lunedì 5 febbraio 2024

La natura della magia...

 


Quattro parole sulla magia. Quello che uno scientista non può intendere. Ovvero, sul suo banco non si trovano alambicchi.

Non è un duello

Oltre alle mie modeste doti non potrò andare per rappresentare la natura della magia. Ma anche se esse fossero più acute, non basterebbero. Per un motivo misconosciuto ma elementare: l’esperienza non è trasmissibile. Anche se il classico pensiero razionalista ci induce a credere diversamente, siamo universi diversi, salvo quando ci rinchiudiamo in campetti di gioco, in cui, dell’infinito che siamo, tratteniamo soltanto il necessario per svolgere il nostro ruolo. Nella relazione tra universi diversi, significa che il rischio di equivoco è enorme rispetto a quello di capirsi.

In tutto ciò va menzionato un aspetto, qui detto accredito, che da solo basta a fare la differenza. Se accreditiamo un’emittente, la comunicazione tende ad andare in una direzione di scambio e intesa, al contrario, quando l’accredito manca, tende a verificarsi una situazione di incomprensione e reazione. Quest’ultima è una specie di scossa elettrica che indica il corto circuito avvenuto. A quel punto niente attraversa più le barriere di difesa dell’individuo divenuto così impermeabile. L’altro diviene, come in combattimento, un nemico che farebbe vacillare le nostre verità. Cosa che, in caso di accredito tende a non accadere. Allora, nulla vacilla in quanto permeabili, e dopo opportuna digestione cognitiva, assumiamo la novità. Ovvero siamo in presenza dell’ascolto. O meglio, siamo l’ascolto. La condizione ideale per non reagire e soppesare l’affermazione dell’emittente.


Magica banalità

Dire magia è per molti alludere a qualcosa di irreale, senza valore, senza realtà, e quindi evocare un pensiero stupido. Chi dice magia in questi termini è l’uomo più comune, campione di scientismo, sul cui tavolo di ricerca non ci sono che pinze e microscopi, attrezzi con i quali maneggia quella che crede essere tutta la realtà. Inutile fargli presente della realtà immateriale dalla quale deriva quella materiale, riderebbe.

Per fare presente ai non vedenti in cosa consiste la magia, è utile impiegare il concetto di emozione. Magia ed emozione – energie sottili – agiscono su noi alla stregua della comunicazione subliminale. Per esempio, sostenere che la comunicazione viaggia su ponti emozionali, è riconoscere la magia della realtà. Non sembra per magia che una consapevolezza esplode in noi? Non c’è stata un’emozione contemporaneamente all’esplosione?

Anche la metafora è funzionale al discorso. Con essa possiamo liberarci da qualche vincolo e vedere quanto prima ci sfuggiva. Si tratta di magia. Nessun argomento razionalmente presentato, era riuscito prima di allora a farci evolvere come in occasione di una metafora opportuna. Non c’è stata in noi un’emozione in quel momento?

Foucault sosteneva che la verità è nel discorso. Ovvero che – ad accredito avvenuto – quanto sostenuto dall’emittente tende ad essere condiviso. Gli esempi dell’abiura della propria indipendenza intellettuale e di scelta nei confronti della narrazione del covid-sars-cov2, di quella dei martiri islamici, nei confronti della più radicale concezione dell’islam, di quella dell’esportazione di democrazia dei buoni del mondo, del malessere per un brutto voto, ne sono campioni tra gli infiniti discorsi accreditati.

La magia bullizzata con sarcastici simsalabim, abracadabra, supercalifragilisticoespiralidoso, alakazam (1), è quella raccontata da chi non ne vede né la presenza, né la potenza, e tantomeno sa disporne. Ne dispone invece il judoka, il karateca, l’aikidoca. Questi, come chiunque faccia identicamente e non solo fisicamente – come infatti fanno anche il terzino, il dribblatore e Sun Tzu, che per intervenire si muovono in relazione all’altro – sanno di avere o non avere potere o credito nei confronti dell’interlocutore. Tale consapevolezza permette loro di utilizzare al meglio – tanto nel bene quanto nel male – il proprio potere magico, nero o bianco. Tra loro, ci sono il seduttore, il professore, il bugiardo, il ladro, il saggio, il fanatico e l’innamorato.

Se la magia nera è realizzata per interesse personale, quella bianca mette se stessi a disposizione del prossimo e fugge ricompense e vanità. Una è mondana, l’altra evolutiva. Come è per magia che una certa comunicazione si compie, così è per il credito al professore, magari reciproco, che avviene il cosiddetto apprendimento, il cui cuore tutto è fuorché che la presentazione razionale di un argomento.

L’eureka dell’aver compreso, dell’aver imparato, dell’aver visto, non solo quello relativo a sciocchezze tecnico-cognitive, ma anche evolutive-esistenziali (maggior forza cioè maggior benessere), può avvenire a mezzo della contemplazione e della meditazione. Due dimensioni nelle quali il mondo materiale, bene che vada, non è che un sottile carapace trasparente della realtà. Due dimensioni magiche, in quanto ciò che in esse avviene e che per esse si compie, in nessuna misura è quantificabile dagli strumenti sul banco dello scientista, quello dell’abracadabra.

A questi è impossibile riconoscere nelle fasi del processo alchemico ciò che avviene ordinariamente negli uomini, o in alcuni di essi. Nigredo, rubedo e albedo sono per lui parolacce per stolti. Dunque, parlargli di alchimia è riempirlo di irritazione o derisione. In ambi i casi non potrà che reagire orrificato dall’idea che il piombo divenga oro. Ma non servirà spiegargli per filo e per segno che è proprio così che vanno le cose. Servirà semmai un’emozione, una magia, affinché se ne avveda da solo. E da solo cambierà la strumentazione sul banco. Allora, nigredo, rubedo e albedo, non saranno altro che ovvie fasi di scoperta dell’ammalio delle forme, dell’emozione del dualismo e della sorgente unica di tutte le cose. O, consapevolezza che è proprio aver creduto nelle verità delle forme, l’origine della sofferenza.

Fq e Fc

È proprio in queste ultime considerazioni che la filosofia indotta dalla fq (fisica quantistica) permette di considerare l’idea che sia avvenuto un contatto tra la tradizione analitico-cognitivo occidentale e quella olistica-estetica, non solo orientale.

L’emozione analitica del mondo o la suggestione di essa come verità – corpus della fc (fisica classica) e del suo materialismo – per la quale, costretti dalla logica, eravamo obbligati a cercare la verità ultima anche nelle relazioni aperte, mentre l’emozione della fq è libera dal guinzaglio dualista. Riconosce infatti la parzialità di tutte le posizioni, tanto da dove rinunciare all’univocità del concetto di realtà oggettiva e sostituirlo – almeno nelle relazioni aperte – con quello di realtà nella relazione. Ed è necessario fare presente che le stesse parole calzano anche per connotare la magia. Territorio sconfinato in cui la domanda non è più se una certa cosa è vera o no, ma in che termini lo diviene o non lo è.

Ma ciò non significa buttare al macero la fc. Essa è magistrale per ogni questione amministrativa e organizzativa, ovvero per muoversi nei campi chiusi dove effettivamente la verità non è più relativa: chi fa gol vince. Qui sì che i principi logici riempiono di sé l’intero mondo. Qui sì, che il concetto di oggettivo non ha rivali. Ma non nella fq, dove l’entanglement se ne frega del tempo lineare e dello spazio misurabile, dove osservato e osservatore non possono in alcun modo essere ancora separati dal reale che possiamo descrivere, dove la realtà dipende da noi. E dove il tempo lineare va a massa: l’emozione non è infatti portare nel presente ciò che il codice scientista chiama passato? Dove, non vedenti a parte, tutto ciò corrisponde a quanto avviene non solo nelle dimensioni sub-atomiche, ma in ogni ordinaria relazione aperta. In entrambe, le energie sottili muovono le cose del mondo, più di quanto possa una pinza. Infine, la metafora in che termini non trova il suo corrispettivo nel concetto di salto quantico?


Piccolo mondo scientista

Dunque è giusto che lo scientista non sappia vedere queste evidenze energetiche. Lui che sa, segue criteri scientifici, si vanta dei suoi simsalabim, abracadabra e via dicendo, con cui pensa di essersi liberato da quelli che chiama ciarlatani. Come se lui – come chiunque – fosse scevro da rituali con l’identico significato.

Oppure anche così impropriamente, quando accenni al significato filosofico della fisica quantistica: “La fisica quantistica (che, detto per inciso, è da circa un secolo parte fondamentale e universalmente accettata della “scienza ufficiale”, e su cui si basa la quasi totalità delle tecnologie che usiamo quotidianamente) è un insieme articolato di modelli teorici logicamente fondati e razionali, in cui compaiono elementi nuovi rispetto alla meccanica classica; tra i quali il rilievo che in essa acquistano le valutazioni di probabilità quantificate rigorosamente determinabili, e che portano a previsioni controllate di risultati sperimentali che sono verificati con un grado di esattezza quantitativa mai visto prima nella storia della scienza” (1).

Lo scientista non sa che le concezioni portano a visioni e realtà differenti del mondo, che crede sia uno per tutti oltre ogni ragionevole dubbio, è inetto a vedere che la verità sussiste solo entro un campo chiuso, quello in cui i giocatori rispettano le stesse regole e parlano la stessa lingua, non capisce che viviamo entro emozioni che come carote per l’asino ci conducono in giro per il mondo e che, naturalmente, le emozioni sono più d’una, qualunque idea ha il potere di emozionare qualcuno, e nella sua direzione muoverlo come un pupo siciliano, sia esso il violento in preda a un raptus, sia l’amorevole cura della madre nei confronti del piccolo. Non vede che questa è magia quella che lui chiama sarcasticamente abracadabra.

O anche come credendo di compiere opera missionaria nei confronti del reo, precisa che la fisica quantistica è governata da leggi strettamente logico razionale che, secondo lui, sarebbe l’opposto di quanto avrei affermato in Il piede nella porta (1): “Diversamente dal determinismo, dal meccanismo causa-effetto, dal tempo lineare della meccanica classica, dalle probabilità quantificate, nella fisica dei quanti troviamo la tendenza, l’eventualità, la possibilità inqualificabile. La fisica quantistica induce a una filosofia che permette di cogliere il valore della magia. Nessuna delle due gioca sul campo logico-razionale”. Considerazione che lo scientista, che vede il mondo dalla sua scatoletta di regole a prova di metodo scientifico, non può che commentare come da elementare previsione magica: “Pietà. Almeno avere una vaga idea di ciò di cui si parla. Parole in libertà” (1).

La sua emozione – in questo caso, detta appunto scientismo – gli impedisce di vedere oltre a essa. Diversamente in “La fisica quantistica induce a una filosofia che permette di cogliere il valore della magia. Nessuna delle due gioca sul campo logico-razionale” (1), avrebbe colto il punto nodale che permette di sovrapporre fisica quantistica e magia (non quella oltraggiosamente ridotta ad abracadabra da tutti gli scientisti), di osservare la rotta di contatto tra quella della ricerca scientifica con quella delle tradizioni sapienziali. Punto che è dunque relativo, non al carattere squisitamente logico-razionale con cui ovviamente anche la fisica quantistica è descritta ma al potere filosofico e evolutivo che essa implica, ammesso che la propria emozione glielo permetta.

È per questa svista che senza timore alcuno, scrive: “[Affermare che, NdA] ... la fisica quantistica “non gioca sul campo logico-razionale”, e che ha a che fare con la “possibilità inqualificabile”, equivale ad emettere parole in libertà”. Possibilità inqualificabile, allude al cuore del principio di indeterminazione che dice che di una particella non è possibile conoscere, se non probabilisticamente, contemporaneamente – come accade invece nella meccanica classica – quantità di moto e posizione nello spazio. Esattamente quanto accade in ambito magico in cui, tanto più alto è il dominio di qualcuno su qualcun altro, tanto più si verifica ciò che il dominatore ha già visto: preveggenza.

Ma c’è un altro argomento che permette di relazionare la fisica quantistica alla magia. Ovvero, che il comportamento della particella non può essere noto finché non è osservato, cioè, che l’osservatore “agisce” sulla particella. Chi non vuole riconoscere che è esattamente quanto avviene in tutte le relazioni aperte, cioè non circoscritte da campi chiusi nei quali gli interlocutori hanno lo stesso scopo o scopi speculari, condividono la semantica del linguaggio che impiegano e le regole del gioco in corso e il ruolo che svolgono.

A questo mi riferivo scrivendo “Le regole divengono insieme al gioco stesso. La comunicazione non ha ponti industriali-razionali uniformati, ma sempre occasionali-creativi personalizzati. La realtà non è fuori, ma dentro”. Non solo. Il fatto che la particella risente della presenza di chi la osserva, è un modo di dire che siamo noi a fare la realtà. Del resto non sono i sentimenti che ci stanno in seno che fanno il mondo come lo descriviamo?

Ma deve essere infatti proprio un’emozione forte a impedire il passaggio del necessario per evolvere, per andare oltre il nucleo che ingabbia la nostra concezione del vero, se perfino Heisenberg (2), che certamente conoscerà, non è bastante per aggiornare il proprio pensare, per vederne i limiti e riconoscere che la scienza è solo un gioco, con le sue regole. UN gioco, non IL gioco.

“Ma che lo dico a fare” direbbe il sarcastico professore di scientismo, così preso da se stesso da scambiarsi per vero, o più semplicemente da non cogliere ciò che un meno sarcastico professore di cui dovrebbe tenere conto ha suo tempo affermato:

“... è nella fisica dei quanta che hanno avuto luogo i cambiamenti più radicali riguardo al concetto di realtà [...]. Ma il mutamento del concetto di realtà che si manifesta nella teoria dei quanta non è una semplice continuazione del passato;”. p. 36

“Perciò il passaggio dal «possibile» al «reale» ha luogo durante l’atto d’osservazione. [...]. La fisica classica partiva dalla convinzione – o si direbbe meglio dall’illusione? – che noi potessimo descrivere il mondo, o almeno delle parti di esso, senza alcun riferimento a noi stessi. [...]. I successi da essa [la meccanica classica, NdA] ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L’oggettività è divenuto il primo criterio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico. [...] Ma essa [la meccanica classica, NdA] parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo [...] è una divisione arbitraria e storicamente una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico; l’uso dei concetti classici è infine una conseguenza del modo generale di pensare degli uomini”. p. 60, 61

“... quella lezione ... appresa dalla fisica moderna: che ogni parola o concetto, per chiari che possano sembrare, hanno soltanto un campo limitato di applicabilità”. p. 126

“Nella logica l’attenzione è tratta verso strutture particolarissime, evidenti connessioni tra le premesse e deduzioni, modelli semplici di ragionamento, mentre tutte le altre strutture del linguaggio vengono trascurate”. p. 169

“Non può certamente essere scopo della discussione che segue fare previsioni sui probabili risultati dell’incontro tra le idee della fisica moderna e quelle delle più antiche tradizioni, ma è possibile però definire i punti dai quali può avere inizio l’interazione tra le diverse idee”. p. 185

Per altre verifiche sul pensiero di Heisenberg – suppongo meno discreditato del sottoscritto – in merito alla filosofia che la fisica quantistica tende a indurre e al potere terremotante di questa nei confronti dell’assolutismo della fisica classica e soprattutto delle concezioni del mondo e della realtà che ne derivano, si può leggere l’intero libro o le seguenti pagine: 85, 86, 87, 90, 126, 132, 149, 150, 167, 168, 169, 173, 192, 193, 194, 196, 197, 198, 199, 200, 201, 202 e 7 (introduzione di Giulio Gnoli). Del resto basterebbe chiedersi perché un fisico abbia voluto occuparsi di filosofia e, soprattutto, di metterla in relazione alla fisica. Ma sarebbe pretendere troppo. Sul banco cosa vuoi prendere con la pinza se non la forma delle cose?

Lorenzo Merlo



Note

  1. https://gognablog.sherpa-gate.com/il-piede-nella-porta/

  2. Tutti i brani citati sono tratti da: Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1963.

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