martedì 26 marzo 2024

Realtà o apparizione?

 


Qualche nota dedicata all’avvento della realtà. Considerazioni la cui natura non è morale, ideologica, politica, cognitiva, né intellettuale, ma cristica. Cioè da incarnare al fine di riconoscerla così come ora riconosciamo altro. Capire non basta. Ricreare è necessario.


Stato

Quando avviene il pensiero, ne segue il mondo. La contiguità è così stretta e pertinente che non vediamo la successione dei due elementi – prima il pensiero e poi il mondo – ma uno solo, che chiamiamo realtà, e spesso, pure oggettiva.


L’assenza di consapevolezza dell’apparizione del mondo, successiva e relativa a quella del pensiero, interessa tutti i momenti della vita. Che, in questo caso, è sinonimo di un unico filo rosso in cui tutto quello che accade è creduto la realtà, in cui la realtà ci viene incontro o, come fosse uno spazio, ci entriamo, spostandoci da un punto al successivo, alla stregua di una visita museale.

Ognuno ha il suo filo rosso. In tutti questi è contenuta la specifica realtà del presunto diritto universale di difendere la propria sagoletta. In nome di ciò si arriva ad utilizzare qualunque strumento e arma. Ed eccoci al conflitto garantito. Nonché appesi per il collo a qualsivoglia dipendenza, dogma, convinzione, buon senso e consuetudine.


Potrebbe bastare osservare l’insorgenza del filo rosso, la sua identificazione con la realtà, e i conseguenti odi e amori, per far tacere il dilemma del giusto e del vero. Per evidenziare che questi insorgono dall’inconsapevolezza che scambiamo i pensieri per realtà, in quanto è identificandoci ad essi che, tanto inconsapevolmente quanto autoreferenzialmente, creiamo il vero, il giusto e i loro opposti, secondo il dogmatico diritto egoico del filo rosso. Nonché, contemporaneamente, il conflitto con chi non li condivide, mai considerato di pari dignità a noi. Indipendentemente dal contenuto della nostra realtà, cioè dall’opacità o splendore del filo rosso.


Potrebbe bastare avvedersi dell’apparizione della realtà istantaneamente generata dal pensiero, per avviare un’autoeducazione che sia un freno all’insensatezza endemica della cosiddetta realtà oggettiva. A mezzo della quale sgomitiamo per avere più degli altri, o per mettere in bolla i problemi del mondo. In ambo i casi senza dedicare valore ai rispettivi danni collaterali, considerati parte fisiologica della realtà in corso.


Potrebbe bastare prendere coscienza di tutto ciò, per riconoscere che, alla faccia della nostra buona volontà, non smussiamo né accomodiamo i conflitti, ma li generiamo e alimentiamo. La burrasca, ovvero quello stato delle cose ontologicamente privo di calma, di piano e di bolla, è un cromosoma del filo rosso con cui inseminiamo la cultura.


Ricerca

Avvedersi dell’insorgenza dei pensieri e di come ci trascinino entro il flusso che chiamiamo realtà, è necessario all’evoluzione individuale. Assistere a quanto prima ci sfuggiva, è smascherare l’equivoco che ci faceva credere di essere in diritto superiore a colui che del nostro filo rosso non sa che farsene. Attaccamento, importanza personale, perdizione, sono tre formule identiche e sinonimi di filo rosso che non vediamo.


Se si pongono i pensieri al pari delle onde, diventa forse facile e accettabile vedere che è il mare della mente a mostrarci e a farci credere in una realtà o in un'altra. A mostrarci che la quieta superficie corrisponde all’assenza di pensieri, o alla consapevolezza che essi non sono che arbitrarie e superficiali increspature, che nulla hanno a che fare con la conoscenza della natura che le esprime.

Maretta e burrasca non creano danni, quando disponiamo del piroscafo adatto per navigarle, ovvero alla consapevolezza che, se le passioni fanno parte della storia e di noi, soltanto spogliandole del diritto di sopruso – che rivendicavamo forti dell’inconsapevolezza del miracolo pensiero-realtà –, permettono a noi e al nostro prossimo di arrivare alla quiete del porto.


Prima che tutto abbia inizio

Non è tutto. Rispetto all’insorgenza del pensiero-realtà, c’è un ambiente ancora più nascosto a noi stessi. Il pensiero quando è colto dalla coscienza, ha carattere volitivo. Cioè diviene un oggetto della razionalità. L’intera metafisica è un universo composto da questo genere di materiale, mai universale, sempre storico. Sempre insufficiente se non inetto a svelare dio, l’anima, la vita. Emanuele Severino applica alla storia dell’Occidente, e al suo pensiero metafisico incluso, il titolo di folle (1).


La filosofia è tronfia di sé. Pensa che il suo esclusivo e superiore universo possa contenere tutto. Ma essa non si avvede che non può che esistere entro il ristretto ambito logico-razionale. Per questo si è costretti a parlare di ambiente ancora più nascosto. Lo è in quanto razionalmente e logicamente non rappresentabile. Il che non significa non esista, ma solo che gli strumenti metafisici, eccellenti nella critica intellettuale, analitica e duale, sono del tutto inadatti.

È infatti un’indagine che appartiene alla magia che tutti gli uomini, ripuliti dalla mota della falsa conoscenza tecno-analitica dispongono. È il segreto del pre-pensiero, l’entità che, in un atto magico, informa di sé il pensiero, a cui affidiamo la realizzazione della realtà. Esso è la nuce del miglior successo possibile quando corrisponde al positivo – lo faccio – e del peggiore se al negativo: non ce la farò.


L’esito non è il successo o l’insuccesso, ma l’energia a disposizione da dedicare al progetto, o da scialacquare in autoindulgenza, recriminazioni, attribuzione di responsabilità. Un esito da non intendere positivisticamente, ma evolutivamente.

Lorenzo Merlo





Nota

  1. https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/06/Emanuele-Severino-Heidegger-e-la-metafisica-classica--bc95c5b2-2079-401a-b883-04dd6761d0c2.html

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