Qualche bioregionalista di scuola americana insiste nel dire che si può tranquillamente continuare a mangiar carne e definirsi egualmente ecologista, poiché la carne è cibo per l'uomo da tempo immemorabile. Forse l'uomo preistorico e gli aborigeni che potevano sostenersi solo con la caccia avranno avuto una qualche ragione a considerarsi in armonia con la natura, poiché il loro "cacciare" teneva sempre conto del mantenimento della vita selvatica. Ma oggi? Con l'aumento spropositato della popolazione e con la spinta verso il carnivorismo della società dei consumi (e conseguente avanzamento di sistemi industriali inquinanti preposti alla produzione di foraggio per gli animali d'allevamento) non si può più affermare che "mangiar carne sia una abitudine in sintonia con l'ecologia e con l'idea bioregionale".
Tanto per dirne qualcuna...
Secondo il Meat Atlas, ingenti somme di denaro vengono versate nelle casse delle grandi multinazionali del settore agroalimentare e zootecnico per incentivare la produzione di prodotti che, nella sostanza, , oltre ad essere causa di terribili sofferenze degli animali negli allevamenti intensivi, danneggiano la salute, l’ambiente e l’economia del paese.
Il settore bovino ha ricevuto 18 miliardi di dollari, l’industria del latte 15,3 miliardi e l’industria della carne di maiale 7,3 miliardi: questi sono solo i sussidi diretti versati agli agricoltori nei paesi OCSE (per animali e mangimi) e che non tengono conto dei molti altri finanziamenti come riduzione delle aliquote fiscali, di trasporto e spedizione, di miglioramento delle infrastrutture ecc.
I soldi vengono elargiti attraverso due tipi di sussidi: diretti, a chi alleva animali di un certo tipo, o produce un certo prodotto animale; e sovvenzioni a chi coltiva mangimi per animali. Poi ci sono i sussidi chiamati “interventi” il cui scopo è favorire la domanda di un determinato prodotto animale.
I tipi di intervento finanziario servono a favorire:
– l’esportazione di un dato prodotto fuori dall’UE;
– stoccare il surplus di un dato prodotto in modo che al produttore sia sempre garantito un guadagno;
– campagne pubblicitarie in modo che aumentino le vendite di quel prodotto.
Oltre a tutto questo, quando si verificano epidemie o altri gravi problemi di ordine sanitario (BSE, influenza aviaria, febbre suina, ecc.), gli allevatori vengono ampiamente risarciti, mentre i problemi sono causati proprio dai metodi di allevamento negli allevamenti industriali, che hanno come scopo solo il profitto, a discapito del benessere degli animali. Paradossalmente, i colpevoli di questo stato di cose vengono premiati anziché essere puniti.
Nel 1999 il 23% della spesa annua dell’Unione Europea è servita a sovvenzionare il settore della carne e del latte, mentre il 44,2% del sostegno è stato destinato alle coltivazioni di mangimi: cereali, semi oleosi, proteaginose ecc. Dal dossier “The livestock industry and climate – EU makes bad worse”, compilato dall’allora europarlamentare svedese Jens Holm, risulta che il totale dei sussidi diretti all’industria zootecnica da parte dell’UE nel 2007 è di circa 3,5 miliardi di euro.
In pratica, il guadagno degli allevatori e degli agricoltori viene solo dalle sovvenzioni: infatti nell’industria il guadagno è mediamente del 30% sul Prodotto Lordo Vendibile, e dal momento che le sovvenzioni ad allevatori e agricoltori superano di gran lunga questa cifra, vuol dire che la differenza la pagano i cittadini. Inoltre, le sovvenzioni sono distribuite “a pioggia”, e questo avvantaggia solo i grandi produttori non i piccoli.
Poi c’è il problema dello smaltimento degli scarti che in Italia si stima sia intorno ai 150 milioni di euro l’anno, a cui vanno aggiunte le spese dei circa 800 mila esami necessari su tutti i bovini portati al macello, il cui costo è stato stimato in 75 milioni di euro.
Al danno della spesa che grava anche su coloro che non consumano prodotti animali è necessario aggiungere l’iperbolica cifra della spesa sanitaria necessaria a curare le patologie derivanti dal consumo di questi prodotti. 130 miliardi di euro costa alla popolazione italiana la cattiva salute dovuta alla cattiva alimentazione e il cattivo stile di vita. Il 17,6% è assorbito dalla spesa farmaceutica per un costo complessivo a testa di circa 1650 euro l’anno, oltre a diversi miliardi di prestazioni sanitarie, circa 22 a testa, oltre 12 milioni di ricoveri per un totale di 76 milioni di giornate di degenza, cioè giornate lavorative perse.
Paolo D'Arpini e Franco Libero Manco
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