lunedì 16 settembre 2024

Scegliere il necessario: briciole o braciole...?



Ogni affermazione, dunque ogni cosiddetta verità, per essere pronunciata nei pensieri, nelle parole e nelle azioni richiede un requisito esclusivo: fermare la realtà.

Con la realtà autoreferenzialmente fermata quell’affermazione ha ragione d’essere. Nel tempo, sappiamo di cambiare idea, di meravigliarci di quanto abbiamo fatto, di non volerlo ripetere, eppure contraddirci. Come frammenti di un nugolo di polvere vortichiamo tornando ad occupare posizioni che non avremmo più voluto assumere o che non avremmo sperato di occupare. Come fili di parole e di note che possono raccontare tutto e il suo contrario, provocare emozioni e giudizi opposti. Come Foucault, con il suo la verità è nel discorso (di chi lo afferma), aveva visto.

La realtà che fermiamo ha natura quantistica, in quanto ciò che ci pare osservare richiede la nostra presenza, la nostra osservazione. Così, il mondo si catalizza o decanta in funzione di come stiamo, di cosa abbisogniamo, dei valori che abbiamo, eccetera. In ogni istante realizziamo una certa relazione con il vorticoso divenire della polvere del mondo che, inconsapevolmente, fermiamo appena abbiamo selezionato il necessario tra gli infiniti elementi, scegliendo quelli utili al nostro discorso, quelli teoricamente disponibili e funzionali alla nostra biografia, così da permetterci di sostenere e identificarci con l’affermazione che stiamo esprimendo.

Scegliendo il nostro necessario riduciamo l’infinito volume multidimensionale, in quanto contiene già tutto, a una prospettiva bidimensionale, secolare, come una fotografia o un disegno, in cui gli elementi selezionati sono immobili e noi possiamo così darne ragione e sfruttarli per il nostro discorso.

Così fanno tutti. Nel nugolo, ognuno vortica legittimando se stesso con continui allineamenti dei pulviscoli che crediamo confermino il nostro dire. Per questo l’esperienza non è trasmissibile. Per questo nessun discorso razional-logicamente professato non è in grado di sottrarci dall’emozione da cui siamo avviluppati. Se qualcuno contesta la nostra selezione/affermazione/verità la reazione di difesa di essa è garantita. Non siamo tendenzialmente educati alla scuola implicitamente presente in ogni critica e contestazione. Tale reazione alla realtà imposta dall’altro scaturisce dall’emozione che essa ci provoca e domina. Tuttavia, ogni emozione – come da etimologia – ci muove in una certa direzione. Siamo costantemente l’espressione di un’emozione. Ed è lei il deus ex machina che estrae dall’infinito il necessario per imporci cosa dire e cosa fare.

È per l’inconsapevolezza dell’identificazione con qualcuna delle prospettive prescelte che possiamo sopraffare l’altro, praticare l’arroganza, ma anche, contemporaneamente, dichiarare la nostra distanza dal vero e dal profondo. Gli scientisti, quella masnada genuflessa ai dogmi della scienza quale sola via alla verità, ne sono un campione cristallino. Ma gli ideologicizzati e i moralisti non ne sono da meno, così come tutti gli identificati con il proprio io, i razionalisti, i materialisti, i positivisti.

Come detto, le cose si muovono, dunque contraddirsi è una sconvenienza moralistica, ma anche una dimostrazione della presenza dei campi quantistici-emozionali che salgono all’essere, cangiano secondo esigenza, reificando la realtà che crediamo di avere al cospetto.

Ogni eureka che nel corso del tempo esprime il momento della soddisfazione, della comprensione illuminante, ci impone di affermare la verità che abbiamo finalmente scoperto. La storia della filosofia e pure dell’ortolano ne sono campioni scelti all’uopo. Credere che la logica aristotelica abbia più ragione d’essere condivisa rispetto all’alogica di Korzybski è soltanto essere dentro la corrispondente capsula emozionale.

Spesso ci adoperiamo per comunicare ciò che abbiamo visto. Intento destinato al fallimento: l’altro, non necessariamente è in quel momento si trova entro un ovulo emozione come il nostro, e se lo è stato in passato, quello in cui si trovano può non bastare per impedire la solidarietà, l’empatia, la comunione e la complicità. Salvo che non si tratti di argomenti tecnici, di campi chiusi, di giochi regolamentati, di momenti amministrativi della vita, e tra interlocutori di pari competenza, la comunicazione passa su ponti emozionali, non razionali. La fallacia della comunicazione tende a rinforzarsi in modo direttamente proporzionale alla nostra razionalistica e dogmatica fiducia nell’idea che la comunicazione sia una questione logico-razionale.

Roteando nel pulviscolo del mondo senza averne consapevolezza, seguitiamo ad attenerci al sistema tridimensionale-materialistico. Crediamo cioè di avere a che fare con una realtà esterna a noi e oggettiva. La magica dimensione emozionale-quantica ci sfugge e così il mondo che via via creiamo. Eccellenti premesse per impedire la sottile evoluzione degli uomini, per restare pesanti macigni.


Lorenzo Merlo





sabato 14 settembre 2024

Azione non violenta ed obiezione alla guerra...

 


La Campagna di Obiezione alla guerra presenta un nuovo strumento operativo:  un poster diffuso a livello nazionale con il simbolo del fucile spezzato e la scritta “Con la nonviolenza: per cessare il fuoco bisogna non sparare, per fermare la guerra bisogna non farla”.

Il volantone, inviato a tutti gli iscritti e ai Centri del Movimento Nonviolento, agli abbonati alla rivista Azione nonviolenta e a tutti coloro che ne faranno richiesta, rilancia la Dichiarazione di obiezione di coscienza rivolta a chi rifiuta la chiamata alle armi e contiene tutte le informazioni su quanto realizzato finora a sostegno degli obiettori di coscienza di Russia, Ucraina, Bielorussia, Israele e Palestina, e i prossimi obiettivi che la Campagna vuole raggiungere.

Sono ormai centinaia di migliaia gli obiettori, disertori, renitenti alla leva che nei luoghi di guerra, rifiutano le armi e la divisa, negandosi al reclutamento militare, ripudiando il proprio esercito senza passare a quello avverso. Alcuni affrontano processo e carcere, altri espatriano, altri ancora scappano o si nascondono. Il Movimento Nonviolento ha scelto di stare dalla loro parte, di sostenerli concretamente, di difendere il loro diritto umano alla vita e alla pace, e di chiedere all’Unione Europea e al Governo italiano di riconoscere, per loro e per chi firma la Dichiarazione, lo “status” di obiettori di coscienza.


La Campagna si sviluppa su due direttrici:

- la raccolta fondi per sostenere nelle loro attività i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia, Ucraina, Israele e Palestina, le spese legali per i processi che obiettori e nonviolenti di quei paesi subiscono, per aiutare chi espatria per non farsi arruolare, per gli strumenti di informazione necessari a diffondere la scelta dell’obiezione;

- la diffusione della Dichiarazione di Obiezione di coscienza alla guerra e alla sua preparazione, il rifiuto della chiamata alle armi e fin da ora della futura mobilitazione militare. La procedura è semplice: si compila e si sottoscrive la Dichiarazione (per tutti, giovani o adulti, donne e uomini ) rivolta ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio.

Sul sito del Movimento Nonviolento azionenonviolenta.it alla voce Obiezione alla guerra si trovano tutti gli aggiornamenti e la possibilità di adesione e contribuzione.

Movimento Nonviolento




venerdì 13 settembre 2024

Il “riciclaggio della memoria” di Caterina Regazzi

 


Ho conosciuto Paolo D’Arpini nell’agosto del 2009, a Calcata. Sono andata appositamente là dalla provincia di Modena, dove attualmente risiedo, per incontrarlo, in quanto, leggendo i suoi scritti, i suoi pensieri, le sue idee su internet, me ne ero innamorata, perché davano un nome ed una forma a idee e sensazioni che nel mio intimo sentivo da sempre.

Fin da bambina (come tutti i bambini) sono sempre stata amante della Natura, delle piante e degli animali, ma anche della Natura inanimata, ed ero anche una bambina un po’ timida e introversa. A volte ricordo che mi piaceva, per raccogliermi in me stessa, trovare rifugio in qualche chiesa. Mi capitò anche a Treia, al Duomo, dove incontrai Don Vittorio, che affettuoso come sempre, si fermò a parlare con me, ma non di Dio.

Leggere quegli scritti di Paolo fu un po’ come vedere una luce che illuminava queste mie sensazioni, me le rendeva più chiare, evidenti e plausibili, anche perché condivise.

E così è cominciato, senza nessuna premeditazione e senza nessuna intenzione, il nostro rapporto in cui, quotidianamente, spontaneamente, mettiamo in pratica, secondo quelli che sono i nostri modi espressivi e le nostre propensioni, il bioregionalismo, l’ecologia profonda e la spiritualità laica.

Paolo era una vita che li metteva in pratica, io in maniera più discontinua, istintiva, ma tenendoli in vista.

Il bioregionalismo sentendoci a casa nel luogo in cui siamo, qualsiasi esso sia, sia quando siamo insieme che quando siamo separati, cercando di vivere in armonia con l’ambiente che ci accoglie e con gli altri esseri viventi, umani compresi.

Cerchiamo di rispettare la Natura cominciando dal consumo delle risorse, evitando gli sprechi inutili, fino alla produzione della minor quantità possibile di rifiuti.

I rapporti con gli altri esseri umani non sempre sono facili, viviamo in un periodo di crisi economica e soprattutto di valori, ma sogniamo e auspichiamo una sempre maggiore condivisione e una convivialità che oggi pian piano sta tornando di moda.

L’ecologia profonda: ci sentiamo parte di un Tutto e crediamo che, dato che viviamo tutti sulla stessa Terra, respiriamo la stessa Aria, siamo fatti della stessa Acqua, ogni trasformazione, nel bene e nel male, tutti ci riguarda e ci coinvolge. Questa consapevolezza ci porta a vedere che dietro o dopo ogni nostra azione ci sono conseguenze di cui siamo responsabili. Ma non sempre si può agire come la coscienza ci direbbe, viviamo in questo mondo ed in qualche modo dobbiamo adeguarci, facendo il possibile.

La spiritualità laica: sentiamo che non siamo solo un corpo ed una mente, ma c’è qualcos’altro, e questo lo chiamiamo il Sé, o Spirito, una base che ci unisce agli altri esseri ed è quello che rimane attivo, in forma di pura Coscienza, quando riusciamo a vuotare la mente da tutti i grovigli di pensieri che abitualmente ce la ingombrano.

Indipendentemente dalla religione seguita o anche non avendo alcun credo da seguire, abbiamo tutti una voce interna, che dobbiamo imparare ad ascoltare e a lasciar fiorire.

Tutto questo e molto altro, e con parole più belle, è descritto, per quel che si può, nel libro “Riciclaggio della Memoria”.

Caterina Regazzi




Copie del libro sono disponibili presso il curatore editoriale Michele Meomartino - Info: 
meomartinomichele@gmail.com

giovedì 12 settembre 2024

La crescita spirituale come gioco...



“Maestro è colui che ti porta ad essere il tuo stesso Maestro!” (Saul Arpino)

Diceva Ramana Maharshi:”Conosci la tua mente, per non farti imbrogliare dalla mente”  Vedi quante immagini appaiono in un sogno, quanti personaggi che si cercano e si sfuggono, che si amano e si odiano? Ma il sognatore è uno solo….
Per risvegliarti a te stesso da qualsiasi  identità tu ti riconosca nel sogno, accetta quella, fermati a quella e da lì osserva e scopri l’osservatore. Non aspettare illudendoti che potrai svegliarti se stai sognando di essere qualcun altro, un personaggio più preparato o più simpatico… Qualsiasi sia il personaggio del sogno nel quale ti ritrovi, accettalo.
Osho diceva: “Accettarsi per quel che siamo è la base per il risveglio spirituale”. Infatti accettarsi non significa rinunciare alla propria crescita, anzi vuol dire che accettiamo di crescere partendo da ciò che siamo. In questo modo la crescita non sarà una scelta bensì un moto spontaneo. E’ la fioritura dell’intrinseca perfezione che trova una forma espressiva, senza sforzo, senza rabbia o frustrazione, senza sacrificio, senza uso della memoria,senza espiazione, senza speranza…
Puoi dirmi allora dove si pone, a cosa serve, quella sofferenza,  quell’autocontrollo, che sin’ora ha accompagnato la tua ricerca? Dov’è l’utilità proiettiva dell’io che cerca se stesso? Quanti sono gli “io” in te? Dov’è quell’uno che cerca e l’altro che è cercato? Dove sono le vite trascorse arrancando verso la perfezione e dove sono quelle vite future per completarla? Cosa significa “io sono giovane, io sono vecchio, io sono maschio, io sono femmina”? Non sei tu presente qui ed ora, pura coscienza, aldilà di ogni distinzione esteriore? E sempre lo sarai!
Ascolta, tu sei sempre, assolutamente, e chiunque nel tuo sogno dica qualcosa di sensato, sei tu a dirlo. Riconosci quel messaggio come tuo, guarda la luna e lascia stare il dito, scopri l’essenza e non lasciarti ingannare dal riflesso...
Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica


P.S.  Secondo Ramana Maharshi, tutto ciò che noi viviamo è stabilito dal momento della nascita, la nostra libertà sta nel sentirci coinvolti, reagendo con desideri o repulsioni nei confronti del vissuto. Desideri e repulsioni producono forme pensiero che vengono successivamente proiettate in altre "incarnazioni" (non intendendo incarnazioni dello stesso ente). Queste forme pensiero insomma producono nuovi nomi e nuove forme che cercano un completamento. E' un meccanismo spontaneo dell'evolversi della coscienza nello spazio tempo. Comunque -sempre menzionando Ramana Maharshi" dal punto di vista del Sé (Coscienza impersonale assoluta) non esiste progresso o regresso ma dal punto di vista della mente l'evoluzione è continua. Ed inoltre, se assumiamo un atteggiamento distaccato non significa che le nostre predisposizioni non possano interagire con le situazioni. Il distacco consente una migliore prestazione. Ma anche questo atteggiamento è in qualche modo "determinato" dal processo evolutivo in corso..." (P.D'A.)

mercoledì 11 settembre 2024

Glifosate, la grande Vergogna... - Lettera aperta ai Georgofili

 

Lettera aperta ai Georgofili

Credo che non sia il caso, da parte di un'accademia così importante, di pubblicare articoli promozionali verso il glifosate, distruttore endocrino cancerogeno,giudicato tale dai Giudici della California e non solo,  con risarcimenti milionari ai parenti delle vittime, quando oggi abbiamo macchine ed attrezzature di precisione che lavorano meglio senza danneggiare ambiente e salute umana, oltretutto sovvenzionate dalle politiche europee...

Continuare con la Clava della chimica è semplicemente anacronistico, oltre che letale… rammento inoltre che distruggendo l'humus dei terreni per mancate coperture e uso di disseccanti e diserbanti abbiamo compromesso la ritenzione idrica e la fertilità per milioni di ettari… con conseguenti alluvioni disastrose, che hanno devastato anche i sistemi assicurativi in agricoltura, oltre che il paesaggio, l'ambiente e la salute… con miliardi di danni e morti…

Vedasi alluvione di senigallia con tutta la valle del misa irrorata con glifosate prima delle semine…
una grande Vergogna.

Prof. Giuseppe Altieri, Agroecologo - Premio internazionale Padre Pio 2016



Link dell'articolo pubblicato dall'Accademia dei Georgofili:

Lasciamo riposare la terra...


Da "Salviamo il Paesaggio"

Nelle Facoltà di Ingegneria (ma non solo) la parola “terra” è stata sempre sinonimo di suolo: suolo da edificare, suolo dove lavorare, suolo da dove estrarre risorse illimitatamente (fossili, in primis), comunque suolo da sfruttare. Questa visione ideologica (che nasce con la rivoluzione scientifica: la separazione tra mente e natura) e produttivistica (capitalismo sempre più feroce ed estrattivo) ha prodotto, e continua a produrre, enormi danni al pianeta, desertificandolo, riducendo la sua biodiversità, immiserendolo.

La mitologia sottesa dagli studi di ingegneria si basa sull’abbattimento di ogni limite o barriera (il ponte più lungo, la macchina più veloce, la produzione più accelerata) e costituisce l’alleata più efficiente della crescita illimitata (alla base del mito di Odisseo che travalica le colonne d’Ercole, i limiti del divino).

È stato detto che su tutto questo domina la cultura del silenzio, una cultura che tace su tutto ciò che dovrebbe essere invece ascoltato, dibattuto, confrontato: il silenzio dei poveri, dei dannati della terra, degli sfruttati e, ora, dei tanti morti per guerre combattute per fame di terra, acqua, di risorse che questa sapientemente dispone per la nostra sopravvivenza, di una dignità ferita per sempre.

«Chi grida nella notte delle macerie?/ Non credevamo sarebbe tornata/ La razionalità ci avrebbe difeso/ Giocare a Dio non è stato un buon affare/ La hybris ci ha devastato/ Branchi di semidei vagano rabbiosi/ Noi che venimmo da un passato animale/ Dal cuore di tenebra/ Sognammo un incubo/ Il ritorno all’animale».

È tempo di cambiare paradigma e parole ormai usurate: terra significa “madre-terra” o ancora Gaia, Biosfera, ecosistema planetario, luogo che ci ospita, che produce la vita e quanto abbiamo bisogno. Definita con un neologismo la terra è Matria, luogo fisico e metaforico di accoglienza contrapposta a “Patria” parola inservibile, irrecuperabile. «Patria è ancora la nazione maschia (o meglio – in un rovesciamento semantico – la nazione femmina la cui inviolabilità è garantita dai maschi), è il precipitato della peggiore retorica bellicista ed escludente, respingente e classista».

Pensarsi in termini di Matria, dice Michela Murgia, consente di sradicare la prospettiva di Nazione, poiché significa madre di tutti che nell’esperienza di ognuno di noi non è un soggetto imperativo, ma è la prima cosa vivente scorta, la prima amata, quella sempre desiderata. 

Gli uomini sono al 100% cultura e al 100% natura, sostiene Edgar Morin. Impossibile separare; la mente non è più nobile del corpo come pensava Descartes, entrambi prodotti di un’evoluzione biologica che ci lega alla terra, non siamo abitanti occasionali, apparteniamo ad essa come gli animali e le piante. Siamo parte di un ecosistema planetario mosso e alimentato dall’energia solare.

Il vento, le maree, la pioggia e tutti gli eventi atmosferici nascono da questa energia che poco riusciamo ad usare, diversamente dalla natura che ne è animata e da cui ricava la sua bellezza e abbondanza. Nel 1957 un oggetto fabbricato dall’uomo fu lanciato nell’universo e per qualche settimana girò intorno alla terra seguendo le stesse leggi di gravità che determinano il movimento dei corpi celesti. Ma, afferma Hannah Arendt, per un fenomeno piuttosto curioso la gioia non fu il sentimento dominante, quanto piuttosto di sollievo per «il primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione terrestre». Nel commentare questa manifestazione Arendt sostenne che la terra è la quintessenza della condizione umana e la natura terrestre, per quanto ne sappiamo, è l’unica nell’universo che possa provvedere gli esseri umani di un habitat in cui muoversi e respirare senza sforzo e senza artificio. Dunque, tale sentimento “di liberazione” esprime lo sforzo di rendere artificiale anche la vita, di recidere l’ultimo legame per cui l’uomo rientra ancora tra i figli della natura.

Il nuovo paradigma mette al centro una nuova cultura all’altezza dei tempi, una cultura che richiede un profondo ripensamento del rapporto che lega gli esseri umani al resto della vita sulla terra, una cultura che permetta l’uscita dall’antropocene, una cultura che richiede una radicalità ancor più forte di quella all’origine delle pratiche e delle lotte che hanno caratterizzato il secolo passato cui molti sono ancora ancorati.

La crisi climatica e con essa, le disuguaglianze, le migrazioni, tenderanno ad aggravarsi: ce lo confermano le comunità di scienziati che al tempo stesso ci avvertono che siamo in prossimità di un punto di non ritorno. Combattere la crisi climatica richiede non solo opere di mitigazione, ma anche un atteggiamento di adattamento che coinvolge le relazioni tra persone, soprattutto quelle più fragili, quelle povere, quelle sfruttate, più oppresse. 

La transizione ecologica, meglio sarebbe chiamarla conversione ecologica, come sostiene Viale, dovrà essere una transizione che muove soprattutto dal basso, dove le esperienze più virtuose oggi già in atto potranno essere replicate da altre comunità.

La nuova prospettiva è quella che vede il superamento tra cultura e natura, tra spirito e materia, tra mente e corpo e che mette in discussione la crescita illimitata e lo sviluppo. La crescita altro non è che accumulazione di capitale e richiede lo sfruttamento della terra e degli esseri umani. Lo sviluppo è il suo volto presentabile sotto forma di “sostenibile”, “umano”, “ecologico”. Questo slittamento semantico conduce verso pratiche devastanti, quali il nucleare (considerato dalla comunità europea “sostenibile”), la produzione di CO2 e il suo seppellimento (per continuare a produrre senza cambiare nulla), lo sfruttamento di interi paesi e dei fondali marini, alla ricerca dei minerali rari per la costruzione di batterie per le auto elettriche. Ma i governi mondiali pubblicizzano tali rimedi come necessari per la transizione, nessuno di essi dice che bisognerebbe consumare di meno, spostarsi di menoMangiare una torta e poi ri-averla tale e quale come sostiene la definizione di sostenibilità è un obiettivo fisicamente irraggiungibile come già ci spiegava Georgescu-Roegen sulla base del secondo principio della termodinamica. 

Già Giorgio Nebbia nel 1999 proponeva di abolire la parola sostenibilità e tutti i suoi aggettiviLa sostenibilità è il trucco che i governi usano per far credere che sia possibile continuare nella stessa direzione con qualche rattoppo. Gregory Bateson, con riferimento alla sua conoscenza della Bibbia, ci ha insegnato che il dio ecologico non può essere beffato e che in ecologia non esistono scorciatoie. La conversione ecologica indica invece una conversione a U nella direzione dello sviluppo e significa in primo luogo avere cura della terra e del suo vivente.

La nuova prospettiva richiede la rinuncia alla centralità dell’uomo nell’universo, la rinuncia al patriarcato, all’imperialismo e a tutti i gretti nazionalismi, alle guerre, tutte. Ed è quella basata su comunità accoglienti e sulla valorizzazione del lavoro di cura, attività legate alla produzione e riproduzione della vita, comprese quelle sociali che tengono unite le comunità e ne rafforzano i legami.

Il vero “sviluppo sostenibile”, quello ostacolato dai poteri forti, è quello legato al miglioramento delle condizioni di vita di una generazione, dell’abolizione di ogni tipo di sfruttamento degli esseri umani e degli ecosistemi di supporto alla vita, quello legato all’accoglienza di chi fugge da guerre o desertificazioni, dall’abolizione degli armamenti in ogni paese e, dunque, da una ritrovata armonia con la terra.

Nella storia non c’è mai continuità; quando poteri pur forti che siano si affermano è altrettanto probabile che essi cadano velocemente a seguito di rivolte. Comunità virtuose, stili di vita diversi, pur restando silenti per anni, possono irrompere sulla scena dando luogo a capovolgimenti inediti e imprevisti, come fiumi carsici che riaffiorano prepotentemente dopo lunghi tratti attraversati nel sottosuolo, silenti.

È già accaduto. Non avverrà spontaneamente; ogni cambiamento determina lutti e gioie; è probabile che avvenga al seguito di rivolte non pacifiche, di certo non con la rassegnazione al consumismo e al pensiero unico, almeno fino a quando non ci sarà più nulla da consumare su questa terra.

C’è chi tra di noi crede che l’unico conflitto sia quello tra gli uomini per il possesso del potere o per il mantenimento del predominio. Credo che l’epoca attuale abbia fatto emergere che questo stesso conflitto vede ora quegli stessi uomini contro la madre-terra dispensatrice di beni. Non ci sono due conflitti separati: il predominio degli uomini sui propri simili comprende quello più vasto del predominio sulla natura. 

L’armonia con la natura ha bisogno di pace, è pace. Come Università, come studiosi, cultori e depositari del pensiero critico disinteressato, abbiamo il dovere di contribuire a erigere queste casematte di resistenza negli atenei e nei territori; sentinelle silenti che torneranno utili nel momento in cui l’umanità, si spera, ritroverà la sua Ragione.

Enzo Scandurra * - Articolo ripreso da Comune-info-net 


* Urbanista, saggista e scrittore. Ha insegnato per oltre quarant’anni “Sviluppo sostenibile per l’ambiente e il territorio”. Collabora con numerose riviste scientifiche. Ha scritto molti saggi sulle trasformazioni delle città. Tra i suoi libri: Un paese ci vuole (2007), Ricominciamo dalle periferie (2009), Vite periferiche (2012), Fuori squadra (2017), Splendori e miserie dell’urbanistica (con I. Agostini, 2018).

Nota: il titolo riprende quello di un libro di Giovanni Franzoni "Farete riposare la terra" del 1999.



lunedì 9 settembre 2024

"Musica urbana. Il problema dell'inquinamento musicale" di Carla Cuomo - Recensione

 


La società odierna sta sperimentando un fenomeno inedito e pervasivo: la diffusa presenza della musica nell'ambiente urbano, in luoghi pubblici, bar, ristoranti, ipermercati, mezzi di trasporto, piazze, parchi, locali d'intrattenimento al chiuso e all'aperto, dappertutto. Di pari passo, assistiamo a un radicale cambiamento dei modi di produzione, riproduzione e fruizione sonora. 

Questo mutamento trasforma il concetto stesso della musica, che nella realtà urbana è ormai un distillato di tante sonorità diverse, costruite in funzione di un consumo, alla stregua di altri prodotti commerciali, l'invadenza di queste sonorità nei più diversi contesti si configura come vero e proprio inquinamento acustico da musica. 

Ma contro l'aggressione sonora l'individuo è inerme: le orecchie non hanno le palpebre. Il fenomeno presenta aspetti quantitativi e aspetti qualitativi. L'aspetto quantitativo riguarda l'abbondanza di musica diffusa negli spazi urbani, e il culto dell'amplificazione che ad essa si accompagna. L'aspetto qualitativo incide sulle abitudini d'ascolto dell'uomo, e le altera. Soprattutto, l'invadenza della musica diffusa nell'ambiente vanifica il silenzio, momento del riposo, della riflessione, diritto soggettivo inalienabile, ma anche habitat propizio alla buona musica, all'ascolto attento. 

Immagine correlata

Il volume affronta numerosi temi. Il lettore vedrà trattata l'anatomia, la fisiologia e la patologia dell'apparato uditivo; conoscerà le implicazioni giuridiche dell'inquinamento musicale, le nuove frontiere che l'ingegneria e la fisica ci additano per la difesa dal rumore, incontrerà il punto di vista del sociologo, dello psicologo, dell'economista; rifletterà sulle problematiche del "paesaggio sonoro". Attraverso il contributo del pedagogista comprenderà che la difesa dal rumore, e specificamente dall'inquinamento musicale, va affidata a un'educazione musicale che sia vera educazione all'ascolto consapevole, critico e selettivo, più rispettoso dell'essere umano, della convivenza civile, della musica stessa.

Carla Cuomo *
Risultati immagini per * Carla Cuomo

* Carla Cuomo, laureata in Discipline dell'Arte della Musica e dello Spettacolo nell'Università di Bologna con una tesi su "Fedele D'Amico critico e storico". Si è addottorata nello stesso Ateneo in Musicologia e Beni Musicali con una tesi su "Massimo Mila, la musica come pensiero". Si è interessata di problemi dell'ecologia acustica e del rapporto tra uomo e ambiente sonoro. Nell'Ateneo bolognese ha coordinato su questo tema un seminario quadriennale interfacoltà. Si occupa di pedagogia musicale. È pianista e svolge attività concertistica.

"Musica Urbana"  a cura di Carla Cuomo con una prefazione di Giuseppina La Face Bianconi, Bologna, CLUEB 2004, pp. xvi, 296.




Integrazione di  Anna Maria Campogrande:    "Il problema dell’inquinamento musicale è, a mio parere, soprattutto qualitativo, la musica che ci propinano ogni giorno, ovunque, non è musica è rumore, è un’acccozzaglia di suoni, spesso troppo alti e stridenti, che non ha più niente a vedere con la musica. Questa espressione, cosiddetta musicale, dovrebbe essere proscritta e vietata nei luoghi pubblici perché dannosa per l’equilibrio e per la salute. Se si trattasse di pezzi musicali di Vivaldi, di Verdi, di Puccini, di Mozart di Bach o di qualsiasi pezzo di musica classica, personalmente, non avrei niente da ridire, non mi disturba mai, in nessun caso. E’, invece, del tutto inaccettabile oltre che profondamente diseducativo, in particolare per i giovani, che noi, Italiani e Europei, che abbiamo composto la musica più bella che esiste al mondo, dobbiamo consentire di essere aggrediti quotidianamente da rumorate scomposte e disarmoniche che si spacciano per musica."


Mia integrazione: "Per contrastare la tecnica di subduzione psichica derivante dai rumori molesti abbiamo creato un gruppo FB: https://www.facebook.com/groups/266462213379875/?fref=gs&hc_location=group -

Ritengo infatti che l'inquinamento acustico sia uno dei peggiori elementi di distrazione di massa e di incupimento delle vibrazioni psichiche. Il danno viene soprattutto da musicacce elettroniche a cielo aperto e ad altissimo volume, per stralunare gli ascoltatori e spingerli allo sballo ed al consumo di alcol e sostanze. Poi c'è l'assuefazione distrattiva delle musichette di sottofondo, nei supermercati e nei locali pubblici, per distrarre la gente, spingerla al consumo ed impedire il dialogo interpersonale. Invitiamo perciò le persone di buon senso a partecipare al dibattito!"

P.S. Il gruppo parla di "luoghi pubblici" poiché ovviamente non si può proibire ai privati di frastornarsi con i loro rumori preferiti... ma c'è da considerare sempre la "fuoriuscita", soprattutto dove i decibel sono fuori controllo... vedi ad esempio nei locali dance... che dovrebbero essere tutti opportunamente insonorizzati. Ognuno è libero di inquinarsi il cervello come meglio crede ma non deve imporre i danni del suo vizio agli altri. A questo proposito consiglio la rilettura di un mio articolo:   http://paolodarpini.blogspot.it/2014/02/linquinamento-acustico-e-musicale-mette.html

Il bisogno e la convenienza...

 


Considerazioni su chi comanda il mondo.

In un blog leggo: “Ce n’era un gran bisogno”. Era il commento di un noto economista italiano in merito a ciò che aveva scritto un’altra persona, da lui definita “antisistema”.

Si tratta della medesima persona, dottore, professore e chissà quant’altro, alla quale a suo tempo avevo chiesto se, a suo parere, il capitalismo era la miglior forma economica disponibile. Senza incertezza, né timore, aveva risposto affermativamente. E tutte le sue manchevolezze? Avevo ribattuto. Non c’è problema, per quelle, occorrono gli aggiustamenti necessari, aveva concluso.

Dall’origine del capitalismo, la ricchezza si è accentrata nelle tasche di pochi, le spese a suo sostegno si sono distribuite tra i più. A parte la prima fase, ancora – per modo di dire – a sfondo famigliare e, in qualche misura, leale, in cui il profitto non prevaricava la dimensione umana (tralasciamo sulle giornate di 12 e più ore di lavoro e le condizioni generali della classe operaia. Non eravamo già nel miglior sistema sociale possibile?), il sistema capitalistico, non ha che degradato il mondo, la cultura umanistica, il senso spirituale e quello etico. Non ha distribuito che scorie e alienazioni, nonché legittimato la violenza. L’assenza di un’etica a che altro porta? Non ha che depredato la terra e gli uomini.

In questa fase contemporanea, detta del capitalismo finanziario, ha lasciato alla concreta produzione e relativa – risicata – distribuzione della ricchezza soltanto la facciata, almeno per chi crede nelle favole. Denaro, lavoro e uomini sono mutati in personaggi di un racconto che i media, estensioni funzionali, strutturali e sostanziali del sistema capitalistico, spacciano agli ingenui che credono di vivere in una democrazia, che credono che il loro voto abbia un peso. Quale democrazia è possibile se la prima legge è quella del mercato? Se chi l’ha imposta e alimentata ora deve difendere la ricchezza accumulata? E per farlo distribuisce guerre come autolegittimato strumento per mantenere la pace? O ho capito male, egregio professore?

I potentati del capitalismo hanno talmente tanto denaro da poter possedere tutto. Si sono comprati la politica, se volessero – e di fatto lo stanno facendo – si potrebbero comprare interi stati, potrebbero avere il loro esercito e, nel caso, lo avranno, quando non riusciranno più ad impiegare quello apparentemente di altri. Che pecette possiamo porre a tutto ciò egregio dottore?

Ora che Russia, Cina, India, Pakistan, eccetera, da terzo mondo, sono divenuti concorrenti dai quali guardarsi, il capitalismo occidentale, dai costi esorbitanti rispetto a quello dei dirimpettai d’oriente, ha inscenato – sempre per il bene comune – il Great Reset. Un progetto imposto dagli esponenti intoccabili di una piccola parte della popolazione del mondo, che ha come fine primo proprio quello della riduzione dei costi di autosostentamento del capitalismo, al fine di far fronte a quello dell’est, di mantenere l’egemonia o il controllo del mondo, o di non sopperire. A tal fine si rende necessario evitare di spendere sui servizi sociali (privatizzazioni), di ridurre il costo delle pensioni (abbandono degli anziani e innalzamento dell’età pensionabile), quello del lavoro (precariato e immigrazione disposta a tutto pur di restare nel – secondo loro – paese del bengodi), e quello della censura ormai a scena aperta, della salarizzazione dei giornalisti, della realizzazione del mondo orwelliano a suon di spot h24 per vendere un mondo al rovescio. E, per ora, ci sono riusciti. Risparmi necessari ad implementare tutta la tecnologia (dipendenza e controllo), le forze armate (meno scuole, ospedali, servizi, manutenzione infrastrutture sociali), riduzione e controllo della popolazione mondiale, la cui quantità tende ad essere ingestibile, se non con la semina di paure, bisogni, vita a punti, obbedienze e zelanti devozioni; la cui complessità tende a generare autocombustioni (leggi mancanze di rispetto nei confronti del sistema) improvvise.

Suicidi, omicidi, rivolte, stragi, violenza, malessere esistenziale, nichilismo sono il prodotto del “miglior sistema del mondo”. Quello che, per chi non se ne è ancora accorto, va avanti sull’inerzia ben pasturata del consumismo di futilità e sulla fertile terra delle guerre, prima campi di battaglia, cioè rivendite di armi, poi campi di cemento, cioè ricostruzione, quindi campi di controllo ed espansione a est.

Fortunatamente, sempre nello stesso blog, ma da parte di una persona di tutt’altra stirpe rispetto al nostro noto economista progressista, si legge: “Negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta molto spesso bastava una sola persona per mantenere una famiglia. Ora ne servono quasi sempre due, sottopagate”. Per tacere sul fallimento dell’Unione Europea, nient’altro che il figlio dannato di genitori materialisti, scientisti, capitalisti.

Esimio dottore, al contrario di quanto affermi, è proprio di te e di quelli come te che non se ne sentiva il bisogno. Quelli che siccome hanno in casa il frigorifero, la lavatrice, l’utilitaria per tutti e l’ospedale con la risonanza magnetica, inconsapevoli adulatori della tua stessa fede e ideologia, ti rispondono vai i Cina allora. O in Russia, adesso. Grazie a questi, la curva umanistica della vita, non ha fatto che scendere. Molto si poteva fare ma l’opulenza e l’edonismo, due carte del mazzo capitalista, hanno imbambolato il senso comune e l’individualismo, un’altra sua carta, l’ha annientato.

Ora stiamo precipitando tutti, anche quelli abbracciati al televisore, alla villetta e alla poltrona. E anche loro, progressisti in testa, e i loro sodali in cima alla piramide. Molti di questi ultimi cadranno in piedi. E con bel sorriso imbonitore e modi gentili, dopo aver abbruttito e svenduto valli, coste e pianure, venderanno tutto ciò che resta loro ai musi gialli – business is business – in cambio di qualche cammello battriano sul quale saranno comunque ancora in sella, galoppini del nuovo padrone. Ce n’era un gran bisogno.

Lorenzo Merlo




domenica 8 settembre 2024

Dall'ecologia profonda nasce un modello di società spirituale e naturale...

 

Risultati immagini per ecologia profonda nasce un modello di società spirituale
Uno sguardo dal ponte

Strettamente parlando, da un punto di vista delle finalità, la spiritualità laica e l’ecologia profonda affondano il loro esistere nella coscienza. L’uomo si è interrogato sulle forze della natura e sulla vita e questo interrogarsi ha prodotto la spiritualità, l’ecologia profonda è un approfondimento in senso materiale di questa ricerca. Entrambi gli approcci partono dall’esistente, dal modo di percepire noi stessi e la realtà che ci circonda, il primo è un approccio in senso metafisico mentre il secondo prende in esame il fisico ma non v’è differenza fra i due aspetti se non nel modo descrittivo.

Nell’ecologia profonda come nella spiritualità naturale si sottintende un ’quid’ che impregna le trame della vita. Tale ’quid’ è stato descritto come sorgente di tutte le cose, indipendentemente dal chiamarlo ’spirito’ o ’forza vitale’. 

Dall’interrogarsi iniziale siamo giunti a tutte le filosofie gnostiche, alle religioni d’oriente come pure alle grandi religioni monoteiste in cui, sia pur con angolazioni differenti, si inneggia al grande mistero della vita, questa è anche l’esigenza dell’ecologia che sempre tiene in conto il delicato equilibrio dell’insieme delle manifestazioni vitali. Spesso mi son trovato a descrivere l’esigenza di estrinsecazione spirituale dell’uomo come la nascita della prima virtualizzazione. Attraverso il pensiero e la speculazione intellettuale è infatti sorta la virtualità, l’immaginare, il presupporre vero sulla base di un pensiero (di un credere) e questa proiezione, una ’vis’ umana specifica, è forse presente anche nel resto dei viventi, chissà? 

Ad esempio nelle teorie del karma si descrive la vita individuale degli esseri come un percorso evolutivo che parte da una scintilla dell’intelligenza che poi si differenzia in miriadi di forme, a volte contrapposte, che son però strettamente collegate l’una a l’altra ed in continua ascesa verso la stessa finalità. Una unità questa che non è mai venuta meno anche durante il cosiddetto “percorso karmico” ma per via dell’illusione, ovvero la virtualità del pensiero, appare disgiunta ed imperfetta (e quindi perfettibile?). L’ecologia profonda, dal punto di vista materiale, è un aiuto a capire che non c’è nel contesto generale della vita un dietro od un avanti che non sia strettamente consequenziale, che non compartecipi della stessa sostanza di base e che perciò è impossibile scindere, pena l’estinzione stessa della vita.

Ed ora una domanda: come faremmo a vivere su questa Terra se tutti decidessimo di ritirarci in eremitaggio, di ritornare alla terra come si dice in gergo, senza immediatamente sconvolgere, distruggere definitivamente, il già precario equilibrio di questo pianeta? La Terra ospita ormai diversi miliardi di persone, perlopiù riunite in aree urbane, è pur vero che parecchie specie animali sono in netta diminuzione ma per contro molte di quelle addomesticate dall’uomo (essenzialmente per scopi voluttuari o di carenza affettiva) superano in numero gli umani stessi e come gli umani che vivono nelle città anch’essi son concentrati in grandi allevamenti. 

Se ognuno di noi dovesse andare a vivere in campagna, immaginando una società egualitaria, avremmo forse a disposizione non più di duecento metri di terreno a testa, escludendo le zone desertiche, i ghiacciai, le alte montagne, le grandi foreste  necessarie all'ossigenazione ed al mantenimento della vita selvatica, ecc.  Se in più volessimo portare con noi anche i nostri “pets” dovremmo dividere quel piccolo spazio con cani e gatti, se poi volessimo mangiar carne dovremmo condividere ulteriormente la nostra casa con pecore, mucche, conigli, maiali, etc. Si fa presto ad immaginare la calca che si verrebbe a creare nei nostri duecento metri quadrati di terra,  non solo ma come potremmo produrre in quel piccolo orticello abbastanza cibo per tutti i membri della nostra personale comunità rurale? Va da sé che questa tipo di scelta è impensabile per la massa come pure, per altre ragioni persino più serie, è impensabile che la vita possa continuare a lungo sul pianeta se continuiamo a sfruttare le risorse per soddisfare le esigenze di consumo parossistico dei grandi agglomerati urbani.

I lemming, quel popolo di roditori che in caso di sovraffollamento periodicamente emigrano in massa, avrebbero già intrapreso il loro viaggio finale (che come tutti sappiamo finisce nelle gelide acque del mare del nord) per riequilibrare la natura. In parte un tale comportamento autodistruttivo sta avvenendo anche nella nostra società, con l’aumento delle guerre, dei suicidi, delle perversioni, della stupidità. Ma non è ancora sufficiente a trovare quell’equilibrio naturale di sopravvivenza e questo perché l’uomo ha l’arroganza di ritenersi un essere “superiore” alle altre specie e perciò ogni soluzione deve comprendere la continuazione del gioco attualmente in programma e cioè la fissità della nostra specie come dominante.

Ma a questo punto re-inserisco il concetto di “spiritualità naturale o laica”. A dire il vero questa spiritualità non può assomigliare punto alla precedente spiritualità religiosa ma deve necessariamente tener conto del contesto vitale in se stesso, ovvero dell’ecologia. Una spiritualità ecologica in cui non si perseguano scopi immaginari (paradisi, inferni, etc.) ma in cui ci si occupi esclusivamente del presente stato dell’esistenza. Una presa di coscienza ’individuale’ di come è possibile il riequilibrio al contesto della vita senza ritenere che la nostra sia una funzione di controllo, di dominio (o di sudditanza ad una ipotetica divinità altra). 

Ognuno di noi dovrebbe già da ora affrontare il suo personale corso di sopravvivenza sapendo che tutto quello che noi rubiamo oggi dovrà sicuramente essere pagato domani, questo nel caso del sovrappiù, mentre se il nostro respirare, mangiare, vivere rientra nell’insieme del vivere, respirare, mangiare di ogni altro essere vivente potremmo finalmente goderci la vita, senza aver colpe da espiare, senza dover abbandonare il nostro modo di vita urbanizzato e fortemente sociale che -evidentemente- salvo il famoso riequilibrio di cui abbiamo detto, ha contribuito alla fioritura di questa bellissima nostra specie.

In questa fase della storia millenaria dell’uomo abbiamo privilegiato il secondario, il superfluo, a scapito del primario, ovvero il cibo, l’acqua, l’aria. E’ importante per noi esseri umani integrati analizzare le ragioni di questo sviamento. Uno sviamento che senz’altro è stato necessario per scoprire il valore di tesi astratte come l’arte, la scrittura, l’estetica, l’etica, ma che non può continuare ad occupare tutto lo spazio possibile del nostro esistere.

Ad esempio dobbiamo essere consapevoli dello sforzo e del significato profondo insito nella ricerca e produzione del nostro cibo quotidiano.

Descrivo ora l’excursus storico sulla nostra evoluzione. La storia dell’uomo è molto semplice e rispecchia i quattro mutamenti fondamentali della vita. L’uomo nella sua corsa evolutiva compie quattro salti stagionali. All’inizio egli succhia il latte, alla base del latte c’è la verdura e la carne e ciò diviene il suo cibo, poi
ancora oltre c’è la terra ed ecco l’uomo che la divora ma oltre la terra c’è lo spirito e l’uomo nutrendosi di “spirito” completa un altro ciclo di spirale nella scala dell’evoluzione. Questa simbologia può essere tradotta così: il latte rappresenta il momento in cui l’umanità si pone reverente verso la nutrice, la natura, che lo accudisce e lo sostiene nel suo grembo (potremmo dire che corrisponde al momento del “paradiso terrestre”); subentra poi la capacità di auto-sostenersi e di ricorrere a tecnologie appropriate per ricavare da se stessi il nutrimento (corrisponde al momento della fondazione patriarcale); ecco quindi il momento del massimo sviluppo tecnologico e sociale in cui l’uomo tende a divorare, a consumare, persino la terra che lo sostiene (il momento della decadenza consumistica e dell’idolatria scientifico religiosa); infine viene il momento della coscienza indifferenziata, l’uomo vien toccato dallo “spirito” si compenetra in esso e ritrova la sua unità primigenia (corrisponde al quid originario, alla consapevolezza di Sé), il ciclo si ripete passo dopo passo. 

E’ evidente che questo momento storico è segnato da un grande sbalzo fra il massimo del materialismo ideologico o religioso a quello di un ritorno alla consapevolezza non duale.

Come possiamo affrontare condizioni o contingenze apparentemente diametralmente opposte? Innanzi tutto c’è da considerare una cosa: la spinta evolutiva nell’uomo non è indotta da ideologie di massa, il pensiero di massa serve solo al mantenimento della compattezza psicofisica della specie, l’indice del cambiamento è sempre e solo rappresentato da forme pensiero, pseudopodi, che si irradiano verso possibili sbocchi evolutivi, questi pseudopodi non rappresentano che una piccolissima percentuale della massa, si tratta di minoranze...  Le due minoranze attualmente in antitesi, nel “programma” di sviluppo dell’intelligenza umana, son rappresentate da una parte dall’accentramento individuale del potere (lobby ideologiche ed economiche auto-foraggianti) e dall’altra da una rete smagliata di piccole persone che emanano forme pensiero collegate al tutto (una sorta di sincretismo universale).

Questi cicli o percorsi storici si manifestano allo stesso tempo sia nell’arco di una sola vita individuale che in stagioni o onde storiche, ere cosmiche. Mi sembra che questo momento di transizione, fra una condizione e l’altra dell’umano, sia dedicato all’aspetto distruttivo di ogni sovrastruttura di pensiero, un azzeramento dei canoni precostituiti. Infatti oggi come non mai la pulsione verso l’uscita dagli schemi fissati provoca uno stato sismico mentale (scossoni psichici) al corpo-massa dell’umanità. Basterebbe sapere che, come avviene nel processo realizzativo del sé, ogni singola cellula del corpo sociale umano deve essere toccata e deve essere in grado di percepire individualmente la reale possibilità evolutiva in corso. 

E mentre la tendenza egocentrica agisce sulla massa con meccanismi di aggregazione forzata (vedi la massificazione informativa) al contrario “l’aumento” della coscienza avviene sui piani emotivi individuali. Dobbiamo essere consapevoli di ciò quando, come precursori, proponiamo un indirizzo bioregionale che non potrà certamente usare i mezzi della controparte ma deve comunque comprenderli organicamente e da lì evolversi. Solo così può sciogliersi il senso di alienazione e la coscienza può ri-trovare il suo spazio. 

L’interno dell’uomo è ancora tutto un mondo da esplorare ma anche l’esterno è altrettanto infinito ed inconoscibile. Per questo si ripropone sempre la via di mezzo, la moderazione, come unica strada possibile per la continuità della specie. La consapevolezza non-duale integra non divide. E’ per questo che nell’ecologia del profondo e nella spiritualità laica si narra del ritorno alla Terra, ascoltandone il suo messaggio, pervenendo così a quell’integrazione con essa.

Godendo della silenziosa gioia di vita, qui e d ora. Una gioia che non ha costrutto, nessuna causa, nessun meccanismo da soddisfare, nessun possesso, semplicemente è… Si chiama esistenza.

Ma attenzione, tale visione non ipotizza il ritorno al primitivismo bensì individua nelle attuali condizioni della società avanzata l’occasione di un riequilibrio. La continuità della nostra società, in quanto specie umana, richiede una chiave evolutiva, una comprensione globale, per mezzo della quale aprire la nostra mente alla consapevolezza di condividere con l’intero pianeta (forse sarebbe meglio dire con l’universo) l’esperienza vita. Questa è la scienza dell’inscindibilità della vita. 

Ne consegue che anche l’economia umana può e deve tener conto di questa visione per avviare un funzionamento  che non si contrapponga ma che sia in sintonia con i processi vitali. La scienza e la tecnologia in ogni campo di applicazione dovranno rispondere alla domanda: “E’ ciò ecologicamente e spiritualmente compatibile?” La produzione di quanto necessario, le fonti energetiche, lo smaltimento e reintegrazione dei sottoprodotti, come pure la socialità e la cultura, dovranno essere realizzati in termini di sostenibilità. Se questo stimolo si manifesta nella mente umana allora sarà necessario un rapido processo di riconversione e riqualificazione del sistema di vita  che già di per sé stesso sarà in grado di sostenere l’economia. 

Infatti la sola totale  “riconversione ecologica” favorirà il superamento dell’attuale stato di “enpasse” impartendo grande spinta al riequilibrio della nostra presenza sulla Terra, anche in senso  economico e sociale. 

Una grande rivoluzione comprendente il nostro far pace con il pianeta e con gli esseri viventi che lo abitano.

Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana



Risultati immagini per ecologia profonda nasce un modello di società spirituale

giovedì 5 settembre 2024

Quando le mucche andavano al pascolo e partorivano nei tempi giusti...

 


...una volta, fino alla fine degli anni '70 del secolo scorso, il 25 novembre era il giorno della chiusura dei caseifici. Infatti le bovine, che erano allevate in maniera più naturale e i parti erano stagionali, venivano munte da aprile a novembre, dopodiché venivano messe in asciutta. 

I caseifici, che erano piccoli e numerosi, chiudevano, magari ne rimaneva aperto uno per lavorare il poco latte che veniva comunque prodotto e che era utilizzato per fare il “vernengo”. 

A quei tempi si che era buono il formaggio! 

La parte migliore poi era la testa, quello che veniva prodotto nei primi mesi. Le bovine erano quasi tutte di razza bianca valpadana, facevano meno latte di quelle di razza frisona di oggi, ma erano più sane e campavano di più. Erano trattate bene e mangiavano roba buona, naturale. Il latte e il formaggio avevano tutto un altro sapore! Adesso nelle stalle moderne vengono sfruttate al massimo e l’alimento raramente è veramente di buona qualità! Non sarà mica benessere questo!

Ma sarebbe possibile un ritorno ai tempi delle mucche al pascolo? Con il sistema corrente sembrerebbe di no! Il lavoro in stalla mandato avanti da operai, di solito stranieri e il lavoro di produzione del formaggio nei caseifici è a carico di dipendenti, per cui si deve avere da lavorare tutto l’anno e così le gravidante e i parti vengono artificialmente programmati e distribuiti.

Ed il “benessere” degli animali...!?

Caterina Regazzi - Rete Bioregionale Italiana