zucchero a velo cosparso sulla torta della realtà non sia cosparso come bombe a grappolo sui nostri pensieri e sentimenti dai droni della grande comunicazione per distrarci e finalmente lasciarci tornare sul divano guardare Sanremo.

Lorenzo Merlo




P.S. Da quando il precipitare ha cessato di essere mala prospettiva e fastidioso sentore ed è divenuto sempre più chiaro agli occhi di un popolo che, grossolanamente, può essere rappresentato solo dal partito dell’astensione, sono susseguiti innumerevoli interventi di denuncia socio-politico-economico-sociale. Se tutte queste energie siano cadute nel niente – che resta dietro le reti a strascico del digital-capitalismo – o se hanno qualche potere di fare breccia non si sa. La loro natura dipende da chi sente il vuoto sotto di sé. Giungeremo in fondo sfracellandoci o avremo modo di salvarci? La nostra identità e i nostri valori saranno spariti o potremo ancora credere nella politica, nella democrazia?


Nota

  1. Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi, 2024.

  2. vedi anche: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/05/dazi-trump-austerita-unione-europea/7864150/


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