mercoledì 21 febbraio 2024

E' possibile un'industria non inquinante in Italia?

  


La classe dominante procede a passo spedito nello smantellamento del tessuto produttivo del nostro paese. La decisione del gruppo Arcelor-Mittal di non investire più nello stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, che il ministro delle “Imprese e del Made in Italy” Urso fa passare come decisione del governo di “estromettere” le multinazionali non interessate ad investire in Italia, è la dimostrazione del fatto che i padroni non hanno intenzione di continuare a produrre in Italia tranne alle proprie condizioni: produrre senza vincoli rispetto alla tutela ambientale e dei lavoratori, proprio come da ultimo li si è visti fare il 16 febbraio nel cantiere Esselunga di Firenze. In sostanza, o i governi di turno (di centro-sinistra [Prodi, D’Alema, Letta, ecc.] o di centro-destra [Berlusconi, Meloni] che siano) smantellano ciò che resta delle conquiste che i lavoratori avevano strappato fino agli ultimi anni ’70 quando il movimento comunista era forte, oppure i padroni vanno a investire in quei paesi che di fatto, per una ragione o l’altra, garantiscono loro lauti finanziamenti e un costo del lavoro minore.

 

È il ricatto con cui sbattono sul lastrico decine di migliaia di lavoratori. Il governo Meloni cerca di distinguersi con qualche cassa integrazione e promessa di salvaguardare i posti di lavoro e sempre più si distingue per la repressione.


Identico ricatto è quello portato avanti dalla Stellantis per quanto riguarda lo stabilimento di Mirafiori: dopo aver approfittato di cassa integrazione, eco-incentivi e sgravi fiscali per decenni, conviene produrre in Serbia, Polonia e altri paesi in cui i diritti dei lavoratori e i vincoli di produzione hanno maglie più larghe con buona pace dei 12.000 operai di Torino.


Wärtsilä di Trieste, Portovesme nel Sulcis-Iglesiente, TIM, ex Alitalia e tante altre aziende seguono la stessa strada. Finché i capitalisti detteranno legge, la liquidazione della produzione industriale nel nostro paese proseguirà, dosata con l’eliminazione delle conquiste. Quali che siano le motivazioni che caso per caso i capitalisti, le loro autorità e i sindacati complici adducono, questa è la fonte comune di ogni chiusura, delocalizzazione, riduzione di aziende che producono beni e servizi. E qui sta anche la fonte del malandare generale della nostra società: dalla disoccupazione all’inquinamento, dalla miseria all’ignoranza fino alla distruzione della Terra su cui viviamo. 


L’Italia è uno dei paesi in cui, quando il movimento comunista nel mondo era forte, i lavoratori hanno strappato ai padroni maggiori diritti e conquiste: quanto resta di questi diritti e conquiste basta a rendere l’Italia un paese poco appetibile per i capitalisti industriali e invece appetibile per speculazioni finanziarie e immobiliari, per la gestione su concessione di beni e servizi pubblici, per grandi opere inutili e dannose, per il turismo mordi e fuggi.


Delegazione del (nuovo)PCI




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