È quantomeno curioso che nessuno in Italia – né enti istituzionali, né l’Accademia e tantomeno i politici – avvertano l’esigenza di promuovere un momento di riflessione pubblica su quanto è successo in Italia con la comparsa del Covid dai primi del 2020 in poi.
Eppure, tanti sono gli interrogativi sospesi – da come è iniziata l’epidemia alla tempestività e appropriatezza delle misure predisposte – e che oggi tornano ad incombere a fronte dell’incertezza delle prospettive che si profilano al nostro orizzonte. Ci sarà una recrudescenza della pandemia? Quali vaccini dovremo utilizzare? Non dovremmo sviluppare una strategia diversificata? È pronto il nostro sistema sanitario a farvi fronte?
Non sono questioni di scarsa irrilevanza ed è scandaloso che l’informazione debba limitarsi a riportare le esternazioni – spesso strampalate, quando non addirittura ispirate ad una visione catastrofista priva di qualunque fondamento – di un manipolo di esperti, invero conosciuti ormai più per le loro intemerate televisive che per le ricerche che realmente conducono in laboratorio o nei reparti.
Proviamo noi a formulare – quantomeno – le domande fondamentali.
Punto primo: è cambiato non solo il profilo epidemiologico ma anche il quadro clinico, dato che l’attore prevalente è ormai Omicron, parente alla lontana del Sars-CoV-2 che– con le sue varianti principali Alpha e Delta – ha alimentato i primi due anni di epidemia. Omicron – a prescindere dall’efficacia dei vaccini – ha considerevolmente ridotto l’impatto sul sistema sanitario perché, anche se più contagioso, si accompagna ad un ridotto tasso di occupazione dei reparti di medicina e di terapia intensiva.
È infatti istruttivo osservare come – rispetto agli anni precedenti – l’incidenza dei casi positivi, pur permanendo alta, non si accompagni ad un proporzionale aumento né dei decessi né delle terapie intensive (Figura 1).
Figura 1. Tassi di incidenza e di occupazione delle terapie intensive per Covid-19 – Fonte: Il Sole 24 Ore. Dati della John Hopkins University
Il quadro è chiaro: se a fronte di un aumento di diffusione dell’infezione non segue un parallelo incremento nei parametri che misurano l’impatto sul sistema sanitario (terapie intensive, ricoveri ordinari, decessi), questo semplicemente significa che la nuova variante ha perso buona parte della sua patogenicità. Il trend è evidente anche considerando i ricoveri ordinari e l’indice di letalità (numero di morti rispetto al totale delle persone colpite dall’infezione) (Figura 2) e mostra con chiarezza che da quando Omicron è divenuta dominante – fine dicembre 2021 – la pericolosità dell’infezione è significativamente diminuita in Italia, così come negli altri Paesi occidentali. Sottolineiamolo: questo cambiamento non ha niente a che vedere con la vaccinazione (in questo caso lo si sarebbe dovuto rilevare ben prima) e va ascritto unicamente al fatto che la variante Omicron ha preso il sopravvento sulla precedente Delta.
Figura 2. Tassi di letalità per Covid. Da dicembre 2021, parallelamente alla diffusione di Omicron si è registrata una persistente flessione dell’indice di letalità, indipendentemente dal livello di assistenza sanitaria e dal precedente trend epidemiologico dei diversi Paesi occidentali. Fonte: John Hopkins University
Secondo: l’efficacia dei vaccini. Alcuni studi recenti stanno riscrivendo la storia dei vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna), mostrando come la protezione assicurata dal vaccino svanisca progressivamente ed inesorabilmente: intorno alla 15esima settimana cala al 50% e – anche dopo la terza dose – finisce con l’invertirsi intorno al 7°-9° mese. Da questo momento il beneficio diventa negativo: chi si è vaccinato rischia di ammalarsi di più di chi non è vaccinato! Sono questi i risultati incontrovertibili pubblicati sul New England Journal of Medicine[1], su JAMA[2], su BMJ[3]. Ma soprattutto sono dati pubblicati dal nostro Istituto Superiore di Sanità (ISS)[4], che però si guarda bene dal commentarli come dovrebbe.
Eppure, è sufficiente analizzare il diagramma pubblicato dall’ISS: a partire dalla 22esima settimana l’efficacia scende sotto il 50% e intorno alla 26esima si osserva che, soprattutto nella fascia dei cosiddetti “fragili”, chi è vaccinato con doppia dose ha, rispetto ai non vaccinati, circa il 40% di probabilità in più di ammalarsi. Analogo andamento per i vaccinati under 18: anche qui, come rilevato da altri studi[5], la protezione offerta dal vaccino va a zero già alla fine del terzo mese. Sconvolgente. Ed è soprattutto sconvolgente che nessuno ne parli.
Figura 3. Efficacia della doppia vaccinazione con Pfizer in pazienti affetti da Covid-19 (variante Delta). Fonte: ISS (ref. 3)
C’è una spiegazione per tutto questo? Al momento possiamo avanzare solo ipotesi e tra queste non è inverosimile che la reiterazione delle somministrazioni vaccinali possa aver “stressato” il sistema immunitario. Questo è preoccupante, perché non solo espone il vaccinato ad un maggior rischio di infezione da Omicron, ma ne indebolisce la capacità di risposta nei confronti di altre malattie. È peraltro sorprendente che la protezione offerta dall’immunità naturale, quella che sviluppano le persone che guariscono dal Covid, garantisca invece una efficacia superiore dell’85% oltre i nove mesi[6].
Non si capisce quindi perché – contravvenendo alla tradizione millenaria della medicina e alla stessa evidenza sperimentale – si sia voluto vaccinare anche chi era guarito, sostenendo senza prova alcuna che l’immunità naturale non fosse efficace. Assurdità intollerabili[7]. Così come è assurdo il fatto che nessuno parli di cosa succeda in altre parti del mondo: Pfizer e Moderna sono soprattutto utilizzati negli Usa e in Europa. Ma il mondo è ben più grande del nostro euro-centrismo e le alternative ai vaccini promossi da Pfizer e Moderna sono tante. E se si guarda a Paesi che hanno utilizzato vaccini diversi – per lo più “tradizionali” o basati su un mix di proteine virali – dobbiamo costatare che questi hanno ottenuto risultati migliori e ben più duraturi[8]. Soberana, impiegato a Cuba e altri Paesi (Venezuela, Vietnam, Iran e Nicaragua) offre una protezione di circa il 90% stabile per mesi. E così il Covaxin – basato su virus inattivato ed utilizzato prevalentemente in India e in Sudamerica – mostra un’elevata efficacia, stabile oltre i 12 mesi[9]. Domandare ai nostri politici di voler considerare queste alternative – disponibili a prezzi dieci volte inferiori al costo di Pfizer e Moderna e che non richiedono speciali condizioni di conservazione a basse temperature – è chiedere troppo?
Figura 4. Efficacia vaccinale a confronto tra Italia (Pfizer, in prevalenza) e Cuba e India che hanno rispettivamente utilizzato Soberana e Covaxin. Fonte: John Hopkins University
Quest’insieme di dati ha gravemente compromesso il razionale su cui si è fondata la gestione dell’epidemia, esclusivamente basata sulla vaccinazione ad oltranza con i vaccini a mRna. Come è stato rilevato dal responsabile vaccinazioni della Fda, continuare a colpi di “booster ogni tre-sei mesi non è una misura sanitaria ragionevole”[10].
Tanto più che – terzo punto – i dati relativi agli eventi avversi si stanno accumulando in modo preoccupante. La (colpevole) mancata attivazione di un programma di farmacovigilanza attivo impedisce di avere un quadro statistico affidabile, ma molti studi evidenziano come nelle fasce più giovani di popolazione, laddove il beneficio atteso dai vaccini è minimo o inesistente, si registra un incremento di morti cardiache improvvise e miocarditi. In particolare, uno studio condotto dal prestigioso MIT di Boston insieme all’Università di Israele ha calcolato un eccesso di eventi avversi cardiaci di +25% a seguito della vaccinazione negli under 40[11].
Su come gestire queste complicanze nessuno dice nulla, anche se il Virology Journal chiede che vengano sospesi ulteriori richiami vaccinali a fronte delle crescenti conferme di eventi collaterali, non di rado gravi, soprattutto in alcuni gruppi di persone affette da specifiche patologie[12]. Oggi si cominciano a conoscere i meccanismi che spiegano gli eventi avversi, e desta particolare preoccupazione non solo la persistenza della proteina Spike nell’organismo anche a distanza di 4 mesi dalla vaccinazione[13], ma altresì il fatto che in una percentuale non irrilevante di persone (24%) vengano stimolati auto-anticorpi che innescano una deregulation del sistema immunitario[14].
Quarto: la situazione sanitaria sta deragliando pericolosamente. Mancano medici, infermieri ed altro personale. Mentre ci si preoccupa di istruire processi ideologici contro i medici che sollevano dubbi e critiche, la medicina di base e ospedaliera va a rotoli: strutture inutilizzate, reparti chiusi per mancanza di personale, organici non ripianati, abbandono dei pronto soccorso. Chi può fugge all’estero, cercando migliori condizioni di impiego. Da noi si pretende di sostituire i medici con gli infermieri o con i sanitari ucraini che, peraltro, non solo non parlano italiano e non conoscono la realtà del Paese, ma – perfido paradosso! – non sono neanche vaccinati. La preoccupazione degli Ordini professionali, divenuti ormai cinghia di trasmissione del potere politico, è solo quella di censurare e punire che non si adegua ai dogmi governativi.
È per esempio vergognoso che medici vengano perseguitati e sospesi solo per aver richiesto approfondimenti clinici necessari per valutare se il paziente potesse o meno ricevere il vaccino. Altri medici – a migliaia – sono stati sospesi e in alcuni casi radiati solo per essersi appellati ad un diritto costituzionale, per aver dubitato dell’efficacia vaccinale o richiamato l’attenzione sugli eventi avversi. Tutto questo sarà forse normale in Cina, ma da noi dovrebbe essere chiamato dittatura.
È questo il modo di prepararsi alle sfide dell’autunno? Eppure il ministro Speranza si mostra sollecito solo quando si tratta di assicurare la “buona morte” a chi ne fa richiesta, a riprova di come sia più facile morire che vivere nel nostro sfortunato Paese.
Cosa fare? Ce lo dice con chiarezza un recente editoriale di Jama10: lasciamo perdere i vaccini che stanno preparando Pfizer e Moderna. Nasceranno “vecchi”, perché contrastano la variante Omicron che già oggi è stata soppiantata dalla n. 5, e chissà quale sarà quella che incontreremo a settembre. Non ha senso rincorrere le mutazioni del virus, perché l’avversario è sempre un passo avanti a noi. Occorre invece concepire un vaccino integralmente diverso, prodotto con virus attenuato (non basato su mRna), volto a coprire l’intera gamma dei coronavirus, somministrabile per via nasale in modo da stimolare le difese immunitarie delle mucose, essenziali per bloccare l’ingresso del virus.
Sommessamente vorremmo ricordare che tutto questo era stato proposto per tempo (e parzialmente realizzato) da uno scienziato italiano – il dott. Maurizio Federico dell’Istituto Superiore di Sanità[15]. Chissà perché quel progetto è stato bloccato. Così come hanno bloccato altri vaccini italiani e gli studi sulle terapie domiciliari.
Infine: il vaccino è sicuramente un’arma. Ma non l’unica. La medicina potrebbe avere molte frecce al proprio arco se solo la si lasciasse lavorare senza volerla piegare ad interferenze politiche o – peggio – ideologiche. Ecco, vorremmo consigliare a Speranza di occuparsi di codesti argomenti se vuole che la sanità italiana possa affrontare le prossime, inevitabili sfide.
Mariano Bizzarri
https://www.sinistrainrete.info/societa/23631-mariano-bizzarri-covid-i-vaccinati-si-ammalano-piu-degli-altri-cosa-cambia-con-la-scoperta-dell-iss.html
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