venerdì 10 febbraio 2023

Discorso aperto sull'alimentazione bioregionale

 


Sin dalla fondazione della Rete Bioregionale  ed  in tutti gli  incontri ho sempre cercato di inserire la comprensione del necessario abbassamento dell’uso carneo nella dieta ecologica, soprattutto in considerazione del  livello di inquinamento e sfruttamento della terra in conseguenza dell’allevamento industriale.

Tra l’alto c’è da considerare che  nell’ecologia “umana”, sulla base degli studi  di anatomia comparata e sulle ricerche fatte sui residui coprologici dei nostri padri, risulta evidente che l’uomo non è assolutamente carnivoro, bensì frugivoro, esattamente come le scimmie antropomorfe ed  i maiali,  significa che i frugivori hanno una alimentazione fondamentalmente senza carne (al massimo un 5 o 10 % di prodotti di origine animale ivi compreso il latte materno), per cui se vogliamo fare un discorso “ecologico” non possiamo prescindere da queste considerazioni.

Vorrei augurare il naturale mantenimento in  vita a tutti gli altri esseri viventi senza  che la loro esistenza debba corrispondere ad una esigenza, intendendo con ciò che anche gli animali hanno pari dignità umana e pur comprendendo il “discorso tecnico”  sulla sostenibilità di allevamenti biologici, e sulla utilità dei prodotti di origine animale, non me la sento di sottoscrivere un discorso prettamente funzionale e giustificato dalla compatibilità ecologica. Vorrei che questo tipo di ragionamenti si sciogliessero al sole di una consapevolezza più ampia, in una convivenza di uomo natura animale in  cui non debba necessariamente esserci una scala gerarchica ed un uso. Anche se un allevamento è eco-compatibile, la parola stessa “allevamento”  -sottintendendo l’utilizzazione degli animali allevati (per non dire “sfruttamento”)  -   non mi sembra una bella parola e non  denota quella giustizia e libertà che noi tutti ci auguriamo per l’esistenza di ognuno di noi, vi pare?

Paolo  D’Arpini




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Questi che seguono sono alcuni dei commenti e lettere ricevute sul tema del vegetarismo e dell’alimentazione bioregionale naturale considerando anche la presenza  sui fondi di piccoli allevamenti autosufficienti:

 Dobbiamo lasciar vivere gli animali sui pascoli liberi ma la realtà deve essere cambiata un pò per volta a partire dai  lagers  zootecnici intensivi… che devono essere chiusi per Politica comunitaria già approvata… e informando i consumatori tutti della necessità di mantenere una dieta frugivora e  quando tutti saranno massimamente  vegetariani… gli animali saranno finalmente liberi di pascolare, limitandoci a prelevare poche quantità di latte e ad utilizzare pelli e carcasse solo dopo la morte naturale (come avviene in India da millenni). Intanto facciamo massima propaganda sulla tossicità dell'abuso di una dieta  carnea e  sulla distruzione del pianeta operata dagli  “Allevamenti intensivi"… e soprattutto fermiamo gli ogm… altrimenti i geni animali ce li metteranno dentro i vegetali… e nessuno si potrà più salvare…
Giuseppe Altieri  

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 “Lo scopo è doppio:

1. riunire intorno ad alcune proposte semplici  sull'agricoltura contadina un intero popolo, quello di chi vive dentro e intorno al mondo bioregionale;
2. fare pressione su stato e regioni (se riusciremo ad avere una sufficiente numero di adesione) per aprire un primo, piccolo, parziale spazio di libertà per chi si riconosce più come contadino che come imprenditore agricolo”. 
Massimo Angelini

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“Non credo che una legge sull'agricoltura contadina  possa eliminare i controlli sanitari da parte di chi esercita un'attività aperta al pubblico o vende i propri prodotti. Quanto al tema degli animali trovo ambiguo il riferimento così preciso a una scelta di vita ecologica, di giustizia e solidarietà se poi si continua a “macellare” animali  
Stefano Panzarasa

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Prendo lo spunto  per fare alcune precisazioni sul concetto di agricoltura e alimentazione bioregionale  naturale, scissa dall’allevamento sia pur biologico. Secondo me è comprensibile che in un piccolo appezzamento agricolo vi siano anche animali a condividere il territorio sia per questioni di pulizia del fondo, sia per la produzione di letame od eventualmente latte, questi animali dovrebbero poter vivere dei soli erbaggi e rimasugli di cucina, in modo che la loro presenza sia realmente in sintonia con il contadino e con il luogo, perciò nell'appezzamento coltivato naturalmente  non dovrebbero essere ammessi allevamenti di animali nutriti a mangime, la qual cosa fuoriuscirebbe da una sistema ecologico di piccola agricoltura.
Alcune galline (od altri volatili) fanno le uova e va bene… (può anche capitare che ogni tanto qualche galletto in più possa essere sacrificato)  se poi  vi sono degli armenti come pecore  e capre occorre limitare il loro numero alle reali possibilità di loro sopravvivenza nutrendosi con i prodotti spontanei del campo,  quindi non credo che vi sarebbero molti agnelli da macellare, forse al massimo uno o due all’anno giusto per Pasqua come si dice…  Se si attuasse questa metodologia semplice e corretta dal punto di vista ecologico ed alimentare, il contadino di fatto ritornerebbe ad una dieta tradizionale mediterranea in cui la carne compare molto raramente sul piatto e questo lo accetto… (anche se continuo a dichiarare che se ne può fare tranquillamente a meno e ve lo confermo essendo stato vegetariano ed in perfetta saluta dal 1973.
Non aggiungo altro e chiudo qui il discorso, per quanto mi riguarda,  inserendo questo pensiero di  Rajendra Pachauri,  presidente del Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima (Ipcc), che in un’intervista al settimanale britannico The Observer ha dichiarato che “dovremmo tutti osservare almeno  un  giorno  vegetariano» alla settimana, se vogliamo contribuire con il nostro comportamento a diminuire le emissioni di gas «di serra» nell’atmosfera”
Ciro Aurigemma.  


Questi e simili temi saranno trattati nel libro di prossima uscita "Alimentazione bioregionale" di Paolo D'Arpini con interventi di vari ecologisti e bioregionalisti.




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