Cari amici, il giornalista Vittorio Emiliani, Presidente del Comitato per la Bellezza, e Luigi Piccioni, noto storico dell’ambiente, hanno lanciato questo appello per la salvezza dei parchi italiani.
Se ne condividete le motivazioni vi sarò personalmente grato se invierete la vostra adesione all’appello a: emiliani35@alice.it.
Grazie per l’attenzione e cari saluti, Giorgio Nebbia
PARCHI NATURALI ITALIANI, UN PATRIMONIO DA SALVARE
Le aree protette italiane
stanno vivendo, ormai da qualche anno, una crisi drammatica, una
crisi di sopravvivenza, che ci sta ricacciando indietro nel confronto
con altri Paesi e nella nostra capacità di mettere a frutto le
potenzialità educative, scientifiche, ricreative ed economiche dei
nostri parchi. Mentre, al contrario, essi andrebbero, come le altre
aree protette, meglio tutelati e rilanciati nel quadro normativo del
Codice per il Paesaggio.
I primi due Parchi
Nazionali nascono dalle intuizioni e dalle pressioni
dell’intellighenzia liberale d’inizio secolo che trovano
la prima attuazione nei Parchi del Gran Paradiso (1922) e d’Abruzzo
(1923). Il fascismo burocratizzò e snaturò questi due primi Parchi
Nazionali istituendone altri due per motivi lontani dalla cultura
naturalistica (Stelvio e Circeo). Poi un lungo sonno. Rotto alla metà
degli anni Sessanta da una forte domanda dal basso e da un fervore di
iniziative che coinvolse contemporaneamente associazioni
ambientaliste, regioni vecchie e nuove e dirigenza forestale. Questo
formidabile slancio diede finalmente vita alla creazione di molte
nuove riserve, pose le basi di quella che fu chiamata la “sfida del
10%”: passare cioè dall’1,5% del territorio protetto al 10%. Una
sfida che nel corso di meno di un quarto di secolo fu brillantemente
vinta, su due fronti: il superamento del fatidico 10% - oggi siamo
quasi al 13% - e l’approvazione nel 1991 di una legge quadro, la n.
394 sulle aree protette, tra le più avanzate e organiche d’Europa.
All’inizio degli anni
Novanta sembrava dunque che l’Italia avesse non soltanto recuperato
i decenni perduti rispetto alle nazioni più avanzate, ma ambisse a
diventare un punto di riferimento in Europa, in questa vera conquista
di civiltà che sono i parchi naturali. Invece, distanza di un quarto
di secolo le aree protette italiane sono come abbandonate a se stesse
e minacciate da proposte di legge di “revisione” della 394
(ancora inapplicata in alcune parti qualificanti) che ne
snaturerebbero fini e obiettivi.
Il quadro è fosco. Da
anni si assottigliano implacabilmente le risorse pubbliche a
disposizione. In diversi parchi, anche nazionali, è ormai difficile
anche far marciare gli automezzi di servizio. Il Ministero
dell’Ambiente, che dovrebbe fungere da propulsore e da garante di
tutto il sistema delle aree protette italiane, appare da anni
cronicamente assente. Salvo che per qualche nomina di carattere
sempre più politico, sempre più discutibile e discussa, e per
l’imposizione di un carico burocratico surreale e vessatorio.
Ma v’è di peggio. Per
motivi di bassa cucina politica l’attuale governo si appresta ad
avallare lo scempio che si è riusciti ad evitare per decenni, anche
grazie ad autorevoli interventi di presidenti della Repubblica, cioè
lo “spezzatino” di uno dei quattro parchi storici, quello dello
Stelvio. Un atto di vera barbarie istituzionale che ci additerebbe al
ludibrio dell’Europa e del mondo. E già viene richiesta
localmente, da tempo, un’altra divisione: quella del Parco
Nazionale del Gran Paradiso.
Per motivi non meno miopi
si propone di dissolvere quello che nel corso del tempo è diventato
un corpo di vigilanza ricco di preziose competenze in campo
ambientale, cioè il Corpo Forestale dello Stato: un altro colpo
mortale alla già indebolita protezione della natura in Italia e alla
vita dei Parchi.
Le nomine dei presidenti e
dei consiglieri dei Parchi Nazionali, qui e là viziate anche in
passato da logiche partitiche, stanno progressivamente diventando
puri e semplici tasselli di potere locale, senza quasi più nessi con
le caratteristiche e con le missioni specifiche degli enti da
amministrare.
Ancor più allarmante è
la proposta di “riforma” della legge quadro del 1991, riproposta
nelle aule parlamentari, persino con l’appoggio di qualche
sodalizio ambientalista. Una legge che tiene solidamente fermi alcuni
provvedimenti di assoluta gravità: la previsione di sfruttamento di
risorse ambientali nei parchi in cambio di royalties, la
inclusione negli organismi direttivi di portatori di interessi
economici - che va peraltro di pari passo con l’esclusione degli
scienziati - e quella di un controllo sempre più forte della figura
del direttore da parte della presidenza degli Enti, cioè da parte
della politica.
Mentre i parchi italiani
cercano di sopravvivere soffocati dall’inedia, dalla burocrazia e
da questo paradossale misto di indifferenza e di occhiuto controllo
da parte del potere politico - anche se non manca qualche eccezione
locale - e cercano di difendersi da tutti questi pesanti attacchi,
sui loro problemi e sulle loro prospettive è calato il silenzio da
gran parte della stampa e del mondo della cultura. In passato non era
così, e anzi i grandi successi ottenuti negli anni Settanta e
Ottanta hanno dovuto molto all’informazione e al dibattito
pubblico.
Dobbiamo chiederci e
chiedere - alle istituzioni, alla politica, all’opinione pubblica -
se pensiamo ancora che le aree protette abbiano un ruolo importante
nella crescita civile, culturale ed economica del nostro Paese oppure
no. E se la risposta è positiva dobbiamo reclamare ad alta voce -
scienziati, operatori forestali e della tutela, ambientalisti veri e
loro associazioni - che vengano fermate le iniziative che tendono a
depotenziarle e a stravolgerne fisionomia e compiti e che venga
consapevolmente ripreso lo spirito e il dinamismo che portò alla
vittoria del 10% e all’approvazione della legge quadro. Un
Ministero competente, che si interessi, che funzioni; delle Regioni
che tornino a discutere e a pianificare; un dialogo tra associazioni,
tecnici e amministratori dei parchi, istituzioni, mondo politico,
opinione pubblica e popolazioni locali che si faccia di nuovo
serrato, di alto livello e rivolto al futuro. Come avviene altrove in
Europa.
Per questo rivolgiamo un
forte appello anzitutto al presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, tutore dell’articolo 9 della Costituzione, che nel
discorso inaugurale del proprio mandato ha citato l’ambiente fra i
valori fondamentali da promuovere, affinché questa tragica
involuzione venga fermata invertendo una rotta che rischia di
compromettere le conquiste fondamentali realizzate in Italia nella
seconda metà del secolo scorso.
Analogo forte appello
rivolgiamo al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al ministro
dell’Ambiente, Gianluca Galletti e al ministro per i Beni, le
Attività Culturali e il Turismo, Dario Franceschini perché
intervengano positivamente in questa drammatica situazione di crisi
delle aree protette
Giorgio Nebbia,
ambientalista, professore emerito Università di Bari, Luigi
Piccioni, docente di Storia economica all’Università di Reggio
Calabria, Vittorio Emiliani, presidente Comitato per la Bellezza,
Alberto D’Orazio, presidente Comunità del Parco Naz. di Abruzzo,
Lazio e Molise, Fulco Pratesi, presidente onorario Wwf-Italia,
Desideria Pasolini dall’Onda, fondatrice di Italia Nostra, Vezio De
Lucia, urbanista, presidente Ass. R. Bianchi Bandinelli e molte
altre.
Vittorio Emiliani e Luigi Piccioni
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