martedì 5 novembre 2013

Assisi, dove l’oriente incontra l’occidente, cercando un'altra via tra decrescita felice e low cost

“Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca; mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali. Non servono tranquillanti o terapie, ci vuole un'altra vita.” (F. B. - Un’altra vita)


Vittorio Marinelli - "Il tempo è giusto per cambiare vita"


Inizio, anziché dall’inizio, dalla fine e cioè dall’invito a cercare un’altra vita. Anche perché la situazione nella quale ci troviamo oggi a vivere e caratterizzata anche da mutamenti e cambiamenti economici epocali ai quali, se non reagiamo con strategie, comportamenti e scelte, andremo a fondo anche noi.

Assistiamo, infatti, alla scomparsa del ceto medio, alla cinesizzazione e proletarizzazione della Val Padana, a forti e continue oscillazioni del mercato, a una pressione fiscale ormai insostenibile da parte di governi che hanno utilizzato la leva fiscale per politiche keynesiane solo di nome e, in realtà, utilizzate per pagare inefficienze, sprechi e ruberie. Mentre tutti si sono scordati che migliaia di rapaci incapaci sono solo intesi a saccheggiare la cosa pubblica.

Di fronte al verificarsi della profezia marxista della crisi degli sbocchi per cui i piazzali delle industrie automobilistiche sono rigurgitanti di automobili invendute, assistiamo all’ultimo dato relativo alla disoccupazione giovanile che arriva oramai in Italia al 40%.

A livello macroeconomico, di fronte a questa insanabile contraddizione di sistema, tra l’enorme abbondanza di ricchezza e l’inaccettabile povertà, la soluzione, rispondente a un’esigenza anche economica, oltre che etica, sarebbe la redistribuzione della ricchezza.

Poiché sono abbastanza sfiduciato sulla possibilità della nostra misera classe politica di impostare reali politiche di giustizia sociale, in un momento in cui l’Italia diviene sempre più periferia rispetto ai paesi emergenti, per tentare di realizzare quel progetto di liberazione dell’uomo dalla fatica, dalle preoccupazioni materiali, perseguito pervicacemente pressoché dall’era della caverna a oggi, credo che si debba a livello microeconomico e individuale per tentare perlomeno di avvicinarsi a questo risultato.

Orbene, in questa ottica, particolarmente interessanti sono due fenomeni che sono anche parziale e momentanea parziale soluzione al cupo quadro come sopra delineato.

Faccio riferimento al fenomeno del low cost e della decrescita, che in Italia è stata chiamata da taluni, decrescita felice.

In effetti, i fenomeni appena richiamati sono i due binari che, come tali, in quanto paralleli, possono avvicinare un po’ di più il consumatore verso la creatività, l’arte, la cura del corpo, l’amicizia e la convivialità, che sono attività che possono essere maggiormente curate nel momento in cui non si spreca il proprio tempo a lavorare alla ricerca di appagamento di bisogni superflui.

I fautori della decrescita o della nuova frugalità sostengono come sia necessario rivedere il PIL come indice per valutare la ricchezza di una nazione.

Sono stati fatti a questo proposito diversi esempi calzanti tre quali quello relativo all’incidente automobilistico nel quale il malcapitato automobilista, per ipotesi, subisca, quale tragica conseguenza, l’amputazione di una gamba. In questa situazione, paradossalmente il Pil aumenta in quanto l’ambulanza si deve muovere, con consumo di benzina, sono stipendiati gli infermieri e il medico, allo stesso modo viene retribuita l’equipe chirurgica che effettua l’operazione e il laboratorio che fabbrica la protesi.

Ma in questa situazione, nonostante il PIL sia indubbiamente aumentato, con un poveraccio con una gamba in meno, è veramente aumentata la ricchezza?

Allo stesso modo, una casa male isolata, comportando un maggior consumo di combustibile per riscaldarsi, fa aumentare il PIL anche se, in realtà, come nel caso precedente, l’aumento è dovuto solo a uno spreco, addirittura a un impoverimento e non a una ricchezza.

Proseguendo su questo discorso, ci sono attività che determinino certamente un aumento della ricchezza spirituale, come la coltivazione di un orto o l’andare in bicicletta, eppure non determinano statisticamente un aumento della ricchezza. Il PIL, infatti, rimane fermo, se uno gode di buona salute e non si ammala.

I fautori della nuova frugalità sostengono pertanto che siano necessari nuovi strumenti di misura della ricchezza dei popoli, per dirla alla Smith, e che sia necessario modificare gli stili di vita con una riduzione controllata selettiva e volontaria dei consumi e dell’acquisizione di beni.

In quest’ottica, è possibile perseguire il conseguimento dell’obiettivo prioritario di un diverso equilibrio ecologico tra l’uomo e la natura nonché anche un aiuto nell’ottica di una maggiore equità sociale.

Sono pertanto da contestare decisamente i modelli dominanti che assumono quasi l’aspetto di assoluto, come, a esempio, l’utilizzo del mezzo privato come mezzo di locomozione.

Nel nostro sfortunato paese abbiamo assistito, dal dopoguerra in poi, allo smantellamento sistematico della rete ferroviaria e del trasporto pubblico locale. Ambedue servizi per i quali non è possibile addirittura in modo ontologico perseguire un utile in quanto, come servizi pubblici e universali, necessariamente serventi la collettività, devono essere erogati anche in perdita. Magari si può pensare al taxi, di notte, anziché al bus, ma questa è efficienza, intelligenza e decrescita felice.

In questo smantellamento, stato indotto dagli interessi di vergognoso guadagno della famiglia Agnelli, il  risultato finale è che Roma ha il record mondiale come numero di macchine rispetto alla popolazione col sinistro rapporto 1000 a 1000 rispetto ai 400 o 600, non ricordo bene, di Londra.

La situazione paradossale è che la velocità di circolazione di un automobile è, oramai, di 6 km/h ossia praticamente la stessa di un pedone che cammini con passo molto veloce e inferiore a quella di un ciclista.

Sul punto, osservo come personalmente siano oramai nove anni che mi reco in tribunale in bicicletta impiegandoci poco meno di 40 minuti rispetto ai 25 che impiegherei andando in moto. I tempi di percorrenza e del successivo parcheggio in automobile non li conosco. Bene, per me, farmi la mattina questa pedalata, è un autentico piacere, costeggiando il Tevere e la natura che si rinviene in ambito urbano, in completo relax.

Vi è, dunque e a ben vedere, una totale schizofrenia in quei soggetti imbottigliati in auto e che potrebbero, invece, recarsi al lavoro in bicicletta e che poi la sera, rinchiusi all’interno di garage trasformati in palestre, con aria condizionata e alienanti luci al neon, corrono sopra tapis roulant o pedalano su cyclette per fare quell’attività fisica che potrebbero fare, invece, la mattina a costo zero e con miglioramento dell’umano in conseguenza dell’autonoma produzione di stupefacenti naturali, quali endorfine e adrenalina.

Non solo nello spostamento, però, è possibile rinvenire buone pratiche ma anche in altri settori quali, per esempio, nei gruppi di acquisto, nel consumo critico, nella scelta del cohousing e, seppure comportante solo all’apparenza un maggior costo, nella scelta dell’agricoltura biologica.

Anche la scelta di coltivare un orto biologico rientra, di pieno diritto, nell’ottica della decrescita. Vi è, ultimamente, un completo rifiorire di orti, con le benemerite esperienze degli orti urbani.

Personale è da un po’ di tempo che, avendo superato i problemi karmici che mi derivavano dalle sembianze dei poveri virgulti, mangio germogli.

I germogli sono incredibili. Hanno un quantitativo di vitamine non rinvenibile in alcun altro alimento in circolazione. Hanno, inoltre, un costo ridicolo. Mezzo chilo di lenticchie costa € 1,50, acquistando un prodotto di estrema qualità, quali per esempio quelle di Castelluccio o quelle di Norcia, si possono spendere tre euro al massimo per mangiare praticamente una settimana. Un germogliatore di vetro si può acquistare su eBay anche a otto euro. Non conosco il prezzo della carne però sono sicuro che nessun altro alimento costi poco come germogli. Soprattutto non costi successivamente in termini di perdita della salute, visti i risultati deleteri sia per il corpo che per l’ambiente, della produzione di carne.

Sono buone pratiche, dunque, che hanno una minima impronta ecologica e che comportano un notevole risparmio economico.

A queste pratiche, occorre aggiungere gli enormi vantaggi dati dalla possibilità di rinvenire, nell’era dell’accesso, su Internet, le migliori offerte comparando i vari prezzi anche con appositi motori di ricerca dedicati nonché i vantaggi discendenti dal low cost.

Il low cost è la possibilità offerta al consumatore di avere un prodotto di buona qualità a un prezzo di molto inferiore rispetto a quello pretendibile da un prodotto di analoghe caratteristiche. Questo risultato si ottiene con una ottimale organizzazione aziendale tesa a eliminare del tutto gli sprechi e a favorire l’efficienza produttiva.

Con tale termine, dunque, non deve confondersi il cheap.

Chiaramente non parliamo di prodotti ottenuti grazie allo sfruttamento di manodopera o con l’utilizzo del lavoro di bambini. Infatti, su questo punto, in effetti, la certificazione etica dovrebbe essere un imperativo categorico

I casi più emblematici di low cost, secondo Filippo ASTONE e Rossana LACALA che hanno scritto un bel libro sull’argomento (“ITALIA LOW COST, ALIBERTI EDITORE) sono DACIA, RYANAIR e IKEA.

Nel primo caso, la casa rumena, di proprietà della Renault, è riuscita a produrre diversi modelli di auto tra cui una station wagon essenziale, robusta, frugale e alimentata a gpl a un prezzo di € 9000. In Francia, soprattutto a Parigi, c’è una sinistra radical chic ricca sfondata alla quale piace far vedere, però, che non ha perso la coerenza. In questo contesto, la Logan, il nome del modello station wagon di vettura rumena, è stata, per un bel periodo, un fatto di costume.

RYANAIR è nota a tutti. Ha consentito a tutti noi di girare non solo l’Europa a poco prezzo. Ci sarebbe da dire, naturalmente, che l’aereo ha un’impronta ecologica mostruosa, stante l’enorme consumo di cherosene, e che, dove possibile, sarebbe sempre da preferire il treno. Tuttavia, fatta questa premessa, noi tutti sappiamo di biglietti aerei acquistati addirittura a nove euro e, comunque, di ordinarie andata e ritorno per Barcellona o Parigi o Londra acquistati a € 40. Ryanair, nonostante le accuse di sfruttamento dei lavoratori, è riuscita a ottenere questi risultati eliminando tutte quelle spese, in fondo, inutili che poi incidevano sul prezzo finale del biglietto. Per esempio i piloti così come l’equipaggio di bordo, anziché rimanere a dormire fuori casa in albergo nella destinazione finale, tornano a casa loro a dormire. Inoltre ha aumentato il numero dei posti: si sta più scomodi, è vero, però si risparmia. Oppure, ha acquistato un solo modello di aeroplano, coi successivi risparmi e acquista grandi quantitativi di cherosene, per ottenere un prezzo migliore e permette di acquistare il biglietto solo su internet. Tutte queste scelte, comportano la compressione del prezzo.

IKEA, invece, ha creato la democratizzazione dell’arredamento, avvalendosi di designer per disegnare i propri mobili però riuscendo a vendere gli stessi a prezzi molto più bassi. Esistevano, soprattutto in Italia, altre realtà di mobilificio a basso prezzo ma il design non era sicuramente quello garantito dalla casa scandinava così come, probabilmente, la qualità. Il segreto dell’acquisto su IKEA, così come qualsiasi bene low cost, è quello di assemblarlo insieme ad altri pezzi, magari d’epoca evitando, così facendo, l’idea di albergo IKEA che si potrebbe provare in certi ambienti. Anche IKEA è riuscita a ottenere un abbassamento del prezzo, a parte certe critiche sindacali, eliminando, per esempio, i magazzini e costruendo direttamente in loco.

Interessante è ance il fenomeno OVIESSE dove, grazie all’acquisto del marchio da parte del gruppo COIN e poi da parte di un gruppo francese, si è pensato di riposizionare il marchio, avvalendosi dell’opera di quattro stilisti, tra cui Fiorucci, per creare capi di abbigliamento economici ma di ottima qualità. Personalmente ho comparato delle camicie comprate a New York, da Abercrombie & Fitch con quelle da boscaiolo di OVIESSE, e non mi sono sembrate molto dissimili. Infatti ne ho comprate due da 14 euro l’una.

Certo, è una contraddizione, in un certo senso, con quello che dicevamo poc’anzi, sulla necessità di riavvicinarci alla natura però, in un momento storico come quello attuale, in cui i lavoratori sono sempre più poveri e precari, penso sia giusto punire il capitalismo italiano, caratterizzato dalla presenza di poche famiglie litigiose che hanno delle rendite di posizioni intollerabili. Così facendo, i lavoratori diventano un po’ più ricchi e i rappresentanti delle famiglie industriali italiane, un po’ più poveri.

I vantaggi del low cost sono, dunque, una maggiore democratizzazione, l’attribuzione del giusto valore alle cose, l’acquisizione di una mentalità più portata a evitare gli sprechi e curare di più il nostro benessere, anche con scelte alimentari.

La moglie di Obama che zappettava l’orto davanti alle telecamere di mezzo mondo, per un attimo ci ha fatto ben sperare sulle intenzioni del padrone.

Superata l’illusione che dagli Stati uniti d’America, che hanno impostato l’attuale vivere in funzione di modelli di vita quanto mai lontani dal benessere, dobbiamo provvedere noi liberarci dal superfluo e puntare sul benessere. Non sulla sopravvivenza o sullo sciupio.

Già Veblen, un sociologo che a me piace molto, aveva elaborato la teoria dello sciupio vistoso, per giustificare i consumi dei ricchi. Perché un soggetto, a un certo punto, sente il bisogno di farsi un macchinone anziché una smart, per girare per Roma? Per far vedere agli altri che non è quello che lui pensa di essere, bensì un qualcuno. Si delega, quindi, al bene, il compito di rappresentare all’esterno il proprio status se non crearlo ex novo.

Noi dobbiamo iniziare a riflettere recuperando il piacere di fare le cose da sole, dove si rinviene piacere nel farlo. Il pane fatto in casa, l’orto, i germogli, la nostra casa, magari in un eco villaggio.

Dobbiamo evitare lo spreco e fermarci, nella ricerca del benessere, prima che questo divenga accumulo e contraddizione dell’essere.

In questa nuova sensibilità, anche il low cost, se ben usato, senza sconfinare nell’acquisto compulsivo, può portare un po’ più vicino il risultato finale da perseguire, che è quello di lavorare meno per vivere meglio.

Un’altra vita, insomma.


Vittorio Marinelli

(Intervento all'incontro di Assisi: "l'Oriente incontra l'Occidente" 2013)

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