giovedì 7 marzo 2019

Identità dei luoghi e delle persone - Ultima risorsa bioregionale



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Il liquame baumiano ha invaso i solchi delle valli in cui abitavano le tradizioni. Luoghi dove gli animi individuali si realizzavano secondo il loro talento. La globalizzazione ha ridotto distinguo e differenze, quindi le identità. Prima secondo quelle dei poli industriali che come gorghi hanno risucchiato gli uomini dalle terre, ora secondo le democratiche leggi della flessibilità, spostati per necessità tecnica, come una chiave inglese. 

Salvo le navi degli armatori che solcano ora soddisfatti quelli che una volta erano i confini, tutti arraffiamo brandelli di detriti per mantenere il galleggiamento. Ci ricorderemo solo poi che cosa significa vivere inseguendo i benefit e dimenticando le radici, la terra, i ritmi della natura.

Il culto della specializzazione fondato sul sapere analitico-cognitivo non implica, tantomeno prevede, la realizzazione del sé delle persone. Piuttosto la distribuzione di individui in luoghi tecnocraticamente corretti ma realizzativamente alienanti.

Nell’inconsapevole si salvi chi può, come prima era business is business ora, senza soluzione di continuità, si è passati alla libera applicazione di mors tua vita mea.

Come non ha più senso – se mai ne avesse avuto – occuparsi e preoccuparsi localmente dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, così è per le economie locali, siano comuni, regioni, stati.

Il debito – come l’ossido di zolfo o di azoto, gli idrocarburi, il metano, il monossido di carbonio, l’anidride carbonica, l’ammoniaca, il protossido d'azoto, le polveri sospese, i metalli pesanti e i composti organoclorurati (diossine, PCB, ecc.) pervade tutti gli estratti conto del mondo istituzionale e non solo. Secondo gli economisti esso è considerato elemento strutturale del sistema economico. La loro conclusione è – da loro stessi – considerata esaustiva: senza debito non c’è progresso. Ovvero, nessuno può farcela da solo. 

Evidentemente quanto l’opulente consumismo ha prodotto nelle carni e negli spiriti, per loro, non è cosa spregevole, anzi.

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L’opera degli amministratori non può limitarsi al rispetto della costituzione, ai diritti delle persone, alla realizzazione dei servizi primari e secondari. Nei loro bilanci la voce dedicata al pagamento dei prestiti è un falso in atto pubblico. La corretta dizione dovrebbe essere pagamento del tasso d’interesse dei prestiti. Si danno da fare e alcuni anche virtuosamente, ma in sostanza – come non possiamo liberare il nostro cielo dall’ossido di zolfo – il prestito non è estinguibile.

Salvo non si cambi la concezione della vita, da fatto economico a umano, tanto i debiti, i cieli, i mari e via con tutta la catena che non esclude alcuna – leggasi alcuna – espressione materiale e spirituale della natura umana, animale, minerale, vegetale il ciclo mostruoso che siamo un passo alla volta arrivati a realizzare non avrà ragione di fermare la sua psicotica corsa.

Tutte le amministrazioni, mentre lavorano per onorare il debito, ne stringono il vincolo e ogni vignettista potrebbe tracciare le linee di un cappio al collo o di un guinzaglio. Significa che chiunque possa portare ossigeno ai letti della corsia delle amministrazioni istituzionali ne detiene il 51%, il diritto di veto o di vita. Ne detiene il mercato, il potere, la comunicazione. Detiene anche l’ombra entro cui restare. Angolo oscuro dal quale butta come ai piccioni briciole, di volta in volta opportune per distrarre anche quelli col sangue più freddo. Socio-filologi in grado di portare i loro fasci di luce in quei nascondigli del comando. Ma anche loro necessariamente resi incerti dal proliferare di comunicazioni differenti che – come nello shopping forzato – impediscono di non cadere in scelte compulsive.

Se questa è la formula matematica o astratta, in pratica significa che siamo in mano al miglior compratore, che la democrazia è definitivamente irrealizzabile, che il sistema capitalistico, per quanto bello grasso, è sul letto di morte ipocritamente vegliato dal suo figlio finanziario. Lui sì in buona salute.

Se questa premessa potrebbe bastare a se stessa e a riempire di preoccupazione, se non disperazione, chiunque ne voglia constatare l’attendibilità, di fatto induce a riconoscere che tutto il quotidiano affaccendarsi dei politici – che i media d’informazione ubbidienti al mercato, sono costretti a diffondere per sopravvivere – è un falso.

Indipendentemente dal gradiente di buona fede che vogliono metterci, tutti gli orizzonti – che poi sono sempre e solo uno, quello che fa capo al ciclo del mercato consuma-per-produrre-per-vivere – che ci paventano, non sono che stratagemmi, cucchiaini con i quali nessun mare potrà essere svuotato.

Di quali miglioramenti della vita ci parlano, se da decenni la giustizia è impantanata su se stessa, nel campo della salute gli ospedali hanno le formiche, i malati e le malattie crescono e l’educazione, dalla formazione alle infrastrutture, è fuori controllo. La disoccupazione si riduce di percentuali irrisorie rispetto a quelle di riferimento, soprattutto a causa di conteggi interessati o mai definitivamente dichiarati nella loro natura. E per le stesse percentuali di riferimento, chi può mai credere siano un pezzo sincero di realtà? Le carceri, le strade, il turismo, l’arte, i trasporti, le piccole imprese, le medie e le grandi, le coste, le valli seguono, anzi partecipano al coro di penitenza permanente per il peccato del debito, del liberismo, del capitalismo, del positivismo, del materialismo.

Per il debito, i privati comprano televisori, auto e case. Le istituzioni, mentre si occupano di sovranismo, spendono il necessario per evitare il collasso, la rivolta e il sangue.

Senza un cambio di registro resteremo in mano a chi ci ha acquistato, mafie o oligarchie finanziarie che siano, o che sono. A seconda del lato in osservazione.

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Tuttavia, come dice Guenon nel suo anticipatorio La crisi del mondo moderno, scritto nel 1926 – che anticipatorio non è per ogni occhio che guarda la realtà spogliata dai suoi suggestivi orpelli culturali – «[…] non è nel dominio sociale che in ogni caso potrebbe prendere inizio una essenziale rettificazione del mondo moderno».

Siamo senza via di scampo? Certamente finché delegheremo al fuori di noi la responsabilità della realtà con la quale avremo a che fare. Per nulla, se saremo in grado di assumerci la responsabilità di tutto. La sola rivoluzione è quella personale. Quelle politico-ideologiche, la storia ce lo dice, sono rigurgiti, sputacchi sul grande arazzo. La macchia si vede all’inizio e poi si perde assorbita da un contesto in grado di digerirla. Foruncoli, niente più.

L’evoluzione individuale, libera dal narciso desiderio proselitico è la via del paradigma che vorremmo.

Continua l’antropologo francese: «Nulla di stabile potrebbe mai risultarne e bisognerebbe cominciar sempre di nuovo per aver trascurato d’intendersi anzitutto circa le verità essenziali. Per cui, non ci è possibile concedere alle contingenze politiche, anche dando a questa parole il suo senso più ampio, altro valore se non quello di semplici segni esteriori della mentalità di un’epoca.»

Richiamare a sé la politica, naturalmente smascherata dalle suggestioni dell’ideologia, è dunque la sola risorsa ancora disponibile tra le cataste di macerie tra le quali viviamo. È un sentiero, un camminamento lento, adatto a una sola persona. Porta ovunque, ai valichi, alle vette, a nuovi orizzonti di sé, di noi. E anche a vedere che – come prosegue il francese – «una idea, come quella dell’”eguaglianza”, o del “progresso”, o di […] altri “dogmi laici” che quasi tutti i nostri contemporanei hanno accettato ciecamente» come catturati dal sortilegio di una superstizione. «Se queste suggestioni venissero meno, la mentalità generale sarebbe assai vicina a cambiar d’orientamento: per questo esse vengono più accuratamente favorite da tutti coloro che hanno un qualche interesse a protrarre il disordine, se non pure ad aggravarlo - e tale è anche la ragione per cui in tempi, nei quali si pretende di tutto, sottoporre alla discussione, queste suggestioni sono le sole cose che non si debbono mai discutere». 

Lorenzo Merlo -   xex@victoryproject.net

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