mercoledì 4 gennaio 2012

Bioregionalismo urbano - Rivitalizzare le città.. soluzioni ecologiche possibili a poco prezzo

Muri con verde - Foto di Gustavo Piccinini


Intervistato da Jared Green, l’ex sindaco di Curitiba racconta quanto sia accessibile, volendo, un approccio diverso allo sviluppo locale, anche per noi. Grist, 28 dicembre 2011 - Titolo originale: Green cities on the cheap: Low-cost solutions for a sustainable world – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini


Jaime Lerner è stato eletto sindaco di Curitiba in Brasile nel 1971, rieletto per due mandati e poi governatore dello stato del Paraná. Da sindaco, Lerner ha ideato una serie di interventi low-cost e forme di collaborazione innovative tra pubblico e privato, fino a far diventare Curitiba una città modello per l’ambiente. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le trasformazioni dei trasporti, dei quartieri, dell’ambiente, tra cui quello delle Nazioni Unite. Nel 2002, Lerner è stato eletto presidente dell’Unione Internazionale degli Architetti. Oggi è titolare dello studio di architettura Lerner e Associati.


Lei sostiene che per il cambiamento climatico le città sono la soluzione, non il problema. Come mai?
Beh, a mio parere ci sono molte, moltissime risposte sul metodo migliore per affrontare il cambiamento climatico. Molti parlano di nuovi materiali. O di nuove fonti di energia. Turbine a vento. Riciclaggio. Tutte cose molto importanti, ma non basta. Se pensiamo che il 75% delle emissioni dalle automobili ha un rapporto diretto con la città, capiamo quanto possa risultare molto più efficace iniziare a lavorare sull’idea di città. É dalle città che possiamo ricavare i migliori risultati.


Che rapporti ci sono fra abitabilità e sostenibilità?
Ogni volta che si cerca una soluzione, si deve partire da un buon equilibrio di corresponsabilità coi cittadini. Ovvero che non si tratta di un problema di soldi, o di capacità tecnica, ma di come gestire questo equilibrio.

Ad esempio, da governatore mi è capitato il grave problema di ridurre l’inquinamento delle coste. Costa parecchio fare bonifiche ambientali, e noi di soldi non ne avevamo. In un’altra regione avevano chiesto un enorme prestito dalla Banca Mondiale, ottocento milioni di dollari. Secondo noi però il problema non era di denaro, ma di mentalità. Abbiamo iniziato a ripulire le coste da un accordo coi pescatori: quando prendevano pesce, se lo tenevano; se tiravano su spazzatura, noi glie la compravamo. Se la giornata non era buona per pescare, i pescatori potevano anche uscire a tirar su rifiuti. E più rifiuti pescati, più pulite le coste. Ma più pulite le coste, anche più pesce da pescare. É una soluzione in cui ci guadagnano tutti. E dobbiamo continuare con queste soluzioni low-cost.

Avete anche decentrato la raccolta dei rifiuti. Per raggiungere zone molto sporche e difficili avete dato agli abitanti generi alimentari in cambio di spazzatura. Ha funzionato bene il programma?
Funziona da oltre vent’anni, a Curitiba. Sono molte le città dove i camion della spazzatura fanno molta fatica ad operare. Ci sono gli slum arrampicati sulle colline o nel profondo di qualche valle, ed è difficile arrivarci. Così chi sta in quei posti butta dove gli capita e inquina i corsi d’acqua. I bambini giocano in mezzo all’inquinamento.

Nel 1989 abbiamo cominciato dicendo “Allora, noi vi compriamo la spazzatura se la mettete in un sacchetto e la portate al camion di raccolta più vicino”. Nel giro di due o tre mesi si erano ripuliti tutti quei quartieri, e gente con redditi bassissimi aveva anche una fonte di guadagno in più.

Abbiamo iniziato anche programmi di educazione civica sulla raccolta differenziata [separazione fra riciclaggio, compost, ecc.] capendo che si potevano superare dei problemi se si partiva differenziando dalle famiglie. A partire dai bambini nelle scuole. I bambini poi insegnavano ai genitori. Da allora, a Curitiba c’è stato per vent’anni il tasso di raccolta differenziata più alto del mondo. C’è circa il 60-70% delle famiglie che separa i rifiuti già a casa.


Da sindaco di Curitiba, ha costruito il primo sistema di autobus veloci (SAV), "Speedy Bus" che opera come una metropolitana di superficie con costi infinitamente inferiori. Come funziona la collaborazione pubblico-privato che lo rende tanto conveniente?
Non avevamo i soldi per una nuova dotazione di mezzi, ci sarebbero voluti 300 milioni di dollari. Cosa si poteva fare in definitiva? C’era un’altra soluzione? Ci siamo rivolti ai private: “Noi posiamo intervenire sui percorsi, se voi investite sui mezzi. Possiamo ottenere i prestiti per quel tipo di lavori pubblici, se il settore privato ha quelli per la flotta”.

Li paghiamo a chilometro, nessun sussidio. Il sistema si paga da solo. E oggi nel mondo ci sono 83 reti SAV.  Il problema vero è che in molti casi la pubblica amministrazione vuole intervenire sempre e comunque. E non funziona. Le faccio un esempio. Perché non esiste un buon sistema di collegamenti lungo le sponde di New York? Sarebbe un ottimo modo per iniziare a ridurre la congestione di ponti e gallerie di accesso alla città. Potrebbe essere un modo gradevole di muoversi, di navigazione pubblica. Invece, gli amministratori non lo vogliono, sostengono che non ci sarebbero abbastanza passeggeri, che non si può investire nei mezzi. Allora, per prima cosa occorre creare una buona collaborazione per un sistema interessante, così arrivano i passeggeri, ed è una soluzione low-cost.


Ha anche parlato delle tante brutte copie del suo sistema SAV, che non funzionano e stanno smettendo di espandersi. Dove si è sbagliato?
Non si può concepire un SAV esclusivamente come soluzione trasportistica. Ci deve essere una pianificazione urbana complessiva. E perché? Perché una città funziona per abitare, lavorare, passare il tempo libero. Tutte queste cose insieme. Quelle di trasporto sono strutture che servono alle varie funzioni. Non solo un sistema per muoversi. Così si ottiene al massimo una rete per pendolari, molto difficile da realizzare. In quella prospettiva, i mezzi pubblici lavorano solo in due momenti della giornata, concentrati su pochissime ore. Se invece il sistema lavora sempre, a collegare le funzioni produttive e tutto il resto, quello è davvero la città [nel suo insieme] e non solo un corridoio di mobilità collettiva.


Oggi lavora col suo studio di architettura e urbanistica per conto delle amministrazioni urbane e committenza privata del nord e sud America. Su che tipi di progetti?
La sostenibilità significa equilibrio fra consumo e risparmio. Sono tanti i problemi, di mobilità, o di integrazione, ma si deve lavorare in fretta. Se capiamo che la città è una struttura da abitare, in cui lavorare, spostarsi, tutti insieme, si opera con maggiore efficacia ...
Per esempio, a Sao Paolo ci sono tre line di metroplitana. Se ne sta realizzando una terza, con l’84% del percorso in superficie. É qui che si deve funzionare meglio. Contemporaneamente si interviene sulle ferrovie suburbane. L’idea è di partire dal percorso della ferrovia e costruirci sopra una specie di parco sopraelevato sul modello della High Line di New York. Ma in questo caso il parco college tutta la città, quartieri ricchi e quartieri poveri. Dappertutto ottimi trasporti pubblici e un enorme parco che lega l’insieme. Dentro al parco, si può passeggiare, andare in bicicletta, o su piccole auto elettriche. Qualche volta c’è un’idea generale su cui lavorare. Altre volte, utilizziamo quella che chiamo “agopuntura urbana”.


Per le vie, lei ha sperimentato le “strade portatili” ovvero ambienti commerciali informali spontanei.
Esistono spazi urbani degradati col tempo. Dove non c’è vita. Dove è difficile riportarne perché nessuno vuole stare il luoghi del genere. Se noi ci riportiamo vita, allora vorranno di nuovo abitarci. Da qui il progetto delle strade portatili. Si installano il venerdì sera e si smontano il lunedì mattina. Si può costruire un’intera via davanti all’università, ovunque, e riportare vita ...

Sono piccoli interventi che ridanno energia alla città, e sostengono programmi di più lungo respiro, che necessitano di tempo. Ma bisogna agire subito.

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