lunedì 6 febbraio 2023

Giardino terrestre. Le proprietà nascoste di alcune piante bioregionali psicoattive...



Gli esseri viventi hanno sempre dovuto farsi strada in un giardino selvatico di fiori, piante rampicanti, foglie, alberi e funghi che non offrivano solo nutrimento, ma anche veleni mortali. Conoscere tali sostanze è essenziale per la sopravvivenza di qualsiasi creatura, eppure tracciare una linea divisoria del mezzo del giardino, come fece il Dio della Genesi, non sempre funziona. Il punto è che esistono piante che fanno qualcosa di più bizzarro che non sostenere o estinguere la vita. Alcune guariscono; altre eccitano, calmano o placano il dolore corporeo. Ma la cosa più straordinaria è che nel giardino vivono piante che fabbricano molecole con il potere di modificare l’esperienza soggettiva della realtà che chiamiamo “coscienza”.

A cosa dobbiamo una cosa simile? Perché l’evoluzione ha prodotto piante in possesso di tale magia? Che cosa le rende tanto irresistibili per noi (e per molte altre creature), quando il loro impiego può avere un prezzo molto alto? Qual è la conoscenza offerta da una pianta come la cannabis, e perché è proibita?

In effetti, l’inclinazione umana per le droghe potrebbe essere l’effetto collaterale di due comportamenti adattivi del tutto diversi. Perlomeno è questa la teoria proposta da Steven Pinker nel suo: Come funziona la mente.

Pinker evidenzia come l’evoluzione abbia provvisto il cervello umano di due facoltà (apparentemente) distinte: una capacità superiore di risoluzione dei problemi e un sistema interno di risposte chimiche, tale per cui, quando un individuo compie qualcosa di particolarmente utile o eroico, il suo cervello è inondato di sostanze chimiche che gli procurano benessere. Se mettiamo in relazione la prima facoltà con la seconda, otterremo una creatura che ha capito come usare le piante per far scattare artificialmente il sistema di risposta del cervello.

Non è detto però che farlo sia positivo, Ronald Siegel, esperto di intossicazioni negli animali, dimostrò che gli animali in stato d’ebbrezza a causa delle piante erano più soggetti agli incidenti, più vulnerabili rispetto ai predatori e meno solleciti con la prole.

L’ebbrezza è pericolosa. Ma questo non fa che approfondire il mistero: Perché il desiderio di alterazione della coscienza non si attenua davanti a tanti rischi? O, per dirla in altro modo, perché non si è semplicemente estinto, secondo il criterio della competizione darwiniana (la sopravvivenza del più sobrio)?

I greci compresero che la risposta alle domande sulle sostanze inebrianti (e su molti altri grandi misteri della vita) era sia positiva che negativa. Il vino di Dionisio era un flagello e una benedizione.

Usate con criterio e nel giusto contesto, molte droghe vegetali sono senza dubbio vantaggiose per chi le consuma: ingannare la chimica del cervello può rivelarsi di grande utilità. Il sollievo dal dolore, benedizione di numerose piante psicoattive, è solo l’esempio più ovvio. Piante stimolanti, come il caffè, la coca e il khat, aumentano la capacità di concentrarsi e lavorare. Le tribù amazzoniche assumono droghe particolari che le aiutano nella caccia, aumentando la resistenza, la capacità visiva e la forza.

Ci sono piante psicoattive che rimuovono le inibizioni, stimolano l’impulso sessuale, smorzano o accendono l’aggressività, e calmano le acque della vita sociale. Altre rilassano, aiutano a addormentarsi o a rimanere svegli oppure permettono di sopportare miseria e noia. Tutte queste piante sono, almeno in potenza, strumenti mentali: le persone che sanno come usarle nel modo giusto potrebbero affrontare la vita di tutti i giorni meglio di chi non lo fa.

Recensione a cura di Paolo D’Arpini




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