mercoledì 26 aprile 2023

Racconto analogico sulla "malattia emozionale"...

 



Come un’idea può generare un’azione, così lo spirito soggiace a tutto il reale.

Un amico si è trovato ammalato. In occasione dell’annuale controllo è emersa l’evidenza di un problema serio che lasciava poco futuro. L’operazione d’urgenza pare abbia scongiurato il peggio. Ora sta bene.

Me ne ha parlato dopo tempo, non ci eravamo più visti. Era rimasto sorpreso dell’inatteso evento maligno. Non aveva mai avuto nulla, non prendeva medicine, aveva uno stile di vita salubre per attività motoria e alimentare. Non aveva dipendenze da sostanze. Come da protocollo scientista, pareva essere nelle condizioni ideali per scansare il male.

Dopo averlo ascoltato, abbiamo parlato.

  • Nestore, nel tuo passato ci sono stati momenti di odio o di rancore?

Seppur sorpreso della domanda, ci ha pensato un momento e poi l’ho visto scosso da un leggero fremito.

  • Effettivamente ho avuto per diversi anni un forte attrito con la mia ex-moglie. Mi ero innamorato di un’altra donna e l’ho lasciata. Lei non me lo perdonava. Sono stati anni pesanti. Di avvocati, litigi e rancore permanente. Ancora ora, nonostante siano trascorse molte stagioni da quell’epoca, la questione è presente. Sono molti anni che non la vedo, nonostante i miei figli avuti con lei continuino a chiedermi di lasciar perdere, di andarla a trovare che si è ammalata. Ma io non ci riesco.

  • Come un’idea può generare un’azione, così lo spirito soggiace a tutto il reale.

  • Cosa intendi dire?

  • Era solo una metafora per alludere alla logica che ciò che esiste, ciò che chiamiamo realtà non è che la fioritura concreta di una inseminazione sottile, metafisica, spirituale. Se non sei un replicante, un duplicatore dell’esistente, per creare un tavolo serve prima l’idea di quel tavolo, che a sua volta rifletterà la tua condizione profonda.

  • Continua, non so se capisco bene.

  • Come nell’iperuranio platonico – ma non solo – le idee ci sono già tutte, esse sono l’origine del mondo. Ognuno di noi ne pesca qualcuna, credendo poi sia nostra proprietà e merito. Tuttavia, ciò che cogliamo dall’infinito corrisponde, riflette la nostra condizione di equilibrio e armonia, pazzia o presunta indipendenza.

  • Ti seguo, ma non fino in fondo. Per esempio, che significa pazzia o presunta indipendenza?

  • Credere di essere proprietari di se stessi, di coincidere con il proprio io, di essere separati e indipendenti dal cosmo e dall’infinito, quindi anche vantare agnosticismo o, al contrario, un dio esterno a noi, cioè vivere in un’emozione egocentrica-dipendente, comporta e alimenta un’evoluzione ad alto rischio di distanza dall’armonia e dall’equilibrio. È il pretesto di una vulnerabilità a noi ignota, che a un certo punto può presentarsi in forma fisica.

  • Ma questo cosa c’entra?

  • Vivere a pieno titolo un sentimento e un’emozione, ritenere perciò di doversi comportare di conseguenza, essere definitivamente quel sentimento e quell’emozione allontana dalla migliore condizione di vita, dalla serenità, dalla benevolenza e avvicina invece la peggiore, l’intolleranza, la rivalsa, la vendetta. Nella prima l’energia scorre libera, nella seconda si inceppa e si annoda.

  • Ma non puoi eliminare sentimenti ed emozioni.

  • Certo che no. Puoi però arrivare a riconoscere come ci dominano e quindi come fare per viverli senza identificarci in essi.

  • Dunque, in quella che chiami migliore condizione di vita, in cui non ne siamo dominati, si crea salute, e nella seconda malattia? È questo che vuoi dire?

  • Nientemeno. Come nella prima, nella migliore condizione, peschiamo dal tutto certe idee ad essa congrue, ugualmente accade per la seconda, la peggiore. Tutte le azioni di violenza compiuta o concepita – questioni di sopravvivenza a parte – hanno questa base. Ma anche quelle di esaltazione, a mezzo delle quali attribuiamo a noi stessi il diritto e il merito assoluto di esserne gli autori e detentori. Viene in mente Gibran, che nel suo Il profeta ci faceva presente che anche i figli non sono di chi li fa.

  • Però la vendetta riporta l’equilibrio. Anche in questo caso si possono elencare diverse tradizioni sapienziali. È così nell’islam, nell’ebraismo, in molti codici ancestrali di comportamento, dal Codice Hammurabi in qua.

  • È vero. Ma è anche vero che alimenta il ciclo del conflitto. Esattamente quello che mantiene il male in noi. La vendetta è come un intervento chirurgico o farmacologico, per definizione superficiale, materiale. Infatti, è da tenere presente che entrambi possono liberarci dal problema contingente, ma non possono nulla nei confronti delle cause profonde. L’energia fisica è la più semplice da perdere e da recuperare. Le vere cause sono invece accessibili attraverso la consapevolezza di noi stessi. Significa che senza questa, ovvero senza lo scioglimento dei nodi energetici, il problema tenderà a ripresentarsi, in quanto la loro azione perdurerà e il problema fisico potrà ripresentarsi nuovamente, ed eventualmente in forma differente.

  • E perciò?

  • Perciò vivere lungamente il rancore e l’odio tende a generare malesseri e malattie quali risultanze di quella condizione di energia arrovellata.

  • Era qui che volevi arrivare?

  • Sì. Ma senza dare per certo questa evoluzione, perché non c’è alcun monopolio della concezione meccanicista della vita, perché in contesto sottile si parla di tendenza e di qui ed ora, non di causa-effetto. Quando scopri la ragione metafisica del problema fisico, puoi mettere in moto un’azione terapeutica altrimenti inaccessibile. Solo tornando su certe dinamiche passate, unendo i puntini che prima non consideravi, è possibile riconoscere in che termini è vero che siamo il prodotto del nostro spirito. Solo a quel punto sarà possibile ricapitolare il passato, prenderne le distanze, realizzare il perdono, riconoscere il proprio sé e far riprendere lo scorrimento dell’energia, che l’io, l’orgoglio, l’egocentrismo avevano inceppato.

  • In sostanza, dici che c’è relazione tra sentimenti e stato fisico?

  • Sì. Lo si può constatare quotidianamente, senza arrivare davanti a un problema serio. Per esempio, osservando come ad ogni amarezza, tristezza, risentimento, tutte condizioni di una depressione fisica, corrisponda una nostra certa interpretazione dell’evento.

  • Già. Ricordo come in passato me la prendevo per questioni di cui ora rido. Tutto è identico a prima, tranne la mia interpretazione.

  • Infatti, non si tratta di non avere più né sentimenti né emozioni. Semmai di non riconoscersi più in essi, che come fluidi sciamanti semplicemente ci attraversano. Sentimenti ed emozioni sono gli stessi per tutti gli esseri umani della storia. Sono forze sottili che entrano in noi e ci posseggono, quantomeno finché non prendiamo coscienza che credersi il proprio io è esattamente la causa della loro alimentazione. Se tutta la nostra energia viene devoluta a mantenere l’io, tutto il potere di realizzare la miglior vita possibile va perduto. E, come detto, se queste forze si annodano in noi per orgoglio e vanità, cavalli di troia dell’io, le conseguenze fisiche tendono ad esprimersi in malesseri e malattie.

  • Anche in questo senso siamo perciò l’espressione fisica dello spirito?

  • Certo. Ma manca ancora un punto.

  • Dimmi.

  • Il punto è sostanziale. Non è possibile sciogliere ciò che ha causato i problemi, se il nostro intento è nuovamente egoico e personale.

  • E come potrebbe essere?

  • Se per andare oltre ciò che ha generato il conflitto è necessario prendere le distanze dai sentimenti con i quali ci identificavamo, significa anche che ci assumiamo la responsabilità di quanto abbiamo vissuto.

  • Non ti seguo.

  • Quanto viviamo dipende dalla nostra presenza e interpretazione dei cosiddetti fatti. In questo senso ogni nostra condizione è merito nostro. Ma non era solo qui che volevo arrivare.

  • Prosegui.

  • Assumersi la responsabilità di tutto implica la consapevolezza di riconoscere l’identicità degli uomini, le forze che muovono tutti noi e così la ragione del bene e del male che realizziamo. Avvedersi della reciprocità alza il tasso di tolleranza personale, ovvero riduce il rischio di blocchi energetici, alzando contemporaneamente quello della serenità. La reciprocità è accettazione.

  • In altre parole? Non si può, certe volte, non reagire.

  • Significa che finché non ci liberiamo dal criterio dell’interesse personale, finché non diveniamo l’umanità tutta, tutto il dolore che vive, restiamo preda del male, non possiamo realizzare il bene. Certo che non si può non reagire certe volte. Si tratta di ridurre i casi in cui perdiamo il controllo o ci arrocchiamo su posizioni fino al noto arrampicarsi sugli specchi.

  • Sì, posso capire. Forse andrò a trovare la mia ex-moglie.

  • Se arriverai al punto in cui verrà l’idea che visitare la tua prima moglie ti possa essere utile, ti faccio presente che non stanno così le cose. Attraverso il movente dell’interesse personale non si compie il salto evolutivo, non si rimuovono le forze che hanno causato l’inconveniente. L’energia dell’egoismo lo impedisce. Il bene per sé non è bene. Esso alimenta il male che già è presente nel mondo. La forza contraria, il vero bene, si diffonde solo agendo cristicamente, per incondizionato amore. Dunque, finché non sarai evoluto fino al punto di recarti da lei senza bisogno di coraggio, la magia non accadrà. Andare senza pretendere nulla in cambio, anzi donando e chiedendo perdono, comporterà che il tuo potere si unirà al bene del mondo a favore di tutti, te incluso. E non è necessario andare da lei, se lei non lo volesse o non se lo aspettasse, basta il perdono, che non è una parola ma un sentimento di leggerezza e bellezza.

  • Non è come dirlo.

  • No. È vero, non è come dirlo. Serve dedizione incondizionata e imperitura. La terapia sottile, endogena ha un potere relativo alla motivazione che, in questo caso, è opportuno chiamare incarnazione della consapevolezza di essere espressione dell’uno, di essere un’emanazione dell’energia universale. Quando questa è massima, ovvero quando non è più solo capita, intellettualizzata, ma si esprime nel nostro fare ordinario, realizza il suo massimo potere. Il quale però deve comunque confrontarsi con la realizzazione materiale del male, del malessere, della malattia. Significa che quanto più questa è avanzata, ha preso piede in noi, tanta più energia ricreativa sarà necessaria. Vedere la sua spinta, osservarla in sé, nel prossimo e nelle relazioni implica la sua esistenza, come anche constatarne l’andamento positivo o negativo. Avere consapevolezza di qualcosa non significa non contraddirla mai. Il santo non è l’uomo perfetto, ma l’uomo che ha chiari i suoi punti di vulnerabilità e di forza, nonché appunto la loro stabilità o oscillazione. Il santo è semplicemente un uomo compiuto, quello che Nietzsche chiamava Übermensch, Oltreuomo.

  • Non stai volando troppo alto?

  • Sì, se si guarda la storia. No, se si guarda il potere creativo degli uomini. Tutte le tradizioni sapienziali si dedicano a quest’ultimo dopo aver constatato la condizione umana. Tra l’altro, queste note evolutive, sebbene in forma differente, ovvero secondo la cultura che le ha elaborate, sono sostanzialmente identiche in tutto il mondo, dallo zen al buddhismo, dall’induismo allo zoroastrismo, dall’alchimia al pitagorismo, dalla qabalah a certa filosofia occidentale, dal cristianesimo allo sciamanesimo siberiano, dagli uomini di medicina al nagualismo. Tutti riferiscono dei poteri umani. Tutti si dedicano al male, al fine di riconoscerne l’origine e di scoprire come non farsi dominare da esso. Il perdono, l’accettazione, l’amore incondizionato sono dunque la forza maggiore di liberazione dal male, così come la loro assenza in noi quella di dominio del male. È la via cristica, quella per il bene dell’umanità tutta, quella che vive il male di ognuno.

  • Non avevo mai pensato a questi aspetti sottili, come dici tu. E visto come si sono svolte le cose – parlo dell’astio, intolleranza, odio nei confronti della mia prima consorte, nonché dell’improvvisa creatura che si è formata in me, senza apparente ragione – e che il maligno potrebbe ripresentarsi, voglio riflettere su quanto ci siamo detti. Poi la parte del male e del bene di tutti mi sembra davvero la presenza del trascendente. Forse è in questa dimensione che si trova la fede e la sua forza.

Passare una sofferenza, essere contenti per averla scampata, apprezzare la vita senza aver compreso e attribuito il male sofferto alla propria biografia è un’esperienza egoica e come tale inutile all’evoluzione. Ma utile allo status quo in cui versiamo.

Lorenzo Merlo 









“Qualcosa è nascosto. Vai e trovalo.

Vai e guarda dietro ai monti.

Qualcosa è perso dietro ai monti. È perso e aspetta te.

Vai!”


Rudyard Kipling, L’esploratore

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