giovedì 26 gennaio 2012

Gianfredo Ruggiero: "In virtù del razzismo..." - Ovvero come l'uomo ha cominciato a percepire le differenze nella sua stessa specie...

Lotta impari

Premetto che questo intervento non ha lo scopo di dissertare su illuminismo e dintorni, ma più politicamente di sollevare quel velo di ipocrisia e omertà che copre le malefatte dei padri della "democrazia" e di mettere in discussione uno dei tanti dogmi del novecento su cui si basa la legittimazione di questo nostro sistema.


Il razzismo, la schiavitù contemporanea e la successiva segregazione razziale, il neocolonialismo, l’eugenetica e il mito della superiorità ariana non sono incidenti della storia o il frutto di qualche mente bacata, bensì la naturale conseguenza di talune dottrine filosofiche.L’illuminismo è ricordato come la culla della democrazia e dei diritti umani, volutamente si dimentica che fu anche l’origine del razzismo propriamente detto e della derivante schiavitù etnica.

Nel solco del pensiero illuminista, sviluppatosi in Europa nel XVIII secolo a da qui al nuovo mondo, si imposero le nuove dottrine del razzismo scientifico e della superiorità della razza bianca che portarono a giustificare la schiavitù americana, lo sterminio dei pellirosse nelle Americhe e la sottomissione delle popolazioni africane. Diedero inoltre forte impulso al nazionalismo e al colonialismo da rapina praticato soprattutto da Francia e Inghilterra, le due nazioni patria dell’illuminismo e culla della democrazia. La schiavitù e la discriminazione sono sempre esistiti, mi si può obiettare.

E’ vero, ma è con l’avvento dell’illuminismo che nasce il razzismo nella sua veste scientifica e razionale. E dalla scienza alla morale il passo è breve.Greci, romani e, prima di loro, gli egizi praticavano la schiavitù, ma solo nei confronti dei prigionieri di guerra, di popolazioni sottomesse o degli insolventi i quali, tuttavia, potevano riacquistare la libertà una volta saldato il debito o per concessione del padrone.

Di razzismo nella storia di Roma non vi è traccia, anzi molte importanti personalità della storia romana erano di origine africana, come l’imperatore Settimio Severo. Lo stesso concetto di “barbaro” derivava da motivazioni culturali e di arretratezza e non da considerazioni di ordine razziale (il termine - razza - all’epoca non esisteva neppure). La Roma di Traiano, nel periodo della sua massima espansione attorno al 110 d.C., era affollata da più di un milione di abitanti e di questi meno del trenta per cento era di origine latina, gli altri provenivano dai quattro angoli dell’Impero.

Nelle sue strade si potevano incontrare persone dall’aspetto nordico, alti, biondi con gli occhi azzurri e uomini e donne di bassa statura, di pelle scura o di chiara provenienza mediorientale o asiatica. A differenza di oggi non esistevano né quartieri etnici, né tanto mento ghetti: tutti si sentivano romani, parlavano la stessa lingua (il latino e per i più colti anche il greco), osservavano le stesse leggi e, soprattutto, si sentivano orgogliosi di appartenere ad una grande civiltà.

La cittadinanza romana era la cosa più ambita. Esisteva la schiavitù, è vero, ma come condizione sociale, spesso temporanea, e non come presupposto razziale, quindi perenne.

Gli schiavi, nell’antica Roma, potevano riacquistare la libertà in qualunque momento (liberti) e i loro figli nascevano liberi; non erano rari i casi di padroni che alla loro morte lasciavano il patrimonio o l’attività allo schiavo fedele, come frequenti era i matrimoni tra il padrone e la sua schiava. Perfino nelle terme (i romani aveva un vero e proprio culto dell’igiene), non vi era nessuna forma di separazione anzi, gli schiavi come le donne non pagavano neppure il biglietto.

Di razzismo nella civilissima Roma non vi era traccia: tutti erano cittadini dell’Impero con gli stessi diritti e doveri, a prescindere dal colore della pelle.Una prima forma di discriminazione di massa si manifestò a Roma solo sul finire dell’impero e fu a sfondo religioso quando, nel 380 d.C., Teodosio, con l’editto di Tessalonica, impose il cristianesimo come religione di Stato, unica e obbligatoria.


Il cristianesimo, forte del sostegno statale, assunse fin da subito una connotazione totalitaria che contraddiceva il tradizionale rispetto romano versi tutte le religioni praticate all’interno dell’Impero.
L’estremismo dei cristiani portò alla scomparsa degli antichi culti e alla mal tolleranza degli ebrei, loro progenitori.


Nell’Europa medioevale e cristiana questa avversione contro gli ebrei si radicalizza ancor di più e sconfina nella vera e propria persecuzione di massa, ma poggia ancora una volta su presupposti religiosi e non razziali a cui si aggiungono motivazioni morali derivanti dalla pratica dell’usura. Inoltre gli ebrei, altra loro colpa, erano l’unica minoranza non cattolica in un’Europa totalmente cristiana.

In occasione delle Crociate puntualmente si verificavano massacri di ebrei. Alla partenza della prima, nel 1096, in Renania 50.000 mila ebrei sono uccisi. Conquistata Gerusalemme ad essere sterminati dai cristiani furono non solo i musulmani, ma anche l’intera comunità ebraica (“Dio lo vuole” incitava Papa Urbano II, slogan non tanto diverso nelle conseguenze con quel “Gott Mit Uns” di hitleriana memoria).

I Pogrom nella Russia zarista e la cacciata dei ebrei “Marrani”. dalla Spagna cattolica nel 1492 avvennero, infatti, per motivazioni esclusivamente religiose.

L’evangelizzazione delle Americhe comportò la quasi completa scomparse di antiche civiltà come quella dei Maya, degli Incas, degli Atzechi. Civiltà primordiali, eppur avanzate in molti campi della scienza, spazzate via dalla furia dei conquistadores che in nome di Dio e per volere del Re presero possesso di quelle terre spogliandole dei loro tesori e massacrando gran parte degli indios. Le malattie veicolate dalla soldataglia fecero il resto.

Durante il Medio Evo la schiavitù persistette solo in alcune parti d’Europa e nel vicino Oriente e non veniva comunque associata alla popolazione nera o ad altre etnie, la parola schiavo deriva infatti da “slavo”.

Con la diffusione delle idee illuministe si ebbe il salto di qualità: la schiavitù si veste di razzismo e da fenomeno marginale in via d’estinzione riprende massicciamente vigore fino a diventare un vero e proprio fenomeno di massa, prima nelle colonie inglesi e poi in America.
Ad essere ridotti in schiavitù secondo la nuova morale illuminista non sono più gli uomini, come avveniva in passato, bensì degli esseri inferiori nati per servire la razza bianca.

I filosofi illuministi amavano parlare di uguaglianza, di diritti civili e di libertà nei famosi “Cafè” d’Europa, ma il caffè zuccherato che sorseggiavano - mentre scrivevano la dichiarazione universale dei diritti umani - e il cotone dei loro abiti era prodotto da persone che nell’Africa Occidentale venivano ammassate sulle navi col fucile puntato, trasportate attraverso l’Atlantico in condizioni spaventose (moltissimi di essi morivano durante il viaggio di stenti, di fame o per le percosse degli schiavisti), vendute all’asta e poi messe a lavorare per 15, 16 o addirittura 18 ore al giorno fin quando non morivano. Circa 14 milioni di esseri umani - giovani, donne e perfino bambini - andarono incontro a questo destino.

Lo schiavismo era considerato dagli alfieri dell’illuminismo e teorici della democrazia come un’impresa salutare, che acquisiva un ruolo civilizzatore nella storia dell’Africa: la tratta avrebbe allontanato dal Continente nero dei pagani primitivi e ignoranti per inserirli in un Occidente progredito e per di più cristiano. Anche il neo colonialismo è visto positivamente in quanto avrebbe portato in quelle terre l’influenza civilizzatrice degli occidentali.

La tratta dei neri raggiunse in America i massimi livelli nel 1750 con oltre 80 mila “importazioni”. Nei primi anni del secolo successivo l’America, vietò questa pratica, ma lo fece in maniera truffaldina e senza mettere in discussione il principio razzista, infatti aggirò l'ostacolo adottando una politica a favore della natalità dei neri presenti sul suolo americano. Così da importatori di schiavi l'America si trasformò improvvisamente in un paese di "allevatori di schiavi". I figli degli schiavi e le generazioni future, infatti, mantenevano perennemente tale condizione.

Grazie a questa nuova pensata gli americani non ebbero più bisogno di andare in Africa a prelevarli, bastava farli prolificare ...alla maniera animale.

La schiavitù in America fu definitivamente abolita solo nel 1865 con il 13° emendamento, ma non la segregazione razziale che rimase in vigore fino ai primi anni sessanta del novecento. Interessante notare che nello stesso periodo in cui la schiavitù veniva abolita lo sterminio delle popolazioni pellirosse veniva invece avallato a dimostrazione di come le teorie razziste e della supremazia della razza bianca fossero ben radicate nella cultura americana.

In virtù della “Dottrina della scoperta” (Doctrine of Discovery) del 1823 ai nativi d’America è ancora oggi negato ogni diritto di possesso delle loro terre.

George Mosse nel suo libro “Il razzismo in Europa: dalle origini all’olocausto” afferma che culla del razzismo moderno è stata l’Europa del XVII secolo, quando il pensiero illuminista iniziò ad affermarsi e a condizionare la cultura e i costumi dell’epoca.

L’antropologo inglese Edward Tyson individua nei neri - e più precisamente nei pigmei - “l’anello mancante” tra la scimmia antropomorfa e l’uomo, collocando i neri al livello più basso dell’ipotetica scala evolutiva, mentre Arthur De Gobineau, teorico francese vissuto nella metà del diciannovesimo secolo e autore del “Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane”, interpreta la storia umana affermando che la purezza della razza determina la capacità di sopravvivenza e di dominio sulle popolazioni inferiori. Concetto poi ripreso dall’ideologo del nazismo Rosemberg e dagli assertori dell’eugenetica.

In epoca illuminista sorsero nuove scienze come la frenologia e la fisiognomica tese a dimostrare lo stretto legame tra l’aspetto fisico, ed in particolare la struttura del cranio e l’angolo facciale, e le qualità psichiche e la personalità dell’individuo. La bellezza ariana era infatti considerata sinonimo di forza spirituale e potenza generatrice.

L’italiano Cesare Lombroso, padre dell’Antropologia Criminale e strenuo assertore del Darwinismo Sociale, nel 1876 pubblicò “L'uomo delinquente”, in cui affermava che i criminali portano in se tratti anti-sociali dalla nascita, per via ereditaria e che i loro caratteri degenerativi, che li differenziano dall’uomo normale e socialmente inserito, sono manifesti nella loro struttura fisica. Fu di conseguenza un convinto sostenitore della pena di morte per i criminali e dell’eugenetica per i disadattati al fine di bloccarne la discendenza. L’aspetto singolare è che il Lombroso, che oggi non esiteremmo a definire razzista, nasce da una facoltosa famiglia ebraica.

Il filosofo illuminista David Hume scriveva nel 1754 che “non è mai esistita una nazione civilizzata che non fosse bianca: sono portato a sospettare che i negri, e in generale tutte le altre specie umane, siano per natura inferiori ai bianchi”.

Altri pensatori illuministi Diderot, D’Alembert e Voltaire avevano rifiutato l’idea che bianchi e neri discendessero da un medesimo progenitore.

John Locke, il filosofo inglese tanto ammirato da Voltaire, non solo giustificava pienamente lo schiavismo, ma si arricchiva tramite le sue azioni della Royal Africa Company, società specializzata nella tratta dei neri. Lo Stesso Voltaire, universalmente riconosciuto come il padre della democrazia (suo è il famoso assioma: detesto le tue idee, ma darei la vita affinché tu le possa esprimere) trovava normale investire i proventi della vendita dei suoi libri nelle compagnie dedite alla tratta dei negri. A conferma di come i principi di libertà, fratellanza ed uguaglianza proclamati dai filosofi illuministi e sanciti nel sangue della Rivoluzione francese riguardassero solo la razza bianca.

Un inconsapevole contributo venne anche da Darwin, non a caso la pubblicazione, nel 1859, del suo celebre libro “L’origine delle specie” destò grande interesse negli ambienti accademici illuministi.

Concetti cardine dell’impianto darwiniano come “selezione naturale, sopravvivenza del più adatto” e il termine di “razza favorita” furono infatti accolti con grande entusiasmo tanto dai teorici del razzismo, quanto dai sostenitori del libero mercato e della supremazia della razza bianca i quali trovarono nelle teorie evoluzioniste una inaspettata sponda scientifica ed una insperata giustificazione morale.

Anche i nemici della Chiesa, ed in particolare la Massoneria, esultarono in quanto le teorie evoluzioniste, per quanto scientificamente discutibili e ai mio avviso errate, contraddicevano la tesi biblica della creazione.


Il principio della selezione naturale a vantaggio del più adatto è stato tradotto dai fautori del darwinismo sociale come prevalenza del più forte sul più debole a sostegno della nascente ideologia capitalista ispirata da Adam Smith, il teorico del liberalismo.

In Europa il razzismo ebbe la sua espressione più violenta nella dottrina e nella politica del nazismo, dove l'antiebraismo fu uno dei punti centrali del programma hitleriano basato sulla purezza della razza ariana.

La politica persecutoria di Hitler trovò terreno fertile in una Europa intrisa di razzismo e antigiudaismo, presenti in particolar modo in Francia e Germania.

L’affaire Dreyfus, la vicenda del capitano dell’esercito francese ingiustamente accusato di tradimento a causa della sua origine ebraica, denunciato da Emile Zola, ci offre uno spaccato della società francese che mentre dissertava di libertà, fratellanza e uguaglianza si accaniva contro la minoranza ebraica accusata delle peggiori nefandezze. Va precisato che il forte senso di comunità che li portava spontaneamente a isolarsi dai “gentili” e il senso di superiorità derivante dalla definizione biblico di “il popolo eletto ” e la loro propensione per il commercio e l’alta finanza non favoriva di certo l’integrazione degli ebrei nella società.

In Europa, durante e dopo la fine del regime hitleriano, la selezione eugenetica della razza fu pratica per lungo tempo. La Svezia, insieme a Norvegia e Danimarca, attuò una politica che portò tra il 1934 e il 1976 alla sterilizzazione coatta di oltre 106.000 persone, in prevalenza donne disadattate, con problemi psichici o zingare, ritenute geneticamente pericolose per la purezza della razza.

In Paesi segregazionisti come la Rhodesia ed il Sudafrica la politica di separazione e sfruttamento degli indigeni fu attuata dai colonizzatori europei in virtù del mandato morale derivante dalle teorie illuministe.

Mi si può contestare che fu grazie all’illuminismo e al mito della “Dea Ragione” che è nata la democrazia dei partiti e l’ideologia liberal-capitalista. E’ vero, ma è altrettanto vero che fu battezzata nel sangue della rivoluzione francese, fra teste mozzate, massacri di cristiani in Vandea e terrore giacobino. Nulla da invidiare alle peggiori dittature del secolo scorso.
Senza il sostegno dei filosofi e ricercatori illuministi difficilmente sarebbero state accettate la schiavitù americana, il genocidio dei Pellerossa, la sottomissione delle popolazioni africane e la ripresa della persecuzione ebraica ad opera del regime hitleriano.

In conclusione: Rosemberg, il teorico nazista della superiorità ariana, è stato condannato dalla storia, ma non i suoi illuminati maestri. Hitler per la persecuzione ebraica e Mussolini per le leggi razziali sono stati anch’essi giudicati dalla storia, ma non l’America per aver massacrato 10 milioni di pellirosse, per aver ridotto in schiavitù 14 milioni di neri e per aver mantenuto la segregazione razziale fino a non molti decenni fa.

A questo punti ci domandiamo: perché quando si parla di razzismo ad essere degnamente ricordati sono soltanto gli ebrei? Forse perché neri e pellirosse sono ancora considerati esseri inferiori, oppure perché non si vuole mettere in imbarazzo l’America vista ancora oggi come faro di civiltà?

Abbiano il coraggio, coloro che amano parlare di libertà e di diritti umani, di aprire i loro armadi e di mostrare gli scheletri del loro passato, di farsi l’esame di conoscenza e di riflettere sui crimini e le nefandezze causati dai loro padri, prima di ergersi a giudici della storia.

Gianfredo Ruggiero
Presidente del Circolo Culturale Excalibur - Varese

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