sabato 21 dicembre 2013

Federalismo Radicale - E se abolissimo le regioni?



Le aboliamo queste Regioni, fonti di sperpero del denaro pubblico,
centrali del malaffare, organismi minati dalla corruzione, soggetti
che minacciano l'unità nazionale ed hanno messo alle corde lo Stato
unitario? Ma sì, aboliamole. Chi non le ha mai amate, come il
sottoscritto, si sente un po' meno solo dopo aver appreso, qualche
mese fa, che l'autorevolissima Società Geografica Italiana ha proposto
di tagliarle drasticamente insieme con le Province delle quali ne
resterebbero soltanto trentasei rispetto al progetto elaborato dal
governo Monti.

Le Province dovrebbero essere ribattezzate "ecosistemi urbani"
assumendo le funzioni di organismi politico-amministrativi come
sostituti delle attuali Regioni e Province. Secondo lo schema
elaborato dalla Società, i loro confini verrebbero ridisegnati in base
"al potenziale urbano degli attuali capoluoghi di provincia, alla rete
delle infrastrutture che le collegano e al substrato fisico del
territorio". Secondo il presidente della Società, Franco Salvatori,
"la nuova mappa amministrativa dell'Italia porterebbe vantaggi a
livello di riduzione dei costi delle politica e di gestione
territoriale, ora troppo frantumate, nel caso delle province, e troppo
squilibrata, nel vaso delle regioni".

Ha ragioni da vendere la Società Geografica di fronte alla grave crisi
economica che richiede innovazioni anche di carattere amministrativo.
Le nuove Regioni, o ciò che rimarrà dalla rivisitazione di esse
unitamente alle Province, saranno "soggetti particolarmente
attrezzati, implicitamente forti, ma non così tanto da contrastare
l'organizzazione centrale dello Stato, garantendo così un equilibrio
di poteri". E, dato tutt'altro che marginale, si metterebbe fine agli
sprechi indecenti che gravano per più della metà sull'accumulo del
debito pubblico a cui le Regioni hanno contribuito soprattutto con la
gestione dissennata della spesa sanitaria. Il sistema autenticamente
delinquenziale, fondato sull'appropriazione disinvolta delle risorse
pubbliche, poi, che hanno generato, messo in luce dalle cronache
recenti che raccontano la storia di una indecenza mai vista e nella
quale sono coinvolti tutti, fa propendere per un'abolizione (o una
rivisitazione radicale) del sistema regionale. Altro che federalismo:
un incubo questo fortunatamente tramontato dal quale un po' tutti si
erano lasciati soggiogare pur sapendo che avrebbe comportato una spesa
che il Paese non avrebbe potuto sostenere.

Il declino dell'autonomismo, declinato tanto in regionalismo quanto in
federalismo,mi indica una presa di coscienza anche da parte di forze
politiche che attraverso queste concezioni puntavano alla devastazione
dello Stato. A parte sparute frange al di fuori della realtà,
fortunatamente, almeno da questo punto di vista, sembra che il buon
senso stia prevalendo.

La nuova consapevolezza istituzionale, per ciò che concerne le
Regioni, apre indiscutibilmente scenari nuovi nella discussione sulla
riforma dello Stato. Ed incrocia numerose prese di posizione sul
fallimento delle regionalismo che vanno a colmare le distanze tra le
prerogative dello Stato centrale e le possibili macro-regioni
risultanti da accorpamenti funzionali alla gestione del territorio e
ad una migliore rappresentazione della pluralità delle popolazioni in
un quadro di nuova ricomposizione nazionale: l'esatto contrario degli
effetti della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione.

In verità, tra le voci recenti reclamanti la revisione del sistema
delle autonomie, ricordo, nel giugno dello scorso anno, quella di
Francesco Rutelli che in un'intervista al Corriere della sera ,
"scandalosamente" sosteneva il ripensamento delle Regioni riguardate
come oggettive fonti di sperpero, clientelismo, corruzione,
disfunzioni e conflitti tra i poteri dello Stato. Finalmente un’idea
sensata, pensai, immaginando che sarebbe venuto fuori un dibattito, ma
a parte la mia flebile voce e quella di qualche altro isolato,
l'invito dell'ex-leader della Margherita e dell'Api rimase lettera
morta.

Mi consolai considerando la denuncia di Rutelli una sorta vendetta
postuma per chi aveva avversato l’istituto regionale prevedendone la
rapida usura ed il dannoso disfacimento. Finalmente un po’ di
giustizia per coloro che gridarono nel deserto per almeno cinque
decenni.

Avevo diciassette anni nel 1970 quando vennero eletti i primi Consigli
regionali, con relative Giunte e Presidenze. La mia Destra, quella
Destra che neppure i “destristi” ricordano più, si era opposta con
tutte le sue forze (esigue a dire la verità non per lo scarso vigore
delle argomentazioni, ma per l’ostilità che scontava da parte di tutti
i soggetti politici che si riconoscevano nell’arco costituzionale) al
regionalismo forsennato che colava dalle voraci fauci della
partitocrazia smaniosa di mettersi in bocca un’altra prelibatezza che
il potere costituzionale aveva approntato, ma che con difficoltà il
Parlamento era riuscito a cucinare.

Fu così, dopo la lunga astinenza, che presero forma le Regioni a
Statuto ordinario (altro discorso vale per quelle a Statuto speciale).
E l’ingordigia dei partiti sembrò placarsi. Fu un’illusione,
naturalmente. Già non gli bastavano le varie autonomie locali sulle
quali si erano gettati a capofitto, figurarsi le Regioni che offrivano
immense possibilità di soddisfacimento politico-affaristico. Da
quarantadue anni la partitocrazia divora immense risorse, senza
procurare alcun beneficio ai cittadini. Ma chi ha ormai il coraggio di
opporsi?

Ecco perché dovremmo tenere viva l'iniziativa della Società Geografica
Italiana che ha avuto il coraggio di infilare il coltello nella piaga
e dire ciò che era proibito perfino pensare: le Regioni, molto più
delle Province, sono terribilmente ingombranti. Ripensare i poteri
delle Regioni e dimezzarne il numero è quanto mai urgente anche perché
il Paese non regge più la doppia devoluzione: verso Bruxelles e verso
venti mini-Stati.

Una verità tanto semplice, per di più dopo i disastri derivanti dalle
cessioni di sovranità dello Stato verso l’Europa e verso le Regioni,
non credo ammetta repliche. Esse, infatti, come osservava Rutelli,
“non possono occuparsi di commercio estero, relazioni internazionali,
energia e trasporti. Né avere il potere sulla sanità: 140 miliardi
l’anno. E la competenza esclusiva sul turismo. I tempi sono cambiati”.
Già, sono diventati terribilmente tristi. Anche per le sciagurate
scelte istituzionali che sono state fatte, come il regionalismo
appunto.

Le Regioni, dunque, possono essere tagliate. Il macroregionalismo di
Gianfranco Miglio andava in questo senso, ma non venne compreso anche
per responsabilità dello stesso indimenticabile politologo il quale,
prossimo alla Lega, alzava il tiro e faceva intravvedere la secessione
dietro il suo progetto. Molto più modestamente, ma fattibilmente, oggi
comprendiamo che le regioni potrebbero riunirsi secondo criteri
tutt’altro che fantasiosi, riducendosi in un numero ragionevole e
minimo di aggregazioni con quali risparmi è facilmente immaginabile.

A coloro che hanno voglia e coraggio nel riconsiderare un "mito"
istituzionale come le Regioni vorrei inviare i numerosi atti
parlamentari del tempo contenenti le argomentazioni di chi fu contro
le Regioni, firmati da esponenti del Movimento Sociale Italiano. L'
onestà intellettuale di ha mutato avviso nel frattempo, a fronte di
una desolante realtà che ci mette di fronte a centri di potere
onnivori e non di rado corrotti, glieli farà certamente apprezzare.
Mentre non so perché quel che resta della Destra italiana e l'informe
centrodestra per quasi vent’anni si sono dati come compito primario
quello di correre appresso alla Lega, politicamente al lumicino anche
per l'insostenibilità delle sue idee federaliste che non incantano più
nessuno, sul terreno che era a loro meno congeniale, il regionalismo
estremista appunto, declinato in federalismo. Quando si dice le
contraddizioni della politica…

Gennaro Malgieri

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Articolo in sintonia: http://paolodarpini.blogspot.it/2010/10/rete-bioregionale-italiana-il-vero.html


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Commento di Roberto Anastagi:

Caro Gennaro, Il tuo articolo è molto interessante ma sono convinto che è un sogno
irrealizzabile.
Non posso immaginare che un governo in Italia possa fare gli
importanti cambiamenti di cui il paese ha bisogno.
Ci sono potentissimi interessi che non vogliono questi cambiamenti e
fintanto che gli italiani non vorranno capire che se vogliono che le
cose cambino debbono smettere di prendersela con governi che sono
sempre precari perchè gli italiani hanno disperso i voti nel loro
folle desiderio di votare sempre e solo contro e mai a favore di una
persona alla quale dare una forte maggioranza in modo che possa con
successo eliminare gli interessi che non vogliono i cambiamenti.
Ma gli italiani non vogliono un governo forte che gli impedisca di
pensare solo a se stessi e mai al paese.
Io ho sempre sostenuto l'eliminazione delle provincie senza però
conoscere come queste cose esattamente funzionano.
Ho pensato che i comuni sono necessari, che le provincie sono tante e
stanno in mezzo tra i comuni e le regioni che hanno una dimensione
sufficiente per farsi ascoltare dal governo centrale.
Non posso fare a meno di vedere come funzionano molto meglio i paesi
che hanno il federalismo.
Inoltre su tutto questo gioca un ruolo pesantissimo la tremenda
differenza di cultura tra il nord e il sud del paese.
La mia sola speranza è che la comunità europea costringa l'Italia a
fare i cambiamenti necessari perchè i paesi del nord desiderano avere
a disposizione il mercato italiano ma sicuramente non desiderano
pagare per l'inefficienza italiana e quelli che desiderano che usciamo
dal mercato comune non capiscono niente di questo argomento.

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