giovedì 1 settembre 2022

Fritjof Capra: "Il punto di svolta" - Ecologia Profonda. La Visione del Mondo come Organismo Complessivo

 


“La nuova visione della realtà è una visione ecologica in un senso che va molto oltre le preoccupazioni immediate della protezione dell’ambiente. Per sottolineare questo significato più profondo dell’ecologia, filosofi e scienziati hanno cominciato a fare una distinzione fra ‘ecologia profonda’ e ‘ambientalismo superficiale’. Mentre l’ambientalismo superficiale è interessato ad un controllo e ad una gestione più efficienti dell’ambiente naturale a beneficio dell’‘uomo’, il movimento dell’ecologia profonda riconosce che l’equilibrio ecologico esige mutamenti profondi nella nostra percezione del ruolo degli esseri umani nell’ecosistema planetario. In breve, esso richiederà una nuova base filosofica e religiosa”.

Fritjof Capra – Il punto di svolta – Ed. Feltrinelli, 1984

Per ‘ambientalismo’ o ‘ecologismo’ si intende l’ideologia e l’insieme delle iniziative politiche finalizzate alla tutela e al miglioramento dell’ambiente naturale.
Sotto la dizione di movimenti ambientalisti o ecologisti vengono invece annoverati anche movimenti sociali, la cui crescita è stata stimolata dalla grave crisi ecologica del nostro pianeta e dalla presa d’atto delle importanti tematiche che hanno raggiunto più diffusamente la coscienza popolare, come la proliferazione dei fitofarmaci chimici e l’uso di energia e di armi nucleari negli anni ’60/’70; le piogge acide negli anni ’80; il buco nell’ozono e la deforestazione negli anni ’90; fino ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale dei nostri giorni.
Per come è conosciuto oggi, l’ambientalismo nasce negli anni ’60 come movimento politico popolare (grassroots movements) in seguito alla pubblicazione di ‘Silent Spring’ (Primavera Silenziosa, 1962) di Rachel Carson. Un libro che è riuscito a dare consapevolezza di massa ai temi ambientali, e che come pochi ha modificato il corso della storia conservando tutta la sua attualità, tanto che l’allora vicepresidente degli Stati Uniti nell’Amministrazione Clinton, Al Gore, in prefazione alla ristampa del 1999, lo definì: “… pietra miliare dell’ambientalismo… prova innegabile di quanto il potere di un’idea possa essere di gran lunga più forte del potere dei politici”.
Con largo anticipo sui tempi l’autrice previde gli effetti letali sull’uomo e sull’ambiente delle tecniche e degli inquinanti impiegati in agricoltura. Grazie all’incisività di quell’opera, fin dagli anni ’70 furono adottati numerosi provvedimenti legislativi in materia di tutela ambientale, tra cui la messa fuori legge del DDT per i suoi micidiali effetti tossici.
Lo scrupoloso rispetto della verità, l’appassionato impegno e il coraggio della Carson - considerata l’ispiratrice del movimento ambientalista - sono serviti da modello nella lotta per la difesa dell’ambiente in tutto il mondo. ‘Silent Spring’ conserva ancora oggi tutta la sua attualità per chi si pone domande sui nostri stili di vita orientati allo sviluppo produttivo e materialistico, dimostrando non solo che esistono soluzioni all’irresponsabile e impudente avvelenamento del pianeta da parte delle industrie chimiche, ma che il lavoro congiunto di ricercatori ed ecologi può suggerire soluzioni alternative basate sulla conoscenza degli organismi viventi.
Nel corso degli ultimi anni il movimento ambientalista si è evoluto e ramificato, confluendo in forze politiche, in associazioni e organizzazioni che, come nel caso di Greenpeace, seguono azioni dirette e non violente per la difesa dell’ambiente globale.
Di fatto ‘movimento ecologista’ è un termine alquanto generico, al punto che il sociologo e ricercatore sociale Mario Diani, adottando la fortunata metafora di ‘arcipelago verde’, colse l’estrema eterogeneità e frammentarietà dei diversi gruppi, che per ideologie e approcci dissimili hanno condotto battaglie spesso dispersive e contraddittorie per i diversi modi di intendere le relazioni tra ‘uomo’ e ‘ambiente’. Quanti hanno studiato la storia e la filosofia del ‘movimento’ hanno potuto individuare correnti variamente distinte in ‘animalismo’, ‘conservazionismo’, ‘ecologia sociale’, ‘liberalismo verde’, ‘ecosocialismo’, ‘ecopacifismo’, ‘econazionalismo’, ‘ecofascismo’, ‘ecoterrorismo’ ed altre ancora, nate dalle diverse sensibilità politiche d’appartenenza.
Nonostante le differenze, la suddivisione del movimento ‘verde’ nei principali filoni del conservazionismo, dell’ecologismo politico e dell’ambientalismo conduce a due branche ben distinte: l’‘ecologia superficiale’ e l’‘ecologia profonda’.
In un post dell’ottobre 2012 l’ecologista e avvocato Fabio Balocco evidenziava la crisi dell’ambientalismo italiano, riferendosi in particolare ad alcuni movimenti e associazioni riconosciute dal Ministero dell’Ambiente, come il WWF e Legambiente. Per lui queste associazioni soffrono di vecchiaia e fanno spesso autogol mostruosi.
“Il movimento ambientalista italiano - scrive Balocco - aderisce da sempre ad una corrente che viene definita ‘ecologia superficiale’. Cos’è l’ecologia superficiale? È, detto molto rozzamente, quel settore dell’ambientalismo che non mette in discussione i fondamenti della nostra società, ma ritiene che alla stessa debbano essere apportati semplici aggiustamenti. Detto altrimenti, l’ecologia superficiale aderisce al cosiddetto ‘sviluppo sostenibile’, locuzione coniata nel 1987 e adottata anche dall’IUCN - The World Conservation Union, cui aderiscono appunto le maggiori associazioni ambientaliste. Quindi, non è necessario mettere in discussione lo sviluppo, ma occorre reindirizzarlo. Ma di ecologia esiste anche un’altra branca, l’‘ecologia profonda’ (definizione coniata da Arne Næss), la quale da sempre invece sostiene che occorre ripensare l’evoluzione della società, che essa non deve necessariamente svilupparsi, ma anzi deve trovare un modus vivendi con la natura di tipo olistico, di interazione e rispetto. L’ecologia profonda mette pertanto in crisi lo sviluppo inteso come necessità, a favore di un altro modello di vita, non più antropocentrico. […]. Del resto, l’ecologia superficiale è un’invenzione di sana pianta che nulla ha a che fare con i padri dell’ambientalismo, come Thoreau, Emerson, Muir, che sicuramente sono più assimilabili ai canoni dell’ecologia profonda. Appare infine altresì chiaro agli occhi di chi è attento alle cose di questo mondo, che non esiste un altro sviluppo diverso da quello attualmente in atto. E che ‘sviluppo sostenibile’ è una contraddizione in termini: o scegli lo ‘sviluppo’ o scegli la ‘sostenibilità’. Delle due l’una, ma ambedue non convivono. Non è pertanto assolutamente strano che chi oggi vuole impegnarsi in campo ambientale non dia la delega ad associazioni che appaiono vecchie nella struttura, contraddittorie ed in ritardo sui tempi”.
Senza addentrarci troppo in dettagli arcinoti, molte di queste associazioni agiscono spesso come gruppi di pressione, puntando sulla salvaguardia di obiettivi specifici o circoscritti a particolari ambiti di interesse, mettendosi a disposizione, in occasione delle competizioni elettorali, per convogliare i voti di associati e simpatizzanti su candidati di partiti o di liste che abbiano dato prova di sensibilità ambientalista.
In un interessante articolo di qualche anno fa, Eduardo Zarelli, sostenitore attivo di decrescita, comunitarismo e bioregionalismo, ricordava che c’è (e come se c’è) una differenza fra attivisti che accettano lo sviluppo industriale e coloro che vi si oppongono, così come osservava nel saggio ‘Deep Ecology and Political Activism’ in cui Bill Devall parla del movimento ambientalista come una “leale opposizione”, e dove si afferma che “la rivoluzione politica non è parte del vocabolario del movimento ecologico profondo a lungo termine”. Riesce però alquanto difficile per un sostenitore dell’ecologia profonda non respingere il paradigma dominante e quelle istituzioni che vogliono perpetuarne i valori. In realtà coloro che mettono al primo posto la Terra sono rivoluzionari, nel senso etimologico del termine: vogliono “ritornare al principio”, unendo il mutamento alla conservazione.
Nel 1973, in continuità con atteggiamenti mentali, pratici e unificatori ravvisati in epoche storiche remote, il filosofo e alpinista norvegese Arne Næss distinse categoricamente l’ecologia in superficiale ‘Shallow Ecology’ e in profonda ‘Deep Ecology’, contribuendo a descriverne le basi teoriche. Mentre la prima espressione assegna alla Natura un valore esclusivamente strumentale o di ‘utlizzo’, la seconda non separa né gli esseri umani, né altra cosa dall’ambiente naturale, e va ben oltre l’analisi superficiale dei problemi ambientali propria della scienza ecologica classica, aprendo ad una visione completa e totalizzante del mondo. Næss afferma il diritto a vivere di tutte le forme di vita come diritto universale che non può essere quantificato, significando come nessuna specie vivente possa beneficiare maggiormente del particolare diritto di vivere e riprodursi più di qualsiasi altre specie. È un’idea per la quale non possiamo operare alcuna scissione ontologica netta nel campo dell’esistenza, un’idea metafisica: ove noi e tutti gli altri esseri siamo solo ‘sfaccettature’ di una singola realtà in svolgimento.
L’approccio del filosofo emerge con chiara evidenza in apertura di ‘Loop’ (Ciclo infinito, 78’, regia di Sjur Paulsen), un film che lo vede da protagonista (già novantaquattrenne), pronto al suo monologo in uno studio di una radio di Oslo. Il film è un’indagine sulla relazione dell’uomo moderno con il nostro tempo, visto attraverso gli occhi di alcune persone dei nostri giorni che hanno scelto l’estremo come stile di vita. Sul fondo nero dello studio si vede solo il volto increspato e sereno di Næss, che in solitudine dichiara: “Diciamo che andiamo ‘fuori’ nella natura, ma io direi che andiamo ‘nella’ natura. Quando vai nella natura selvaggia hai l’opportunità di ascoltare te stesso, di ascoltare la tua anima più profonda: Cosa voglio? Cosa mi piace? Cosa non mi piace? Come può la mia… chiamiamola ‘qualità della vita’ essere mantenuta o migliorata? Non si tratta di beni o di qualità ma di ciò che senti di essere, di come percepisci la vita. Che cosa ci rende felici? E come possiamo averne di più? Esistono delle forze molto potenti nella società che ci vorrebbero indurre a consumare sempre di più, a scoprire cose di cui pensiamo di aver bisogno. Si crea uno stile di vita che non potrà mai appartenere a tutti semplicemente perché in tal modo il mondo andrebbe a rotoli. Invece dovremmo seguire un nostro personale stile di vita in cui cercare di capire di cosa abbiamo veramente bisogno, anziché aspirare a ciò che ci propinano la società o l’economia. Quindi l’essere è molto più importante dell’avere”.
Tale visione viene in qualche modo richiamata anche dall’austriaco Fritjof Capra (1939), fisico e teorico dei sistemi della complessità, nonché autore de ‘Il Tao della Fisica’ (1975). Nel 1997 scrisse: “Il potere del pensiero astratto ci ha condotto a considerare l’ambiente naturale - la trama della vita - come se consistesse di parti separate, che diversi gruppi di interesse possono sfruttare. Inoltre, abbiamo esteso questa visione frammentata alla società umana, dividendola in differenti nazioni, razze, gruppi politici e religiosi. Il fatto di credere che tutte queste parti - in noi stessi, nel nostro ambiente e nella nostra società - siano realmente separate ci ha alienato dalla Natura e dai nostri simili, e ci ha quindi sviliti. Per riconquistare la nostra piena natura umana, dobbiamo riconquistare l’esperienza della connessione con l’intera trama della vita. Questo riconnettersi, ‘religio’ in latino, è la vera essenza del fondamento spirituale dell’ecologia profonda. […]. Per l’ecologia profonda - continua Capra -, la questione globale dei valori è decisiva; è, infatti, la caratteristica centrale che la definisce. […]. È una visione del mondo che riconosce il valore intrinseco delle forme di vita non umana. Tutti gli esseri viventi sono membri di comunità ecologiche legate l’una all’altra in una rete di rapporti di interdipendenza. Quando questa concezione ecologica profonda diventa parte della nostra consapevolezza di ogni giorno, emerge un sistema etico radicalmente nuovo. Oggi la necessità di una tale etica ecologica profonda è urgente, soprattutto nella scienza, dato che gran parte di ciò che fanno gli scienziati non serve a promuovere la vita né a preservarla, ma a distruggerla. […]. Nel contesto dell’ecologia profonda, l’idea che i valori sono insiti in tutto ciò che è parte vivente della Natura, ha le sue basi nell’esperienza ecologica profonda, o spirituale, che la Natura e l’Io sono una cosa sola. Questa dilatazione totale dell’Io fino all’identificazione con la Natura è il fondamento dell’ecologia profonda. […]. Ne consegue che il rapporto fra una percezione ecologica del mondo e un comportamento corrispondente non è un rapporto logico ma psicologico. Dal fatto che siamo parte integrante della trama della vita, la logica non ci conduce a delle regole che ci dicano come dovremmo vivere. Tuttavia, se abbiamo la consapevolezza ecologica profonda, o l’esperienza, di far parte della trama della vita, allora vorremo (e non dovremo) essere inclini ad aver rispetto per tutto ciò che è parte vivente della Natura. In effetti, non possiamo fare a meno di reagire in questo modo”.
Nell’opera ‘Ecologia Profonda. Vivere come se la natura fosse importante’ di Bill Devall e George Sessions (Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989), vengono enunciati alcuni princìpi basilari dell’ecologia profonda con l’invito a tentare di attuare i cambiamenti necessari. Tali princìpi mostrano come l’ecologia profonda ricollochi l’uomo nella giusta armonia con la natura, distinguendosi da quell’ambientalismo convenzionale che, seppur mosso da buone intenzioni, è ancora fermo su istanze utilitaristiche/antropocentriche. Non che l’ecologia di superficie non sia importante, anzi! Può certamente esserlo per determinati interventi che richiedono riscontri immediati nel campo della conservazione, come nel caso dell’istituzione di aree protette, che, tuttavia, restano semplici palliativi protettivi di superficie in chiave antropocentrica, non affrontando la sostanza della questione che necessita, invece, di “quella visione ‘profonda’ della realtà naturale dove l’uomo è un elemento indistinto in un tutto unico, e dove ogni atteggiamento è sempre spontaneamente in armonia con l’altro”.
Quanto sopra viene ribadito anche nella seguente precisazione di Guido Dalla Casa: “Mentre nell’ecologia di superficie la Terra va rispettata perché è di tutte le generazioni presenti e future, nell’ecologia profonda la specie umana non è depositaria né proprietaria di alcunché”.
Per lo scrittore e studioso di ecologia profonda “Oggi abbiamo superato nel mondo i sette miliardi di umani, numero assolutamente intollerabile per l’ecosistema terrestre. Inoltre si estinguono 20-30 specie di viventi ogni giorno, ad un ritmo diecimila volte più grande di quello naturale. Ogni anno scompaiono 100.000 kmq di foreste, ecosistemi ricchissimi di biodiversità. L’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre aumenta di 3 ppm all’anno. Il consumo di territorio è elevatissimo e questo è un problema particolarmente grave in Italia. Oggi l’uomo non si rende neppure conto che sta togliendo lo spazio vitale agli altri esseri senzienti e che la vita della Terra si basa sulle sue capacità omeostatiche, o capacità di autodifendersi dai cambiamenti troppo drastici. Tale capacità del ‘Complesso’ si basa sulla biodiversità, cioè sul grande numero di specie ed ecosistemi in continua interazione reciproca. […]. L’atteggiamento umano di maggioranza nei confronti della ‘Natura’ nasce in sostanza dall’idea di base di esserne al di sopra, o al di fuori, e quindi in grado di manipolare a piacimento tutto quanto ci circonda: manca la percezione di essere un componente di una ‘Entità’ molto più grande, di un ‘Organismo’ che ha le sue necessità vitali”.
Non per altro lo scomparso Edward Goldsmith (del quale abbiamo già parlato su questo mensile nel gennaio 2014), affermava che l’ecologia ha il compito di ‘ri/adattarci’ al mondo reale. Ciò che viene comunemente inteso come ‘progresso’ è la negazione stessa della ‘evoluzione’ all’interno del processo naturale. L’evoluzione va identificata con la ‘Via’, che mantiene l’ordine cruciale e quindi la stabilità dell’ecosfera, mentre il progresso, o antievoluzione, può essere identificato con il comportamento eterotelico che sconvolge l’ordine cruciale pregiudicandone la stabilità.
La civiltà industriale ha chiaramente deciso di scostarsi sistematicamente dalla ‘Via’. Il suo obiettivo primario è lo sviluppo economico o progresso, un’impresa altamente eterotelica che si può realizzare solo sconvolgendo metodicamente l’ordine cruciale dell’ecosfera per sostituirlo con la tecnosfera, organizzazione completamente artificiale che trae le proprie risorse dall’ecosfera scaricandovi i propri rifiuti sempre più voluminosi e tossici.
Con l’avanzato processo di globalizzazione stiamo rapidamente raggiungendo un ‘disclimax’ ecosferico planetario, in cui l’uomo riuscirà effettivamente a cancellare tre miliardi di anni di evoluzione per regalarsi un mondo impoverito e degradato, sempre meno capace di sostenere forme di vita complesse, tra cui l’uomo stesso. Per Goldsmith, ciò che oggi è estremamente auspicabile è un’inversione di quelle politiche che ci stanno inesorabilmente portando alla distruzione.
Pertanto la vera domanda da porsi è se è ancora possibile invertire la rotta. Ma con quali forze, con quali sensibilità e, soprattutto, con quali politiche?
La vera novità è che dopo il NIMBY, i responsabili di numerosi governi e amministrazioni pubbliche hanno generato il NIMTO ‘not in my term of office’, ovvero: ‘non durante il mio mandato’. Un acronimo che svela pratiche sempre più diffuse per giustificare l’inerzia dei decisori attraverso rinvii delle decisioni o il ritiro di accordi sottoscritti, al fine di schivare le responsabilità e rinviarle possibilmente ad altri.
Tuttavia, nonostante l’annunciato ripiegamento degli U.S.A. dall’accordo di Parigi sul clima, che a detta di Trump “impone dei costi in anticipo sugli americani a danno dell’economia e della crescita del lavoro, mentre strappa impegni insignificanti da altri Paesi, come la Cina”, il cammino nella direzione della ‘grande inversione’ tanto auspicata da Goldsmith è già in corso.
La marcia dei ‘consapevoli’, non ancora conformatisi a canoni e a contegni totalmente antropocentrici è lenta, continua e inarrestabile. Come la Storia insegna, queste anime sanno bene che idee e valori, anche se sostenuti da piccole minoranze, potranno produrre nel tempo effetti straordinariamente positivi.
Possiamo a questo punto concludere approfittando della circostanza per proporre un testo dell’indimenticato Tiziano Terzani; un aforisma che, prendendo atto della complessità della nostra condizione nel mondo, evoca una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi: “Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo. Altrimenti saremo solo come la rana del proverbio cinese che, dal fondo del pozzo, guarda in su e crede che quel che vede sia tutto il cielo”.

A cura di Italo Carrarini



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