Intolleranza agli Xenobiotici è una patologia associata a sindrome immunoneurotossica e iper-reattività delle vie aeree, aggravata dall'incapacità di metabolizzare persino molti farmaci di sintesi
I pazienti presentano quadri sintomatologici differenti in relazione ai polimorfismi genetici, alle alterazioni epigenetiche e agli xenobiotici presenti nell'organismo. Pertanto, ogni paziente ha intolleranze a sostanze tossiche e principi attivi di farmaci differenti. L’intolleranza agli xenobiotici è multisistemica.
Come tutte le patologie complesse, non può essere un solo marker a caratterizzarla, come avviene nella tiroidite di Hashimoto, nel diabete e nel deficit di G6PD.
L’intolleranza agli xenobiotici è definita da: deficit enzimatico dei geni preposti alla detossificazione di sostanze tossiche e alla metabolizzazione dei farmaci, intossicazione da xenobiotici presenti nei campioni ematici, nei tessuti e negli organi dei pazienti e infiammazione cronica, con sintomi che coinvolgono diversi apparati e sistemi del corpo.
Parole chiave: Intolleranza agli Xenobiotici, intolleranza multifarmaco, polimorfismi genetici, alterazioni epigenetiche, intossicazione.
■ Premessa
L'Intolleranza agli Xenobiotici è una patologia, cronica e irreversibile,1 associata a sindrome immunoneurotossica (neuropatia tossica, encefalopatia tossica) e iperreattività delle vie aeree, aggravata dall'incapacità di metabolizzare anche molti farmaci di sintesi 2,3,4,5,6.
Presuppone deficit enzimatico e accumulo di sostanze tossiche nell’organismo del paziente. È anche definita IC (Intolleranza Chimica) e TILT (acronimo inglese di “perdita di tolleranza indotta da sostanze tossiche”).
I pazienti presentano quadri sintomatologici differenti in relazione a :
• mutazioni/polimorfismi genetici (varianti genetiche intervenute nel corso dell’evoluzione umana),
• meccanismi epigenetici (influenzano l’espressione genica, includono Metilazione del DNA e Acetilazione dell’istone),
• xenobiotici sostanze estranee all’organismo, di origine naturale o di sintesi, come metalli pesanti, farmaci, pesticidi, inquinanti ecc.) accumulati nell'organismo.
Ogni paziente ha intolleranze a sostanze tossiche e principi attivi di farmaci differenti
Mutazioni e polimorfismi indicano l’incidenza della varianti genetiche presenti nella popolazione. Si definisce mutazione quando si verifica in meno del 1% della popolazione, mentre i polimorfismi di +
Anomalie che possono interessare entrambi gli alleli (gene omozigote mutato, gene deleto o nullo) o un solo allele (gene mutato in eterozigosi).
■ Genetica e farmacogenetica
Le mutazioni genetiche - riscontrate in pazienti con intolleranza agli xenobiotici - sono indicative dell'incapacità di metabolizzare sostanze tossiche e riguardano essenzialmente alcune categorie di geni (PON1, CYP2D6, NAT2, GSTM1, GSTT1, GSTP1, UGT1A1, SOD, CAT solo per citarne alcuni)
Tali mutazioni sono in gran parte oggetto di studio della farmacogenetica. che indaga la tossicità dei farmaci in relazione ai polimorfismi genetici; in particolare, la ricerca scientifica attesta l'importanza dei marker farmacogenetici nelle terapie antitumorali.
Un problema rilevante che si presenta nella gestione del trattamento farmacologico antitumorale è la variabilità della risposta agli effetti tossici nei pazienti, clinicamente omogenei, sottoposti allo stesso farmaco, con gli stessi dosaggi. La genetica interviene a spiegare il perché in alcuni pazienti si ottiene una marcata riduzione delle cellule tumorali, in altri nessuna efficacia, in altri ancora nessun effetto terapico e pesanti effetti collaterali fino a provocare il decesso nei casi di grave intolleranza ai principi attivi e/o agli eccipienti del farmaco somministrato.
Poiché gli enzimi necessari al corretto metabolismo dei farmaci sono anche in grado di scindere e metabolizzare alcuni xenobiotici - ad esempio gli enzimi dei geni della glutatione transferasi GSTM1, GSTP1 e GSTT1 sono fondamentali per la detossicazione da solventi, pesticidi, idrocarburi aromatici policiclici, steroidi e metalli pesanti Senza attività enzimatica specifica, le sostanze tossiche, oltre a non essere scisse e metabolizzate, non vengono eliminate attraverso sudore, feci e urina, e si depositano negli organi e nei tessuti; creano nel tempo intossicazione cronica, alterazioni epigenetiche, sofferenza cellulare e infiammazioni multiorgano
In alcuni pazienti con intolleranza agli xenobiotici si sono potuti riscontrare numerosi polimorfismi genetici
- implicati nella Fase I di disintossicazione e nella Fase II di detossicazione - che attestano la reale incapacità a metabolizzare xenobiotici
Evidente che se non fossero stati esposti a sostanze tossiche - in misura acuta o semplicemente in quantità minime, ma in modo sistematico - non avrebbero mai sviluppato la malattia, mentre l'incapacità di metabolizzare farmaci (Intolleranza Multifarmaco) si palesa fin dalla nascita, soprattutto in presenza di mutazioni in omozigosi
■ Epigenetica
Le sostanze tossiche inalate, ingerite o assorbite per contatto hanno la capacità di legarsi al DNA
A differenza delle mutazioni genetiche, i meccanismi epigenetici (epigenetico letteralmente significa “sopra i geni”) intervengono sulle proteine - gli istoni su cui si avvolge il DNA e ne determinano la forma e il funzionamento. I meccanismi epigenetici controllano l’espressione genica, senza modificare la sequenza del DNA
Fig. 1 Fasi di disintossicazione
Gli xenobiotici possono provenire da fonti esterne – inalate, ingerite e assorbite per contatto - come ad esempio medicinali e medicazioni, pesticidi, tossine vegetali, inquinanti, muffe. Ma possono anche essere presenti xenobiotici da fonti interne all'organismo come ad esempio prodotti di degradazione degli ormoni, neurotrasmettitori, prodotti di ossidazione dei lipidi come la malondialdeide
Fase 1 implicati soprattutto i geni del citocroma P450 ma anche altri come i geni PON 1, i geni SOD3, HFE. Gli enzimi prodotti da questi geni metabolizzano le tossine (xenobiotici) e le trasformano in metaboliti
Fase 2 implicati i geni NAT, UGT, GST, SOD, VDR, APO, HTR2A, DAO, NOD2, CAT, MTHFR, MTR, MTRR, COMT, SULT1A, G6PD e altri. L'attività enzimatica di questi geni è fondamentale: si legano ai metaboliti per renderli solubili in acqua. I metaboliti sono più tossici degli xenobiotici di provenienza.
I derivati, solubili in acqua, vengono eliminati attraverso i reni con l'urina, attraverso la pelle con il sudore, attraverso la bile e l'intestino con le feci, NON le Liposolubili. Alcuni pazienti hanno difficoltà anche nell'Eliminazione, tanto che alcuni ricercatori la considerano come III Fase di disintossicazione dell'organismo (http://www.mthfrsupport.com - https://www.geneticlifehacks.com/liverdetox-genes/)
Modifiche epigenetiche più comuni avvengono per metilazione e per acetilazione
La metilazione alcuni nucleotidi del DNA vengono modificati mediante addizione di metile -CH3. Ne consegue l'inattivazione di una particolare regione di DNA. Porzioni di DNA metilato sono stati evidenziati anche nelle cellule tumorali
Maggior parte dei meccanismi epigenetici riguarda la metilazione che agisce bloccando o consentendo l’espressione dei geni lungo il filamento del DNA
I modelli di espressione devono rispondere a sfide ambientali, a cambi di stile di vita, ai numerosi meccanismi di reazione del metabolismo umano, adeguandosi alle nuove esigenze. Un addotto su un gene di solido riduce o blocca la sua attività enzimatica. Un addotto nei pressi di un gene può invece portare ad un eccesso dell’espressione. Non necessariamente un addotto su un gene può anche interferire con il modello di metilazione, cioè col modello dell’espressione genica. In alcuni casi gli addotti possono determinare conseguenze significative
I metaboliti del benzene, ad esempio, sono capaci di avviare meccanismi irreversibili, anche quando il metabolita non è più presente nell’organismo.
Il “cambiamento” viene trasmesso alle cellule figlie e l’espressione genica continua a risentirne come se l’esposizione al benzene fosse ancora in corso. Tali cambiamenti hanno implicazioni notevoli in relazione ad agenti cancerogeni
I meccanismi di riparazione del DNA, che non riescono a far fronte al danno iniziale, non possono essere trasmessi alle cellule figlie perché il “nuovo” modello epigenetico viene percepito come la norma. Gli addotti talvolta si legano a geni che influenzano questi anomali meccanismi
I cambiamenti nei modelli di metilazione risultanti dall’interazione chimica con il DNA in aree non geniche, possono interessare anche uno o più cromosomi
Nell'acetilazione le proteine dell'istone, legato al DNA, si modificano per addizione di gruppi acetile -CH3CHO
Tale alterazione ha come conseguenza la perdita di interazione tra DNA e istone; è associata ad un aumento di espressione dei geni
La modifica dei processi di addizione e rimozione dei gruppi acetile dal DNA è oggetto di ricerca finalizzata a possibili nuove terapie antitumorali
Mutazioni genetiche e alterazioni epigenetiche sono trasmissibili attraverso il meccanismo dell'eredità transgenerazionale (ETI)
Stato infiammatorio
Le persone con predisposizioni genetiche (mutazione dei geni preposti alla disintossicazione da agenti tossici), nel corso della loro vita accumulano nell'organismo le sostanze che non sono in grado di metabolizzare per la totale assenza di enzimi specifici o nei confronti delle quali sono metabolizzatori lenti x carenza enzimatica specifica
Il meccanismo è in tutto simile al deficit dell'attività enzimatica del gene G6PD (deficit di glucosio 6 fosfato deidrogenasi, noto anche con la riduttiva denominazione di favismo): chi presenta una lieve carenza enzimatica nel corso della sua vita accumula le sostanze naturali e i principi attivi di alcuni farmaci di sintesi.
Un metabolizzatore lento è in grado di scindere solo una quantità limitata di sostanze che, pur non essendo tossiche per la generalità delle persone, lo diventano in modo eclatante quando superano il limite di tollerabilità, oltre il quale si manifesta la patologia.
Chi presenta una grave carenza enzimatica ha un'intolleranza talmente elevata da percepire anche le sostanze volatili in quantità ridottissime. Non è “l'odore” a creare evidenti stati di malessere, ma le molecole volatili, sprigionate da frutti, piante e pollini, che il malato grave percepisce attraverso l'iperosmia sviluppata dall'organismo come meccanismo di difesa.
Analogamente, l’intolleranza agli xenobiotici è una reazione a molecole tossiche e non agli odori. Queste molecole tossiche sono denominate VOC o COV, acronimo di Composto Organico Volatile; comprendono sia sostanze di origine naturale che sostanze di sintesi (come nel caso di deficit di G6PD).
Il limite oltre il quale si palesa la malattia, caratterizzata da intolleranza totale o parziale a determinate sostanze, è funzione in ciascun individuo: della capacità di disintossicarsi, del livello di esposizioni a sostanze tossiche, di eventuali carenze nutrizionali, dei polimorfismi genetici e dei cambiamenti epigenetici.
La larga diffusione degli xenobiotici mette a rischio anche persone che non hanno predisposizioni genetiche; nessuno è immune dai danni epigenetici e un'intossicazione cronica può, di fatto, innescare lo stesso processo infiammatorio tipico dell’intolleranza agli xenobiotici.
L'esposizione a sostanze tossiche provoca nell'organismo un aumento di ossido nitrico che, attraverso un processo di ossidazione, produce perossinitrito (ONOO- Peroxynitrite) e avvia un ciclo vizioso biochimico denominato NO/ONOO- (meccanismo attraverso il quale, a partire dall'ossido nitrico, si producono sostanze che ne stimolano altre, fino a incrementare ancora l'ossido nitrico) responsabile della cronicità della malattia.
In sintesi, l'ossido nitrico per ossidazione produce perossinitrito che, a sua volta, crea sofferenza cellulare e innesca fenomeni responsabili di ulteriore produzione di ossido nitrico.
La sofferenza cellulare (stress ossidativo) stimola anche le citochine infiammatorie e diversi enzimi che sintetizzano l'ossido nitrico.
Alcune sostanze tossiche (come pesticidi, solventi organici e composti correlati, mercurio, solfuro di idrogeno e monossido di carbonio) producono nel corpo una risposta abnorme del recettore NMDA (N-Methyl-D-Aspartate, recettore ionotropico dell’acido glutammico, presente sulla membrana delle cellule nervose) e un'elevata attività del recettore TRPV1 (Transient Receptor Potential Vanilloid1, recettore di membrana attivato dalla capsaicina o da temperature >42° C)
Nell’intolleranza agli xenobiotici sono pertanto noti i meccanismi di sensibilizzazione neurale e di infiammazione neurogenica. Questi meccanismi agiscono localmente, in TUTTI i diversi apparati (respiratorio, cardiocircolatorio, digerente, tegumentario, renale) e sistemi del corpo (neurologico, muscolo scheletrico, endocrinoimmunitario), con grande variabilità di sintomi nei pazienti.
La gravità dei sintomi è esacerbata da esposizioni tossiche.
Recenti studi indicano la sensibilizzazione dei mastociti, con rilascio di mediatori, come meccanismo biologico plausibile alla base dell’intolleranza agli xenobiotici :
un processo patologico indotto da queste cellule sentinella - componenti critici altamente evoluti del sistema immunitario cellulare – capaci di effettuare una vasta gamma di risposte infiammatorie (mediatori) per far fronte a gravi minacce. I mastociti hanno memoria degli invasori del passato (fenomeno di sensibilizzazione). Da tempo siamo consapevoli della capacità dei mastociti di indurre anafilassi in risposta a punture d’api o ad altri allergeni in individui precedentemente sensibilizzati.
In modo analogo i mastociti entrano in azione quando l’attacco esterno è rappresentato da sostanze tossiche che superano il livello di tollerabilità dell’organismo del paziente.
Evidenze cliniche
Le mutazioni genetiche – ovvero l'assenza o la carenza di attività enzimatiche e la sovraespressione dei geni
- sono oggetto di analisi specifiche presso strutture pubbliche e private accreditate (fra le quali l'Azienda Ospedaliera Sant'Andrea di Roma - U.O.D. Diagnostica molecolare avanzata e il laboratorio Genoma di Roma e Milano) Gli esami genetici individuano i geni mutati sia in omozigosi (grave compromissione dell'attività enzimatica, entrambi gli alleli sono mutati) che in eterozigosi (carenza enzimatica, la mutazione interessa un solo allele) e i geni deleti (nulli/non trascritti, nessuna attività enzimatica)
Nei pazienti con intolleranza agli xenobiotici, offrono importanti indicazioni sui farmaci di sintesi che si rende necessario assumere (ad esempio anestetici in caso di intervento chirurgico, ecco perché la morte o problemi nelle operazioni) e sulle sostanze che non si è in grado di metabolizzare, anche naturali.
Pertanto, gli esami genetici sono utili per individuare le carenze enzimatiche che compromettono la disintossicazione da sostanze tossiche - con conseguente accumulo nell’organismo - e le carenze enzimatiche che inficiano il corretto metabolismo di alcuni farmaci.
Nel caso dei farmaci, l’accumulo di metaboliti è preceduto dall’incapacità di scindere il principio attivo.
Conseguenza immediata è che non si hanno gli effetti terapeutici voluti: inefficacia del farmaco (o ridotta efficacia) e intossicazione da farmaco (e/o accumulo di metaboliti) come effetto secondario.
Nei pazienti con Intolleranza agli Xenobiotici sono presenti carenze enzimatiche che inficiano il corretto metabolismo di numerosi farmaci (Intolleranza Multifarmaco - IM). La condizione di IM è presente sin dalla nascita e necessita di terapie personalizzate.
Alterazioni epigenetiche possono essere evidenziate dal test degli addotti del DNA7. Gli addotti del DNA sono sostanze chimiche legate al DNA genomico. La fonte delle sostanze chimiche può essere esogena (xenobiotici) o endogena (compresi i metaboliti degli xenobiotici).
L'effetto del danno al DNA dipende dalla posizione dell’addotto sul DNA: se posizionato su un gene di solito riduce o blocca l'espressione di quel gene, se posizionato sulla regione promotrice di un gene può portare alla sovraespressione di quel gene; un addotto può inoltre bloccare i meccanismi di riparazione del DNA e può interferire con la metilazione sul DNA funge da modello per l'espressione genica, bloccando o consentendo l'espressione di diversi geni lungo il filamento.
L'esame degli addotti mette in evidenza le sostanze tossiche presenti nel DNA7, la quantità rilevata (ng/ml blood), identifica la posizione dell'addotto e indica se è associato a uno specifico gene o a porzioni di DNA.
Rileva anche le metilazioni e i prodotti dell'ossidazione della membrana cellulare, come ad esempio la malondialdeide; sostanza indicativa di intossicazione endogena, prodotta dall’organismo in seguito a ossidazione della membrana cellulare (stress ossidativo).
Rilevata anche nel DNA di bambini che vivono vicino a un polo petrolchimico.
Le alterazioni epigenetiche, se si interviene in tempo con un “evitamento” mirato (ovvero esclusione totale della sostanza tossica che ha determinato il danno al DNA), possono essere reversibili. Ciò è di fondamentale importanza sia nella terapia dei malati di intolleranza agli xenobiotici sia nei pazienti affetti da tumori. In alcuni casi, i danni epigenetici sfuggono ai meccanismi di riparazione del DNA e le conseguenze possono essere gravi come in una mutazione genetica.
La presenza di metalli pesanti è individuata non solo da addotti del DNA ma anche nelle metallotioneine in cui si rilevano le percentuali di ogni singolo metallo tossico, le percentuali di zinco e rame e lo scompenso metabolico determinato dall'alterazione del normale rapporto zinco/rame.
Normalmente, circa il 40% del metallo totale sulla metallotioneina è zinco. Il rame rappresenta la maggior parte del restante 60%. Quando i metalli tossici possono sostituire lo zinco o il rame, ma una scarsa disponibilità di zinco e la presenza di alterazioni infiammatorie, portano anche a uno scarso valore del rapporto zinco:rame (dal referto “Blood metallothione in studies”). [Fig. 5 – Metallothionein]
I metalli pesanti sono individuati anche dal Mineralogramma del capello che mette in evidenza la forte carenza di oligoelementi nutrizionali che caratterizza l’intolleranza agli xenobiotici rispetto ai casi di sola intossicazione.
L'esame non è esaustivo dell'accumulo di metalli tossici anche su altri apparati e organi; l'assorbimento di alcuni metalli è infatti limitato nel capello.
La presenza di metalli pesanti depositati negli organi è evidenziata anche da esami delle urine prima e dopo trattamenti detossificanti.
Gli xenobiotici (metalli, sostanze chimiche, funghi e muffe, siliconi, pesticidi, detergenti, plastiche, battericidi) sono rilevabili dal test di sensibilità linfocitaria che individua quantitativamente la presenza delle sostanze tossiche testate, i valori bordenline e i valori che creano la sofferenza dei linfociti, quando esposti a un alto livello di sostanza tossica le risposte includono il rapido passaggio di calcio intracellulare. [Fig. 7 – Lymphocyte sensitivity tests]
Lo stress ossidativo e lo squilibrio della membrana cellulare è evidenziato dal Flat Profile presso il C.N.R. (Centro Nazionale delle Ricerche) di Bologna.
La sofferenza cellulare dovuta a scarso apporto di ossigeno alle cellule (forte squilibrio della membrana cellulare) può essere rilevato anche da sostanze aldeidi – prodotte dall'ossidazione della membrana lipidica - presenti fra gli addotti del DNA (malondialdeide).
Il test specifico su Iperventilazione e anidrasi carbonica dei globuli rossi misura l'attività della CA (carbonic Anidrase) e la proteina CA nei globuli rossi. Un basso rapporto riflette l'iperventilazione cronica nei due mesi precedenti al prelievo, ma non indica la causa. Addotti del DNA che inficino la normale attività del gene CA sono causa di iperventilazione. [Fig, 8 - Hyperventilation & Red Cell Carbonic Anydrase]
L’iperventilazione - legata all'inibizione degli enzimi del gene CA - è spesso attribuita a “crisi di panico”.
Il test dell’anidrasi carbonica è utilizzato per indagare sugli effetti della carenza dell’enzima in diverse patologie
Le conseguenze causate dagli addotti del DNA sono evidenziate anche da reazioni chemiotattiche dei linfociti
Lo stato infiammatorio cellulare è indagato anche nel test della Permeabilità Mitocondriale. Quando acqua e soluti passano nella matrice mitocondriale si manifesta un danno alla membrana mitocondriale di solito accompagnato da cambiamento della funzione mitocondriale e della disponibilità di energia. Il danno può essere riparato se si interviene in tempo ma, quando la malattia diventa cronica, i cambiamenti del DNA mitocondriale tendono a essere irreversibili.
Queste sono solo alcune delle analisi di laboratorio che evidenziano la causa organica della patologia.
■ Casi clinici
Le “Evidenze cliniche” sono supportate da esami eseguiti su tre pazienti a cui è stata diagnosticata la patologia.
Gli esami non rappresentano marker diagnostici, ma sono un valido aiuto per completare il quadro clinico del paziente
Per la diagnosi sono state prescritte ricerche di laboratorio, fra cui esami tossicologici e genetici, sono stati eseguiti anamnesi, verifiche con questionari specifici (QEESI, BREESI, EESI) ed esame clinico del paziente, anche
allo scopo di escludere altre patologie.
Tutti i pazienti in esame presentano sintomi che coinvolgono numerosi “systems”: apparato respiratorio, cardiocircolatorio, digerente, tegumentario, renale, sistemi neurologico, muscoloscheletrico, endocrino-immunitario.
I sintomi più comuni nei 3 pazienti includono: disturbi respiratori, tachiaritmia, disturbi gastrointestinali,
dermatite, rush cutaneo, angioedema, coliche renali, violente cefalee, dolori muscolari e articolari, tendiniti,
disturbi oculari, iperosmia, astenia, parestesie, insonnia persistente, infiammazione delle mucose e delle prime
vie respiratorie, dispnea, congestione nasale con sinusite, edema delle corde vocali con afonia, edema della
lingua, edema della glottide.
Tutti i pazienti hanno avuto episodi di intossicazione da farmaco e reazioni avverse ai farmaci, fra cui edema
della glottide, tutti poliallergici.
Ciascun paziente presenta comorbilità con numerose patologie fra le seguenti: asma, laringospasmo, broncospasmo,
tiroidite di Hashimoto in ipotiroidismo, vasculite autoimmune, sindrome dell’occhio secco con dislacrimia, osteopenia, osteoporosi, osteomalacia, sindrome di Sjögren, sindrome di Raynaud, psoriasi, artrite reumatoide.
■ Conclusioni L’intolleranza agli xenobiotici è multisistemica
Come tutte le patologie complesse, non può essere un solo marker a caratterizzarla, come avviene nella tiroidite di Hashimoto, nel diabete e nel deficit di G6PD.
I test genetici e tossicologici, pur non essendo marker diagnostici, sono un valido aiuto per completare il quadro clinico del paziente, per individuare terapie, per adottare misure preventive mirate e personalizzate e, non ultimo per importanza, definire l’eziologia.
Essenzialmente l’intolleranza agli xenobiotici è definita da : deficit enzimatico dei geni preposti alla detossificazione
di sostanze tossiche e alla metabolizzazione dei farmaci, intossicazione da xenobiotici presenti nei campioni ematici, nei tessuti e negli organi dei pazienti e infiammazione cronica, con sintomi che coinvolgono diversi apparati e sistemi del corpo.
L’Intolleranza agli xenobiotici è essenzialmente una patologia ambientale : il rischio di sviluppare la malattia dipende dall’interazione tra l’individuo (predisposizione genetica) e l’ambiente (esposizioni tossiche)
(Testo reperito in Rete e rielaborato da Gianni Luigi Padrin)
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