Le plastiche monouso rappresentano il tipo più comune di plastica, nel 2019, ne sono state prodotte più di 130 milioni di tonnellate, la maggiore parte finiscono bruciate negli inceneritori (35%) o smaltite in discarica (31%) e, purtroppo, anche abbandonate nell’ambiente (19%), con il conseguente inquinamento di suolo, corsi d’acqua e mari.
Il 3 luglio 2021 è entrata in vigore la direttiva comunitaria che bandisce prodotti in plastica usa e getta, si tratta della direttiva UE 2019/904, anche detta Sup (Single use plastic) approvata nel 2019.
Da questa data, non sarà più possibile utilizzare tutta una serie di prodotti monouso, quali posate, cannucce piatti in plastica usa e getta, cotton fioc, cannucce, bastoncini per palloncini realizzati in plastica, nonché alcuni contenitori alimentari in polistirolo espanso e tutti quei prodotti per i quali esistono in commercio alternative economiche più sostenibili.
Per facilitare un’applicazione corretta e standardizzata delle nuove norme, la Commissione europea ha pubblicato le linee guida che forniscono definizioni e termini chiave.
Nel nostro Paese si è aperto un dibattito, che vedremo nei prossimi giorni come finirà, particolare attenzione c'è per le plastiche biodegradabili, finite anch'esse nella "lista nera".
Certamente è innegabile che l'impatto ambientale delle plastiche monouso sull'ambiente, a livello mondiale, sia molto forte, come evidenzia bene il report Plastic Waste Makers Index della Minderoo Foundation, moderna organizzazione australiana indipendente e filantropica.
Alcuni prodotti monouso in plastica, come mascherine protettive, dispositivi medici, sporte per la spesa, capsule del caffè, imballaggi per conservare gli alimenti sono diventati ormai essenziali nella nostra vita quotidiana, ma creano non pochi problemi ambientali.
Oggi, le plastiche monouso rappresentano il tipo più comune di plastica: oltre un terzo di tutti i polimeri - i mattoni della plastica - prodotti ogni anno servono per creare oggetti usa e getta, che sono quelli che, con più facilità, vengono gettati via, trasformati in rifiuti.
Più di 130 milioni di tonnellate, nel 2019, la maggiore parte dei quali finisce bruciata negli inceneritori (35%) o smaltita in discarica (31%) e, purtroppo, anche abbandonata nell’ambiente (19%), con il conseguente inquinamento di suolo, corsi d’acqua e mari.
Questa tipologia di plastica è più difficile da raccogliere, smistare e riciclare rispetto ad altri tipi di plastiche, tanto che i tassi di riciclaggio globali sono fermi al 10-15% da oltre trent'anni.
Con troppa facilità, i prodotti usa e getta in plastica finiscono nei nostri mari, dove sono responsabili di quasi tutto l'inquinamento visibile: si stima da 5 a 13 milioni di tonnellate ogni anno. A questo dobbiamo aggiungere che, con il trascorrere del tempo, la plastica si può spezzettare in piccole parti, dando vita a microplastiche e nanoplastiche, che impattano sulla vita marina e sulla capacità dei mari di assorbire CO2 .
Il problema non si limita ai corsi d'acqua o ai mari, se la produzione di plastica monouso continuerà a cresecere ai tassi attuali, questo comparto produttivo potrebbero essere responsabile di una discreta quantità, dal 5 al 10 %, delle emissioni mondiali di gas serra entro il 2050.
Sempre secondo il report di Minderoo alcuni fattori, principalmente, hanno determinato l’attuale situazione.
- L'uso esponenziale della plastica monouso è aumentato negli ultimi 30 anni, spinto dall'innovazione di nuovi formati di imballaggio e di prodotti di plastica monouso, con conseguente aumento dei livelli di plastica non necessaria in commercio. Dal 2005 la produzione di questo tipo di plastica è raddoppiata e secondo le previsioni aumenterà di un terzo tra il 2020 e il 2025.
- Il basso costo della produzione di plastiche monouso da combustibili fossili, che continua ad essere molto più economico rispetto alla produzione di plastica da materie prime "verdi", cioè da rifiuti plastici riciclati, frena la possibilità di cambiamento.
- La deresponsabilizzazione dei produttori di plastica; mentre i costi della gestione dei rifiuti e dell'inquinamento da plastica stanno aumentando, a livello globale, i produttori, i marchi e i rivenditori di plastica monouso, al momento, non sono coinvolti minimamente nel supportare queste spese, neppure in modo parziale. Alcuni politici stanno introducendo politiche di "producer pays", che considerano le aziende che producono e usano prodotti di plastica responsabili del loro smaltimento (responsabilità del produttore), purtroppo, ancora sono pochi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove sono più necessari.
Se vogliamo combattere veramente l’impatto della plastica usa e getta sull’ambiente, dobbiamo rivolgere i nostri sforzi su
- la produzione di polimeri riciclati dai rifiuti plastici
- i modelli di riutilizzo
- i materiali alternativi sostitutivi/alternativi.
Nonostante questo scenario, all’industria della plastica è stato permesso di continuare a produrre rispettando una normativa minima e un bassissimo livello di trasparenza. Questo comparto industriale, da parte sua, fa valere il suo punto di vista, e nel report, "Plastics-the Facts", fa un’analisi dei dati relativi alle materie plastiche raccolti da PlasticsEurope (l'associazione dei produttori di materie plastiche in Europa) e da EPRO (l'associazione europea delle organizzazioni di recupero e riciclaggio delle materie plastiche), fornendo le ultime informazioni commerciali sulla produzione e la domanda di questo materiale, ma anche sul recupero, l'occupazione e il fatturato dell'industria della plastica, mostrando i dati per l'UE a 28 più la Norvegia e la Svizzera e concentradosi principalmente sulle cifre del 2019.
Il principale fattore su cui fa leva l’industria della plastica si basa sul fatto che questo comparto è vitale per l'economia europea e per il suo piano di ripresa. I produttori di materie prime plastiche, i trasformatori di materie plastiche, i riciclatori di materie plastiche e i produttori di macchinari rappresentano, nell’insieme, una catena di valore che da lavoro ad oltre 1,5 milioni di persone in Europa, grazie a più di 55.000 aziende, la maggior parte delle quali piccole e medie imprese (PMI), che operano in tutti i paesi europei.
Nel 2019, sempre secondo quanto riferito nel report “Plastic The facts”, queste aziende hanno creato un fatturato di oltre 350 miliardi di euro e hanno contribuito per più di 30 miliardi di euro alle finanze pubbliche europee.
A queste due argomentazioni, l’industria della plastica aggiunge che, nell'ultimo secolo, le materie plastiche hanno offerto soluzioni innovative alle esigenze e alle sfide in continua evoluzione della società. Versatili, durevoli e incredibilmente adattabili, le materie plastiche sono una famiglia di materiali notevoli. Al giorno d'oggi, le plastiche ci permettono di soddisfare una miriade di esigenze funzionali ed estetiche, dal bere acqua pulita, fare sport, rimanere connessi, godersi il comfort della casa e muoverci, o aiutarci a vivere più a lungo e in modo più sano.
L’industria della plastica è consapevole che questo materiale continuerà a plasmare il nostro presente e il nostro futuro, tuttavia, per raggiungere il pieno potenziale di questi straordinari materiali, è necessario affrontare le sfide globali legate al loro impatto negativo quando finiscono nell'ambiente. I rifiuti di plastica sono inaccettabili in qualsiasi habitat e questa sembra essere una priorità assoluta, anche per PlasticsEurope e per l'industria della plastica in generale. L’impegno sembrerebbe, pertanto, quello di trovare soluzioni globali ai problemi globali legati all’abbandono delle plastiche, con l’auspicio di vedere lavorare insieme tutte le parti interessate, per creare un quadro in grado di promuovere l'economia circolare della plastica e sviluppare un progetto collettivo per accelerare verso un futuro più sostenibile.
Se questi sono i buoni proposti del comparto industriale delle plastiche, per ora, le politiche della maggiore parte dei governi si mostrano poco propense o in difficoltà nel regolare l’attività delle imprese alla base della catena di approvvigionamento dell’intero processo di produzione della plastica, ovvero quelle che fanno i "polimeri" - i mattoni di tutte le plastiche – partendo quasi esclusivamente da combustibili fossili.
Queste producono nuovi polimeri "vergini" da materie prime, come petrolio, gas e carbone, perpetuando la dinamica dell’economia lineare e minando la transizione verso un'economia della plastica "circolare", con impatti negativi sui tassi di raccolta dei rifiuti, sulla gestione del fine vita di questa categoria di rifiuti e sui tassi di inquinamento da plastica.
Nel rapporto Plastic-Waste-Makers-Index di Minderoo si elencano le aziende che producono, dai combustibili fossili, i cinque polimeri primari che generano la stragrande maggioranza dei rifiuti plastici monouso a livello mondiale (i cd "produttori di polimeri plastici vergini monouso") - e gli investitori e le banche che li stanno finanziando.
Si legge che dei circa 300 produttori di polimeri, che operano a livello globale, solo un piccolo gruppo ha in mano il destino della plastica: la loro scelta di continuare a produrre polimeri vergini, piuttosto che polimeri riciclati, avrà enormi ripercussioni su quanti rifiuti vengono raccolti e gestiti ma anche sul loro impatto sull'ambiente.
Le aziende non sono però le uniche ad essere responsabili, i grandi investitori globali e le banche stanno permettendo che tutto questo avvenga. Venti gruppi finanziari detengono oltre 300 miliardi di dollari di azioni nelle società madri che producono questi polimeri, di cui circa 10 miliardi di dollari provengono dalla produzione di polimeri vergini per le plastiche monouso.
Secondo quanto riportato da Minderoo, venti delle più grandi banche del mondo hanno prestato quasi 30 miliardi di dollari per la produzione di questi polimeri a partire dal 2011.
Al momento, non si prevedono cambiamenti, anzi, nei prossimi cinque anni, la capacità globale di produrre polimeri vergini per la plastica monouso potrebbe crescere di oltre il 30 % e fino al 400 % per le singole aziende. Se non ci saranno inversioni di tendenza, questo rischierà di travolgere le speranze di un'economia circolare della plastica, che per affermarsi necessità di leadership aziendale e mercati dei capitali "illuminati", sorretti anche da un'immensa volontà politica che vada, con determinazione, nella direzione dell’economia circolare.
La “partita” non appare semplice anche perché, dietro alla produzione di plastica vergine, si prefigurano scenari dominati dalla geopolitica, infatti, il rapporto di Minderoo stima che il 30% del settore, per valore, sia di proprietà statale, con Arabia Saudita, Cina ed Emirati Arabi Uniti come primi tre proprietari.
Se non riusciremo ad agganciare l’economia circolare della plastica, facilmente potremmo trovarci davanti ad una catastrofe ambientale, in quanto gran parte dei rifiuti di plastica monouso finiranno nei paesi in via di sviluppo con sistemi di gestione dei rifiuti scadenti e grossissimi rischi di dispersione nell’ambiente. Per scongiurare il peggio, il report propone alcune soluzioni che richiedono, in primo luogo, un forte coinvolgimento della politica e delle imprese, gli obiettivi da raggiungere sono:
- arresto della crescita della domanda di plastica monouso (per esempio, riducendo la plastica non necessaria come le cannucce e i sacchetti monouso)
- implementazione dell’ecodesign, con la progettazione di prodotti da riutilizzare o riciclare
- finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti.
Per approfondimenti leggi i report Plastic Waste Makers Index e Plastics - the facts 2020
(Fonte: Arpat)
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