Una idea morale utopica, come quella
vegana ed antispecista, ha un grande appeal attrattivo su molti
animalisti. Come tutte le idee aldilà della portata attuativa nella
società corrente rischia però di diventare un’altra forma di “ismo”, una
filosofia religiosa che cerca attraverso i suoi adepti di elevare la
coscienza con il solo risultato di contribuire a ulteriormente dividere
la società umana in “credenti” e “infedeli”. Insomma la filosofia vegana
manca di capacità attuativa e come tutte le filosofie e religioni resta
un ideale alla portata di pochi “eletti” disgiunti dal contesto.
Ritengo personalmente che per andare
verso una consapevolezza della comune appartenenza e della pari dignità e
complementarietà della vita, insomma delle reciproche relazioni fra
specie, sia importante che vengano riconosciute le differenze per poter
allo stesso tempo riconoscere l’eticità naturale senza forzare la
natura.
L’astrazione del pensiero trasformato in
“morale” non aiuta la manifestazione di una spontanea “compassione” che
si manifesta in un interspecismo maturo.
Tutti gli esseri viventi attingono e si
originano dalla comune matrice che differenziandosi ha assunto le
innumerevoli forme, ognuna complementare e relata alle altre, ognuna con
alcuni aspetti evolutivi utili al mantenimento della vita ed alla
ulteriore propagazione e fioritura di nuove specie.
L’uomo non è l’ultima parola in natura e
questo deve essere sempre presente nella considerazione di chi si pone
il “problema” del bene collettivo.
La vita si nutre della vita, su questo
non ci sono dubbi, d’altra parte vediamo che esiste un certo equilibrio
anche nel modo in cui questo costante e collettivo alimentarsi
avviene. I microorganismi svolgono funzioni essenziali come base
alimentare degli organismi più complessi e contribuiscono al riciclaggio
della materia morta.
Le piante procurano ossigeno e
forniscono cibo agli animali ed allo stesso tempo ricevono humus e
sostanze organiche utili in cambio. Gli animali aiutano la propagazione
delle piante, e qui non mi riferisco semplicemente agli insetti che
facilitano l’impollinazione, bensì a tutte le specie di erbivori che
sfogliando le piante senza ucciderle fan sì che esse affondino vieppiù
le radici nella terra.
Le piante producono frutti appetibili
ed i semi vengono diffusi in altri spazi dagli animali. L’eccesso di
erbivori viene calmierato con la presenza di predatori e fra erbivori e
predatori c’è una armonia di co-presenza. Essi aumentano e decrescono
sulla base delle necessità finali delle piante nell’ambiente.
Tutti sanno che i leoni quando aggrediscono un branco di antilopi, ricevono dalle antilopi stesse un “tributo” in forma dell’animale più malandato del gruppo, una specie di “offerta/sacrificio” che tra l’altro ha la funzione di mantenere sano il branco.
Tutti sanno che i leoni quando aggrediscono un branco di antilopi, ricevono dalle antilopi stesse un “tributo” in forma dell’animale più malandato del gruppo, una specie di “offerta/sacrificio” che tra l’altro ha la funzione di mantenere sano il branco.
Insomma la natura pur nella sua
apparente crudeltà è saggia e materna. Si occupa di tutti gli aspetti e
nulla trascura per i suoi figli. Al contrario ove manca l’interscambio,
come ad esempio nelle nostre periferie urbane in cui sono aumentati
indiscriminatamente alcune specie avicole e terricole per la mancanza di
idonei “calmieratori”.
Anche l’uomo per migliaia di anni ha
rispettato questa “etica naturale” contribuendo a mantenere la vita sul
pianeta in equilibrio. Solitamente l’uomo, come tutti gli animali
frugivori, non ha bisogno di alimentarsi direttamente delle carni di
altri animali. Vedasi le scimmie antropomorfe nostre cugine che fanno un
uso insignificante di carne, assumendo solo piccole quantità di insetti
o piccoli animaletti della foresta a mo’ di integrazione alimentare,
quando necessario. Altrettanto fanno i cinghiali e gli orsi.
Però, ad esempio, gli orsi che si sono
spostati al polo nord ovviamente hanno modificato la loro dieta sino a
renderla totalmente carnivora e così è avvenuto per l’uomo che nella sua
lenta occupazione del pianeta e spostandosi sempre più dall’habitat
tropicale originario ha dovuto pian piano modificare in parte o
totalmente le sue abitudini alimentari, per necessità di sopravvivenza.
La scoperta dell’agricoltura molto ha
comunque contribuito per riportare l’uomo alla sua dieta originaria.
Fermo restando che a seconda della latitudine la dieta varia in base al
reperimento di risorse alimentari, vediamo che oggigiorno le capacità
produttive, senza voler ricorrere alla chimica od agli OGM,
garantirebbero all’uomo nutrimento sufficiente non solo i 6 miliardi di
individui che siamo ma per almeno 10 volte tanti…. E qui veniamo al
punto dolente… L’uomo avendo perso un contatto diretto con la natura ha
utilizzato le sue capacità tecniche e la sua capacità di sottomettere
(e sottomettersi) per assoggettare la sua stessa specie ed anche le
altre ad un dominio utilizzativo e speculativo che non tiene conto della
pari dignità di tutti gli esseri viventi.
L’uomo ha diviso la società umana in
“schiavi” produttori di ricchezza (per l’uso di pochi “padroni”) e le
specie animali in “oggetti di mercato” da sfruttare ignominiosamente
come merce. I grandi finanzieri ed i produttori del denaro, staccati
dal contesto umano, galleggiano razzisticamente sul resto dell’umanità e
fingono di fornire ai loro sottoposti un benessere privo di valore, in
forma di cibo sanguinolento e crudele e malsano proveniente dagli
allevamenti intensivi e dai macelli.
Questo meccanismo è non solo la causa
della distruzione del pianeta, per il consumo di tutte le risorse e per
l’avvelenamento degli elementi naturali, ma è anche causa della perdita
totale dell’anima originaria, della naturale e rispettosa correlazione
fra esseri viventi e habitat….
Mi rendo conto di aver toccato un
argomento che a questo punto con l’etica propugnata dai cosiddetti
animalisti viaggia in una sorta di parallelismo antagonista….
E’ vero che le abitudini alimentari
vanno modificate in funzione di un ritornò alla naturalità.. ed è anche
vero che non si può separare l’uomo dagli altri animali. Il muto aiuto è
necessario per la reciproca sopravvivenza e per la comune crescita
karmica. Gli spazi naturali vanno recuperati senza forzature e la specie
umana non deve necessariamente saltare da “dominante” a “in
estinzione”. Riscoprire il significato della fatica, del reciproco
aiuto, della simbiosi mutualistica senza prevaricazioni… insomma vivere
in una Pace Interspecista è la chiave della nostra e “loro”
sopravvivenza.
Bisogna stancarsi del “vizio” in cui
siamo costretti a vivere ed iniziare a recuperare la capacità di
procurarci il nostro cibo senza dover ricorrere al mercato e senza
doversi vendere ai “padroni del mondo”. La rivolta è necessaria, lo
sforzo è necessario….
Mi rendo conto di non poter esaurire l’argomento con un singolo scritto… intanto ho buttato lì alcune riflessioni.
Paolo D’Arpini
bioregionalismo.treia@gmail.com
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