Cultura è una parola con più significati. In origine indicava il processo di coltivazione del sapere per farlo crescere e dar frutti. Poi, per brama di conservazione dello status esistente da parte di alcuni, per pigrizia da parte di altri, questo termine ha mutato significato e per cultura s'è inteso l'insieme di conoscenze e pratiche acquisite da un popolo e poi mantenutesi. Per l'appunto la cultura ch'è celebrata oggi è come pianta secca, infruttifera da tempo. Poiché nessuno lavora per darle nuova linfa.
Ad esempio i tanto celebrati padri fondatori della "repubblica" italiana espressero nella costituzione l'apice della loro cultura. Ed oggi vengono ancora osannati senza mai analizzare il loro operato, rimanendo così tutti noi al già basso livello culturale di allora, mai potendolo superare con nuove prese di coscienza. Eppure queste urgono ogni giorno di più, perché i madornali errori contenuti nella nostra costituzione ci sprofondano in situazioni sempre peggiori. Non bisogna addentrarci molto in questo vecchio testo, perché l'inesattezza che ha virato storto ogni anno della nostra vita, si trova nelle sue prime cinque lapidarie parole: "L'Italia è una Repubblica..."
Vien da piangere a veder sintetizzata in questa frase una tale assenza di conoscenza della grammatica politica e dell'abc della vita umana. Perché un Paese può possedere, può esser dotato di, può avere una Repubblica ma non esserlo. Pena la prigionia di tutti noi esseri umani e nostri beni all'interno d'un calderone comunitario che priva ognuno di libertà individuali fondamentali.
Scrivendo l' "Italia è una Repubblica" (res publica nella lingua d'origine del termine, il quale chiaro significato ci fa meglio comprendere come stanno le cose) si è stabilito che tutto ciò che è contenuto nel nostro Paese, noi stessi e le nostre proprietà, sono parte d'una comproprietà collettiva. Non più rispettivo patrimonio d'ognuno bensì possedimento d'uno stato tiranno e despota.
L'espressione esatta, che avrebbe donato pace e radiosità alla vita d'ognuno ed avrebbe evitato tante tragedie durante i tre quarti di secolo dalla stesura della costituzione, è: "L'Italia è un Paese dotato d'una Res Publica e d'una Res Privata". Alla quale frase sarebbero subito dovute seguire queste altre parole: "La Res Publica va condivisa, la Res Privata va rispettata".
Ragioniamo?
Una società è un insieme di individui che accettano di unirsi allo scopo di darsi manforte e divenir qualcosa di più grande e migliore di quanto possibile ad ognuno da solo. Una società deve rafforzare l'individuo, non indebolirlo. Altrimenti si spezza il legame che ci unisce e la società si sfalda. Non esprimendo per bene la differenza e necessaria distanza tra pubblico e privato, la costituzione ha generato una serie ininterrotta di problemi che ancor oggi fan sì che tutto proceda in modo sbagliato.
Impedendo ad ogni ben fatto di comparire.
Un esempio mastodontico è la tradizionale volontà pollitica di far svolgere il ruolo di garante del reddito al settore privato, che invece ha ben altra funzione ed indole, mentre il pubblico, la Res Publica, entità perfetta per questa esigenza, rimane proprietà di una casta di assunti a vita, burocrati, carrieristi di monarchica memoria ed origine. E' la comproprietà collettiva che deve essere aperta a chiunque voglia accedervi e contribuire, certo dotandosi dei requisiti indispensabili al ruolo. Al contrario son settantacinque anni che si procede in modo capovolto, stravolgendo e rovinando ogni rapporto, personale e sociale. Perfino costruendo un sistema criminale (quello del voto di scambio tale è stato ed è) pur di non far la cosa giusta e dovuta.
Dite!
Ci sarebbero mai stati atti violenti e ribellioni contro lo stato (monarchico) se questo si fosse fatto da parte e fosse stata istituita una vera Repubblica (una centralità davvero pubblica, aperta e partecipata grazie ad assunzioni rigorosamente a tempo determinato) come richiesto da Democrazia? E quanta criminalità e mafia in meno ci sarebbero state se l'Italia fosse davvero avanzata alla caduta della monarchia e non rimasta pressoché eguale, se il patto che ci univa fosse stato scritto con coscienza di quanto si stava costruendo? Un giorno, quando diverrà redditizio trattare quest'oggi reietto argomento, sortiranno dal nulla moltitudini di risvegliati intellettuali, ricercatori, scrittori puntualizzanti una ad una ogni triste conseguenza della improvvida frase con la quale s'avvia la nostra costituzione. Ma intanto noi, oggi, diamoci da fare per porre subito rimedio.
L'Italia gode di una Res Publica la quale, appunto perché proprietà comune, può essere concessa soltanto a tempo determinato. Ogni cittadino italiano è Socio Paritario della Repubblica e nessuno si può permettere di dir ad un altro: io sono lo stato e tu non conti nulla. Si apra subito la Banca del Pubblico Impiego, dove ognuno possa iscriversi e prenotarsi, contestualmente comunicando il licenziamento ad ogni assunto a vita, ad ogni prepotente burocrate, ad ogni presuntuoso carrierista. E' tempo che il caos, la confusione, finiscano e s'avvii un'epoca del tutto nuova: nella quale ognuno possa vivere lieto e sereno grazie al fatto che il significato delle parole (oggi dottamente travisato dai baroni della squola) viene onorato e con esse rispettato ogni umano.
Godendo di una Repubblica che tenga fede al suo significato, poggiando il potere legislativo non più sulla monolitica struttura di potere che resse imperatori, monarchi e duci, bensì su una dinamica struttura aperta ai cittadini, la stessa Reprivata sarà, sì, libera di svolgere la sua funzione ma non s'azzarderà più a sopraffare gli esseri umani ed il Pianeta.
Facendo chiarezza ed uniti da un nuovo patto sociale ben concepito, da una Costituzione degna delle necessità individuali e collettive d'un popolo, non mancherà nulla a nessuno e nessuno più potrà schiacciare altri. Vivere bene, facendo le cose per bene, non solo è possibile ma, per degli esseri che tanto fanno vanto d'essere pensanti, un atto semplicemente naturale. Avanziamo dunque oggi. Siamo grandi.
Danilo D'Antonio - Monti dell'Evoluzione
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